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L'Olimpiade di don Alessandro, non serve sognarla, l'abbiamo vissuta a Firenze Stampa
Sabato 03 Giugno 2017 07:26

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I rami degli alberi sembravano curvarsi, rispettosi, a voler costruire una intima cappelletta. Gli uccelli cinquettavano, ma solo a tratti, quasi rispondendo alle parole del celebrante, e si sono zittiti al momento della consacrazione del pane e del vino. Al congedo "La Messa è finita, vogliatevi bene, nel nome del Padre...", un trionfo canoro di cinquettii, un Magnificat naturalistico degno del sommo Giovanni Sebastiano. Illusione ottica e uditiva? Quasi sicuramente, il tasso alcolico è da escludere, ma la spiritualità che aveva impregnato quello spazietto incastrato fra due campi da tennis sulla vecchia, gloriosa ma consunta pista degli "ASSI", come tutti la chiamano a Firenze, ha contagiato anche qualche inveterato laicaccio che colà si aggirava. La Santa Messa celebrata in quello spazio sportivo da un sacerdote seduto difronte ad una cinquantina di ragazzine e ragazzini ha avuto un forte impatto emotivo. L'anziano prete non ha le gambe né di un maratoneta né di uno sprinter, in questo momento, ma la volontà è quella di un navigatore solitario attorno al mondo o di uno scalatore difronte alla parete sud dell'Annapurna. Voleva esserci, doveva esserci, pur con le gambe fasciate, che - grazie a Dio e al primario che lo ha operato - vanno molto meglio. Le sue "Parrocchiadi", quelle organizzate con il suo amato fratello Aldo, Aldino, di cui ricorre il decimo anniversario dall'ultima fermata del suo passaggio terreno: non poteva mancare. Ed era lì, attento a tutti i dettagli, i diplomi, le medaglie, la Messa, il viaggio, i panini e la schiacciatina. E il suo cappello da vaquero, made in Montana - non è una carne in scatola ma uno Stato della Nazione stelle e strisce - un marchio inconfondibile, che i ragazzini reclamavano con insistenza, "Don, dov'è il suo cappello?".

Don Alessandro Capanni, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Ex militare con tanto di Accademia a Modena, poi passato delle milizie dell'anima, guerrigliero più che soldato. Insofferente, talvolta incazzoso, ribelle all'ipocrisia, anche e soprattutto dei "suoi", che non sente tali. Per chi di noi lo conosce è perfino meglio di Francesco, il Papa venuto da lontano. I due, incontrandosi, magari in un raduno di tupamaros, avrebbero molto da dirsi, fuori dai denti. Di mestiere fa il parroco, nella chiesa di S.Antonio, in uno dei quartieri che etichettano come "bene" a Montecatini Terme, a poca distanza da lussuosi alberghi che, da sempre, sono stati i ritrovi preferiti della massoneria toscana, che qualcuno ha chiamato "la consorteria toscana" di cui tanti poteri (anche oggi, sì, anche oggi) hanno fatto, e fanno, parte. Una Montecatini dove imperano i russi, soprattutto le russe adatte alle cene eleganti e alle gare di burlesque, i palazzi tappezzati di cartelli "vendesi", le povere Terme oberate dai debiti, gli alberghi che accolgono le gite di rumorosi e spesso maleducati studenti stranieri (i nostri vanno a Praga, Barcellona, Londra, a far casino) pur di far un po' di cassa. Il Don guarda, abbassa lo sguardo, sicuramente rimpiange la sua bella parrocchia a Montecarlo, niente a che fare col Principato ma con la Repubblica di Lucca che fu governata anche da Castruccio Castracani, su quella bella collina coronata da una distesa di olivi e da vigneti di Sangiovese e Canaiolo, il rosso Carlo IV è per noi il migliore.

Un paio di passi indietro. Le "Parrocchiadi 2017": visita ai medicei Giardini di Boboli, poi trasferimento al campo sportivo degli A.S.S.I., celebrazione della Messa, colazione, e un po' di sport, salto in lungo, corsa nei sacchi (tanto prima o poi questa disciplina sarà inserita nei Regolamenti vista la smania di "nuovo a tutti i costi" che c' è in atletica) e, cosa che ci ha molto stupito, lancio di quel coso che chiamano vortex. Stupiti perchè Aldo Capanni scrisse, nel 1999, un feroce articolo contro il suo utilizzo: "Le (poche) conoscenze scientifiche applicate all'atletica leggera, ossia il «vortex»: come fare danni ai piccoli per cercare campioni". Aldo la chiamava "quella sorta di cosa arancione simile ad un pesce con le ali" per lanciare la quale con la giusta impugnatura "significa riprodurre nella gestualità e nello schema motorio necessario il lancio del giavellotto, costringendo l'articolazione del gomito a lavorare in maniera forzata e innaturale. I soloni che l'hanno ideato hanno mai pensato ai danni incredibili che può provocare questa azione al gomito di giovanissimi la cui struttura osteo-articolare è ancora in formazione?". Siamo lì per ricordarlo, cerchiamo almeno di evitare di fare qualcosa contro cui si è battuto. O no? Ma l'avranno mai letto l'articolo del Capanni?

Poche, sentite e commoventi parole ha rivolto ai giovani Paolo Allegretti, grande amico di Aldo. Alla fine, don Alessandro ha personalmente consegnato la medaglia fatta coniare dall'Archivio Storico dell'Atletica Italiana "Bruno Bonomelli" a ciascuno dei partecipanti e a tutti i collaboratori, con l'aiuto di Gabriele Manfredini, nostro socio toscano che ha presenziato alla giornata. Poi, tutti a casa, a Montecatini. E stavolta don Alessandro ha voluto salire pure lui sul bus insieme ai suoi ragazzi. Un gigante, di volontà e di umanità. All'arrivo, abbiamo sentito genitori e ragazzi dirgli "Don, grazie per quello che ci dà". Il progetto "Sognando Olympia" non poteva essere in migliori mani.

Ultimo aggiornamento Domenica 04 Giugno 2017 21:30