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Se ne è andato Raimondo Balicco, un uomo, un atleta, la corsa, la montagna PDF Stampa E-mail

Il nostro socio Paolo Marabini ci ha informato tempestivamente del decesso di Raimondo Balicco, atleta prima, tecnico e dirigente poi, che aveva fatto della corsa in montagna la sua sfida. Ecco quello che ha scritto Paolo per ricordarlo. E anche alcuni di noi che lo hanno incrociato sulle diverse strade dell'atletica lo ricordano.

 

L’atletica italiana, e quella bergamasca in particolare, sono in lutto. Stamane a Villa d’Almè, all’età di 77 anni, si è spento Raimondo Balicco, il personaggio simbolo della corsa in montagna, l’uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla promozione, alla diffusione e anche all’affermazione in campo internazionale della specialità. Fatale anche nel suo caso il coronavirus, come per tanti – troppi – bergamaschi. Lascia la moglie Ausilia e il figlio Paolo.

Raimondo era nato l’8 dicembre 1942 a Mezzoldo, minuscolo comune dell’Alta Valle Brembana di cui era anche sindaco, prima dal 2002 al 2012, poi di nuovo dal 2017. Aveva una grandissima passione per la corsa e per la montagna. E sin da ragazzo aveva unito i due amori. Per anni, quando si era ancora agli albori di una specialità che non era ancora riconosciuta dalla Fidal e si praticava nelle valli alpine sotto l’egida dell’Enal - l’organismo che raggruppava i circoli aziendali e dopolavoro - fu uno degli specialisti più forti del panorama nazionale: nel ’76 vinse il titolo italiano individuale Enal e fu secondo nella prima edizione targata Fidal, tra gli altri due bergamaschi Giovanni Mostachetti e Privato Pezzoli. In maglia Forestale conquistò anche due tricolori a staffetta (1973 e 1976) e sette titoli militari. E proprio la Forestale, nella quale era entrato nel 1965 dopo aver conseguito il diploma tecnico alla scuola di Edolo, è stata sino alla morte la sua seconda famiglia.

Una volta smessa l’attività agonistica, interrotta prematuramente da un incidente automobilistico, Balicco ha lasciato un segno ancora più indelebile nella storia della disciplina nei panni del tecnico e del dirigente. Quando nel ’78 l’Enal fu sciolto dallo Stato perché considerato “inutile”, Raimondo fu tra i primi aderenti al CNCM, il Comitato Nazionale Corse in Montagna, presieduto da Mario Zorzi. Con gli altri bergamaschi Giovanni Povia, Angelo De Biasi e Domenico Salvi dette un grande impulso alla crescita della corsa in montagna in Italia e al suo riconoscimento da parte della stessa Fidal. Anni difficili, i primi. Anni di battaglie contro l’indifferenza generale per fare uscire dalla nicchia la specialità e darle forza a livello internazionale, culminati con la creazione di quella Coppa del Mondo – prima edizione a San Vigilio di Marebbe nel 1985 – che sarebbe diventata poi vero e proprio Campionato del Mondiale, con il riconoscimento ufficiale nel 2009 da parte della Iaaf, la Federatletica mondiale.

Da c.t. azzurro – incarico che con entusiasmo e dedizione maniacale, quasi fosse una missione, ha ricoperto ininterrottamente dal 1985 al 2012 - Balicco ha guidato l’Italia a una fila sterminata di trionfi internazionali, su tutti quelli proprio nella Coppa del Mondo: per anni l’armata azzurra – farcita anche di atleti bergamaschi - non ha avuto rivali in grado di tenerle testa. Era una persona seria, Raimondo, ed è come dire tutto in due sole parole: lasciatevelo garantire da chi un pochino lo ha conosciuto. Qualcuno – i nemici li abbiamo tutti - lo accusava di essere troppo accentratore. Sarà anche stato, ma i risultati parlano solo a suo favore. E se oggi la corsa in montagna parla ancora italiano, se ha visto l’irruzione dell’Africa e del Sud America, se non è più una parrocchietta per pochi intimi, lo si deve molto a questo generoso uomo della Valle Brembana, che ha speso buona parte della sua vita per diffondere lo sport a lui più caro. La sua grande passione.