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Un uomo e un campione che ha ispirato tanti di noi: Livio Berruti (2) Stampa

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Nel 2012 Giorgio Barberis consegnò alle cure editoriali della S.E.I. il testo definitivo di un suo libro. Lo titolarono «D’oro e d’azzurro – Gli olimpionici dell’atletica italiana». Giorgio, torinese, giornalista, prima alla «Gazzetta dello Sport» e poi, per molti anni, a «La Stampa», è socio del nostro Archivio Storico da lungo tempo. Nelle sue pagine rivivono le figure dei diciassette campioni olimpici, da Ugo Frigerio ad Alex Schwazer. Scrisse nella introduzione:” La scelta di parlare dei vincitori olimpici che l’Italia può vantare è legata al desiderio di avvicinare, attraverso le necessarie ricerche, quei campioni che hanno conquistato il massimo alloro e che non ho avuto modo di conoscere ed al tempo stesso, invece, di offrire un personalissimo ritratto di quegli altri che ho avuto modo di veder vincere ed anche di frequentare, maturando nei confronti di alcuni di loro un rapporto di sincera amicizia e, a volte, di condivisione di stati d’animo”.

Dopo Augusto Frasca, anche Giorgio ci ha autorizzati a riproporre, in questo spazio, brani del capitolo riservato al sesto atleta italiano (ottava medaglia d’oro) che si è laureato campione di Olimpia: Livio Berruti, che noi vogliamo onorare alla vigilia del suo compleanno. È un collage di ricordi personali di Giorgio e di ricordi e pensieri di Livio.

 

Livio, il predestinato

 

Conobbi Livio Berruti nel 1970…lo incontrai nell’ufficio collinare dell’agenzia di pubblicità per la quale lavorava in quel periodo. In realtà una fuggevole conoscenza del Campione, quando campione doveva ancora diventare…l’avevo avuta da ragazzino nell’agosto del 1959 sul piazzale della Basilica di Superga dove i partecipanti all’Universiade venivano portati dall’organizzazione ad ammirare l’opera architettonica e il panorama mozzafiato che si stende da Torino fino all’arco alpino. Qualcuno me lo aveva indicato come l’atleta che più valeva la pena incontrare, e io ero corso a farmi fare un autografo. Pochi giorni dopo papà mi avrebbe portato allo stadio Comunale per assistere alle gare, rendendo così ancor più preziosa la firma del vincitore”.

Le gare di Livio Berruti alle Universiadi 1959.

3 settembre 100m batteria 10.7
4 settembre 100m semifinale 10.5
4 settembre 100m finale 10.5
5 settembre 200m batteria 22.2
6 settembre 200m semifinale 21.5
6 settembre 200m finale 20.9
6 settembre 4x100m

finale

(Giannone – Berruti – De Murtas – Mazza)

41.0

Ritorniamo al testo di Barberis. Il quale scrisse che Livio, vedendolo emozionato “…tirò fuori da un armadio una bottiglia di vino che stappò invitandomi a un brindisi, mi parlò delle fragole che coltivava in quel di Stroppiana sostenendo che erano squisite e che avrebbe fatto in modo di farmele assaggiare…”. Ultime tre righe del capitolo:” Io mi limito ad aggiungere che quelle benedette fragole di Stroppiana, nonostante gliele abbia ricordate tante volte, Livio non me le ha mai fatte assaggiare”.

Da qui in poi, attraverso il testo di Giorgio, i ricordi, le opinioni, i commenti di Livio.

Potendo tornare indietro? “Prima di tutto cercherei di essere meno idealista. Ho sempre creduto nello sport per sé stesso e mai diversamente”.

Quella semifinale. “L’annuncio dell’altoparlante che avevo eguagliato il record del mondo mi creò un vero complesso di colpa. Temevo di essermi stancato, benché avessi corso in scioltezza smettendo di spingere a 20 – 30 metri dal traguardo. Così feci un riscaldamento dimezzato per la finale, gli altri erano stupiti e increduli…Forse è lì che vinsi la finale. Poi la gara. Sapevo che dalla curva sarei uscito primo, a quel punto dovevo solo distendere ancora di più la falcata per non contrarmi e sprecare inutilmente delle energie. Quindi resistere fino al traguardo. Mi andò bene”.

È passato tanto tempo…” …mi rendo conto che quel 3 settembre, neppure sul podio mentre suonava l’inno di Mameli, avevo concepito l’importanza di qualcosa che poteva cambiarmi la vita, come poi in effetti è stato. Allora…consideravo lo sport come un’attività collaterale della mia esistenza. Prima venivano lo studio e il lavoro. Soltanto in seguito mi sono reso conto che quei duecento metri hanno significato per me un cambiamento radicale, trasformandomi per certi versi in un soggetto da baraccone. E se tutto questo può gratificare la vanità, è altrettanto vero che ti fa perdere la libertà. La mia vita si è indirizzata su binari differenti da quelli per i quali avevo posto gli studi…Occuparmi di pubbliche relazioni come ho poi fatto è stato in fondo coercitivo della mia libertà…”.

Rimpianti? “…uno, riguarda l’anno precedente (1959) e non i 200 metri ma i 100. Ero a Malmoe per un incontro contro la Svezia: giornata pessima quel 26 luglio, con la pista quasi allagata dalla pioggia battente. Vinsi correndo in 10”4…Ecco, quel giorno, in condizioni normali forse avrei corso in 10” netti e forse meno. Un’illusione? Non credo: ritengo che quella sia stata la mia più bella gara in assoluto e rimane comunque quella che mi ha dato maggiore soddisfazione”.

Un documento del tempo - Scrisse, da Malmö, Renato Morino su «Tuttosport»: “La pista è già ridotta a pappetta. Berruti comunque vola, è subito primo, vince con quattro metri su Westlund…”. Il giorno dopo sui 200:” La giornata è un perfetto campione dell’estate svedese: diciotto gradi, cielo coperto, aria fresca…Berruti è all’esterno…non riesce a distendersi come le altre volte e gira a passi corti, con andatura saltellante. Ritrova il ritmo sul rettilineo e conclude in 21” netti, a un solo decimo dal record italiano su pista di 400 metri”. Livio aveva corso in 20”9 a Varsavia il 14 giugno e poi a Duisburg il 19 luglio. Una foto su un ritaglio di giornale - Palliduccio, ma questo è il documento relativo ai 100 metri di Malmö: la foto dell'arrivo di Livio, dietro si vedono, staccatissimi, i due svedesi, Westlund (n.1, 10"8) e Lövgren (10"9).

Questo brano sempre di Renato Morino, da Roma il giorno del trionfo romano, è riportato nel libro di Giorgio. “Non mi vergogno a dirlo, scrivo con le lacrime agli occhi, il momento che avevamo atteso con tanta trepidazione, con ansia, con timore, il momento della massima gloria olimpica è ora realtà dolcissima, ma tale è l’affanno che è in noi che non possiamo ancora gustarla come vorremmo. Livio ha vinto, è medaglia d’oro, è primatista mondiale, è il più forte velocista che sia esistito sulla distanza doppia. Berrutino, il nostro Berrutino è campione d’Olimpia. Quanto abbiamo tifato! Quanto abbiamo sofferto! Sono stati venti secondi e cinque decimi che resteranno per sempre nel nostro cuore, piantati in noi per ricordarci uno dei più bei giorni della nostra vita. Ma così intensamente tremendi sono stati che forse non vorremmo che si ripetessero più. Dopo aver visto gli americani a Berna sapevamo che Livio era il più forte, ma a che serviva? Le competizioni si vincono solo al traguardo, il resto non conta”.

L’ultima parola a Livio:” Erano altri tempi, si faceva sport soprattutto per divertimento e non per arricchirsi. Meglio così, sono soddisfatto della mia vita e questo è quello che conta”.

Altri tempi. Per Giorgio Barberis il tempo delle fragole. Che non ha mai assaggiato.