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Livio Berruti: come cambia la vita dopo una vittoria olimpica? Effetti collaterali del successo PDF Print E-mail

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Foto in alto: l'indimenticabile arrivo dei 200 metri dei Giochi Olimpici di Roma 1960, con Livio Berruti proiettato sul filo di lana, secondo lo statunitense Les Carney e terzo il senegalese allora francese Abdoulaye Seye. A Carney la Indian Creek High School di Crownsville, in Maryland, ha dedicato la pista di atletica costruita qualche anno fa. Seye corse sotto i colori della Francia, nonostante il Senegal avesse ottenuto l'indipendenza qualche mese prima. Fu ospite con un folto gruppo di atleti senegalesi durante i Campionati del mondo a Osaka, nel 2007. È morto nel 2011. Nella foto in basso, Livio Berruti ultimo frazionista della 4x100 fra David Sime (19) e il sovietico Ozolin (22).

"...corridori belli come Livio Berruti felicemente espresso dalle nostre risaie mai sono riuscito a vederne in mezzo secolo...". Parola di Gianni Brera, da un articolo di "laRepubblica" del 24 luglio 1984, Giochi Olimpici di Los Angeles.   Nato a Stroppiana, nel Vercellese, ancor oggi uno dei centri agricoli al 90 per cento a coltivazione di riso, ecco "le nostre risaie" citate da Brera. Il quale aggiunge:"Con Oberweger ho vinto tante Olimpiadi, stando seduto a tavola, che quando mi garantì che ne avrebbe vinta un'ennesima con Livio Berruti non gli credetti...Berruti fu il mio primo glorioso abatino. Non vinse con due metri come giurava Oberweger però si aggiudicò l'Olimpiade...".

Per tanti di noi il campione olimpico dei 200 metri ai Giochi di Roma 1960 non solo è stato un grandissimo atleta e corridore di rarissima eleganza, ma, soprattutto, ha avuto il ruolo di ispiratore del nostro amore - lunghissimo e talvolta non ricambiato - per l'atletica. Un gentleman dentro e fuori le piste, un atleta di compostezza esemplare, un uomo che per tutta la vita ha difeso valori sportivi caduti in disuso o addirittura irrisi, e che non ha mai cercato "poltrone" nello sport, sbandierando la sua medaglia d'oro per ottenere privilegi. Vicepresidente della Federazione italiana di atletica leggera per plebiscito apparente ma non per convinzione, spesso, come succede alle persone che fanno della rettitudine la loro bandiera, considerato predicatore al vento, preferì lasciare una realtà nella quale si sentiva a disagio. E se ne andò in punta di piedi. La stessa discrezione con la quale, dopo il vittorioso arrivo di Roma, si aggiustò con un gesto quasi meccanico gli occhiali scuri e andò a stringere la mano ai cinque avversari, con la cortesia propria del ragazzo ben educato in famija piemontèis. Senza scalmane, dita puntate al cielo (a chi?), immaginari colpi di pistola, idioti perchè ne abbiamo fin troppi di quelli veri, e frecce lanciate a casaccio.

Oggi, primo giorno della XXXI Olimpiade, pubblichiamo un contributo scritto di suo pugno, dal quale traspare chiaramente la vicenda umana di un grandissimo campione che ha vissuto del suo lavoro e della sua serietà, sempre con la schiena diritta. A nome di tutti i soci dell'Archivio Storico dell'Atletica Italiana Bruno Bonomelli tributiamogli un lungo applauso.

Una vittoria olimpica può cambiare la vita di una persona? La risposta a questa domanda non è univoca, dipende soprattutto dal tipo di sport praticato e dalla risonanza mediatica della vittoria. Per il sottoscritto la risposta è ampiamente positiva. Fortemente convinto, con la laurea in Chimica, di avere un futuro immerso in laboratori di ricerca in grado di soddisfare la curiosità di conoscere la struttura sempre più intima della materia ho commesso l’”errore”, al termine degli studi,  di accettare l’offerta di un mio amico sportivo, titolare di una affermata agenzia di pubblicità di Torino, di fare un’esperienza in questo settore. Come i barbari sono stati conquistati dalle piacevolezze del  mondo romano, l’incontro con l’ambiente della pubblicità e delle pubbliche relazioni non solo si è rivelato più gioiosamente attraente di quello più austero della chimica ma ha permesso di scoprire in me certe qualità caratteriali e sociali di cui ignoravo l’esistenza. Questo è certamente uno degli aspetti più positivi dello sport, che permette di conoscere in maniera completa le diverse sfaccettature della propria personalità.

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