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Un uomo e un campione che ha ispirato tanti di noi: Livio Berruti (3) PDF Print E-mail

Dopo Augusto Frasca e Giorgio Barberis, tocca ad un altro giornalista riportarci indietro nel tempo, a quello di Livio Berruti. Sergio D’Asnasch, giornalista sì, ma anche atleta, sprinter come Berruti, e di Livio compagno di club (Fiamme Oro Padova) e di staffette 4 x 100, corse insieme, tanto nel quartetto «poliziesco» che in quello azzurro della Nazionale. Fra poco ne racconteremo qualcuna. Sergio indossò sempre, a parte il periodo militare, la maglia della Riccardi Milano, divenendo il simbolo di varie primogeniture: primo «riccardino» a vestire la Maglia Azzurra (1953), primo a partecipare ad un Campionato d’Europa (1954), primo ad essere convocato per i Giochi Olimpici (1956). Gran fisico, voleva cimentarsi nel getto del peso, lo dirottarono al salto in lungo, divenne un ottimo velocista. Lasciate le piste, esercitò il suo talento come giornalista, ne fece la sua professione, divenne redattore della Agenzia giornalista nazionale ANSA. Brillante, di bello scrivere, uno che si fa leggere con piacere, come potranno comprovare coloro che si avvicineranno al suo bel elzeviro su Livio Berruti. Articolo che abbiamo ripescato dal numero 32, novembre 1961, della rivista «Atletica Leggera», direttore Francesco Migliori, redattore capo Giorgio Bonacina, con l’aggiunta di Dante Merlo, che per la prima volta firmava come condirettore, sarebbe poi diventato proprietario della testata, fino alla sua scomparsa.

Staffette, Sergio e Livio insieme, un paio di citazioni, senza velleità di completezza.  1957, «Sei Nazioni» a Bruxelles: Berruti – D’Asnasch – Sangermano – Lombardo, terzi dopo Germania e Francia.  1958, Europei a Stoccolma: Cazzola – D’Asnasch – Berruti – Mazza, squalificata in finale dopo aver vinto la seconda batteria. Sergio di suo ha un quinto posto agli Europei Berna 1954 (Montanari – D’Asnasch – Sangermano – Gnocchi) e una vittoria ai Giochi del Mediterraneo a Barcellona, 1955: Ghiselli – D’Asnasch – Montanari – Gnocchi.

Torniamo a Berruti. Nell’articolo D’Asnasch ricama la esile figura del ragazzino Livio, agli esordi. Siamo nel 1956. Abbiamo accantonato ogni precisione di cattedratici di statistica e vi riferiamo di quando abbiamo trovato dagli sbiaditi ritagli di giornali dell’epoca. Torino 20 maggio: Livio (con i colori della Lancia) primo in una delle tante serie – la quarta – di 100 della fase regionale del campionato di società: 11”2. Passano sette giorni, e il giovincello stavolta non passa inosservato. Scrive Renato Morino (abbiamo riprodotto l’intero articolo a corredo di queste note): “Berruti, lancista e juniores, è alla quarta gara della sua carriera! Rivelato dallo Sport nella Scuola (ha partecipato ai campionati provinciali di Torino nel salto in alto) il bravo Milanese lo ha impostato subito sulla velocità: 11”4 nelle prime due gare, 11”2 domenica scorsa e 11” netti adesso, dopo essere uscito dalle buchette alla pari con Gnocchi, e dopo – udite, udite – avergli resistito spalla a spalla per più di quaranta metri. Adesso Berruti, velocista cartavelina, ha bisogno solo di acquistare peso e tenuta”. Gnocchi era un centista da regolare 10”5 (sei volte in quella stagione), e un 10”4 a fine settembre. Il risultato completo di quella gara torinese lo potete agevolmente leggere ingrandendo il testo dell’articolo originale.

Berruti corre tanto per essere un pivello di diciassette anni. Il 3 giugno, sempre a Torino, semifinale dei societari, corre ancora in 11”2 (quarto); il 10, a Biella, vince in 11” netti; il 24, all’Arena di Milano, quinto in 11” tondi tondi; il 30, ancora sulla pista milanese, viene schierato nella prima frazione di una 4 x 100 squadra B nazionale, con Monego, Pollini e Marini: primi in 42”5, il team A viene squalificato. Primo giorno di luglio, campo Agnelli a Torino, campionati piemontesi di Terza Serie (intelligente suddivisione di categorie di una volta): Livio è primo in 11”1; il 7, altra riunione per la stessa categoria, stavolta a Biella: primo in 11” netti. Lo stadio Lamarmora della capitale laniera non conosce pause: il 22 luglio ospita i campionati piemontesi. Il commento:” Nella finale dei 100 tutti gli occhi sono puntati su Berruti e Ghiselli: vincerà l’anziano o il giovane campioncino della Lancia? I due balzano fuori dalle buchette simultaneamente, poi il lanciotto si avvantaggia, agli 80 metri è primo, ma Ghiselli non si dà per vinto, scatta rabbiosamente, si affianca a Berruti, lo supera sul filo di lana: i cronometri segnano per entrambi 10”9. Ha dunque vinto l’anziano, ma Berruti ha confermato di essere più che una promessa”. Ghiselli era velocista da 10”6.

Ce ne sarebbe ancora ma, per adesso, leggete Sergio D’Asnasch.

 

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Radiografia di Livio Berruti

Livio Berruti corre, non corre, non può correre, non vuole correre, lo obbligano a correre. Corre bene. Ma allora, perché non vuole correre? Lo ammoniscono. Bene, è ora che la pianti di fare il lavativo! Male, un dilettante deve poter dedicarsi in santa pace ai suoi impegni extrasportivi!...Il «caso Berruti», insomma, è il sollazzo del giorno dell’opinione pubblica nazionale. Se ne sentono di tutti i colori, ma è molto dubbio che ci sia qualcuno che ci capisca qualcosa. È bella e istruttiva, comunque, la disinvoltura con cui ognuno spara a bruciapelo la sua opinione. Ne è esilarante esempio un bellicoso settimanale sportivo milanese che nella stessa pagina (pagina 9 del numero del 9 Ottobre) pubblica prima un trafiletto del titolo «Lo schiavo Berruti», in cui narra di un Livio incatenato e tiranneggiato dalla FIDAL, che lo vuole condannare all’analfabetismo impedendogli di studiare, e quindi in un altro articolo intitolato «Piombo Rovente», stigmatizza il comportamento del nostro, paragonandolo a Mister Greaves.

Ma tutte le opinioni, anche le più originali, sono in questo caso giustificate. Sì, perché una cosa sola è certa: il primo a non capirci niente è proprio Livio Berruti.

Berruti, intendiamoci bene, non è un incosciente, ma è bensì un atleta sorto assolutamente per caso, come del resto è logico che fosse in questa Italia dallo sport facoltativo e dalle scommesse obbligatorie. «Campione per caso» è il titolo più logico che potrà essere dato ad una biografia dell’olimpionico. Ed è certo che chi nasce così allo sport non diventerà mai un duro come sono gli atleti inglesi o tedeschi, per non parlare degli schiacciasassi di oltre cortina.

Cominciò a corricchiare, Berruti, così, tanto per fare qualcosa di originale, in un pomeriggio primaverile. Visto come sono rari i giovani che da noi prendono simili originali iniziative, vi fu subito una società che gli dette una tuta ed un paio di scarpette in cambio di qualche altra corsetta nel campionato societario. Chi se la ricorda quella semifinale del campionato di società, a Torino, nel ’56? Alla partenza dei 100 tutti gli occhi erano per quel grande, matto e inespresso velocista che fu Gigi Gnocchi, il mattatore del momento. Gigi partì distendendosi in pochi passi in tutta la sua falcata. Era una cosa esteticamente bellissima veder correre Gnocchi e tutti quel giorno lo guardavano ammirati. Tutti pertanto poterono assistere ad un altro spettacolo quanto mai sorprendente: un qualcosa che sembrava un grillo con gli occhiali, e per di più con una maglietta pudicamente accollata, restava tranquillamente a spalla di Gnocchi, con la stessa indifferenza di una che si reca a comprare il giornale all’edicola all’angolo. Ci rimase cinquanta metri buoni, poi, visto che i cento sono più lunghi di quanto sembri, Gigi, che razzolava sulle piste da vari anni ormai, lasciò l’esordiente, andando a concludere in 10”5. «Però, quel ragazzino!» – non poterono fare a meno di esclamare gli spettatori, pur applaudendo Gnocchi. Quel diciassettenne, che si comportava con la flemma di un personaggio di Wodehouse, era effettivamente un tipo originale per le nostre piste. Basti dire che praticamente all’esordio correva già i 100 in meno di 11”, tanto da meritarsi subito il posto nella nazionale giovanile. Fu in quel periodo che si seppe il nome del grillo con gli occhiali: Livio Berruti. Il ragazzino era stato promosso a scuola a pieni voti e così accettò di passare parte delle vacanze al raduno collegiale di Schio. Vi arrivò comunque con l’espressione sorpresa di uno che si chiede: «Possibile che abbiano bisogno proprio di me!?». Già, perché a lui quei tempi erano costati solo qualche trottatina in souplesse in allenamento e pertanto non capiva come mai non fosse possibile ad ogni altro essere umano indistintamente fare le stesse cose. E neppure in seguito lo ha mai capito. Il segreto della velocità di Berruti è in verità semplicissimo. Si tratta solo di un uomo che pesa 70 chili e che ha invece nelle caviglie e nei piedi una forza quale ne potrebbe avere uno di 95. Pertanto lui, correndo sulla Terra, ha lo stesso rendimento di uno di noi che si trovasse a gareggiare su un pianeta sul quale una minor forza di gravità gli togliesse di dosso un bel 25 chili di peso. Solo che Livio non sa di essere nato su un mondo che non era il suo!

Né si è mai allenato: e chi sarebbe quel matto che penserebbe anche ad allenarsi una volta trasferito in un pianeta ove si trovasse tanta avvantaggiato?! Sarebbe veramente una cafonata imperdonabile. Ed infatti Livio ha sempre tenuto fede a questo impegno d’onore. Beh, veramente l’anno scorso gli avevano presentato le Olimpiadi come un’impresa tanto difficile da persuaderlo a fare qualche corsettina a Schio, ma c’è da giurare che, appena tagliato il traguardo di Roma, Livio pensò di essere stato buggerato: gli avevano fatto perdere tanto tempo per una cosa così facile come l’arrivar prima di un paio di negri!

È proprio questo il fatto: Berruti per le sue doti naturali non ha mai dovuto soffrire per vincere. Il suo morale non è mai stato temprato dal sacrificio e dalla lotta ed egli è perciò un campione olimpico rimasto con lo stesso spirito di un esordiente. Correre per lui non è mai stato né un mezzo per ottenere qualcosa e neppure un fine, ma solo un fatto così, un diversivo che adesso probabilmente pensa gli facciano pesare troppo.

Personalmente ricordo quando già nel ’58 gli giunse l’offerta di una borsa di studio da parte di un’università americana. Me lo disse sorridendo in una nebbiosa serata di autunno mentre si girava per Padova alla ricerca di un film da vedere, per trascorrere quel paio d’ore fra la cena e il rientro in caserma. Andare a correre per un Collegio americano! Fosse giunta per un disguido postale, visto che non la meritavamo, mezza parola del genere a qualsiasi altro di noi, a me o a Ghiselli, a Sangermano od a Cazzola: si sarebbe attraversato l’Oceano a cavallo di un pescecane, mannaggia, pur di non perdere l’occasione! Ma per Livio quell’invito equivaleva a quello che lo chiamava ai collegiali di Schio per la giovanile, due anni prima. Allora accettò per trascorrere un’originale vacanza, ma adesso stava ormai studiando a Padova ed un simile cambiamento gli sarebbe magari costato un esame. Non valeva la pena, aveva giudicato. Mi sarei messo a piangere per fargli capire cosa perdesse, sia come esperienza sportiva, sia come esperienza umana, ma conoscendolo bene capii che era inutile: si andò tranquillamente al cinema.

Ed oggi, a vedere tanta gente che eleva alti lai perché Livio non vuol correre e che si arrovella per dare una spiegazione al fatto, scusate, ma mi viene da ridere. Forse che esiste sempre una ferrea ragione quando uno si accende una sigaretta o si gratta il naso?