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La storia delle corse scandita dal ritmo manuale o elettrico delle lancette PDF Print E-mail

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Ci è stato chiesto da un amico che conosce sì l’atletica ma non tutti i passaggi regolamentari, se possiamo fornire qualche elemento circa le differenti «ere cronometriche», a dire quella manuale e quella automatica. Abbiamo stuzzicato la sua curiosità con uno degli articoli in ricordo di Livio Berruti e della finale dei 200 metri a Roma '60. Lo facciamo con piacere, attingendo alle pubblicazioni ufficiali della Federazione internazionale e ad altre di cui qualche nostro socio dispone.

Nella notte dei tempi dell’atletica, tutto era un po’ aggrovigliato: dove si correva? Come? Chi correva? Come si prendevano i tempi? Eppure anche di quello esiste traccia. Esiste un libro inglese del 1803 nel quale tale Walter Thom da conto delle imprese pedestri di un tizio conosciuto come Capitano Barclay: dettagliatissimo, percorsi, nomi degli sfidanti, distanze.C’è chi ha studiato, ha sfogliato vecchissimi giornali di due secoli fa (specialmente nel Regno Unito), e alla fine di tanto lavoro è riuscito a ricostruire sfide, nomi, tempi, località. Uno dei grandi ricercatori fu il tedesco Ekkehard zur Megede, poi venne il britannico Richard Hymans, che ne continuò l'opera. Possono essere considerati i più bravi in questa materia, pur con il concorso di tanti altri. In tema di ricerca sui tempi automatici dei Giochi Olimpici ante 1972 non si può dimenticare il britannico Bob Sparks. Abbiamo scritto 1972, perchè da quella edizione dei Giochi a Monaco di Baviera Il Comitato Olimpico accetta solo i tempi elettrici. In tema di ricerca, oggi si fa poco o nulla, e si copia-incolla molto, e si vivacchia di rendita. 

Noi siamo partiti da Livio Berruti, dalla finale dei 200 metri ai Giochi del 1960Volete sapere qual è (forse) il risultato più vecchio sui 200 metri? Finora si conosce un 22” e mezzo (non esistevano ancora cronometri né con i quinti né con i decimi) di tal George Easthman, britannico, che corse a Manchester il 28 ottobre 1845, in una gara per professionisti, allora era normale scommettere sulle corse, fossero velocisti, podisti, marciatori. E di soldi ne correvano tanti, forse addirittura più di oggi, e c'era sicuramente più passione. Ma non addentriamoci in questo terreno, affascinante ma interminabile e, spesso, indeterminabile.

I 200 metri si corsero in vari modi: in rettilineo, con una curva parziale più o meno…curva, fin che si arrivò ad una regolamentazione precisa. Ma ce n’è voluto…D’altra parte, gli stadi avevano misure diverse, spesso con una circonferenza di 500 metri, quindi le curve erano semicurve. Nel 1912 venne fondata la Federazione internazionale, che si diede le prime norme e, per i 200 metri accettò, all'inizio, un po’ di tutto: rettilineo, curva, semicurva. E si arrivò al 1959, ormai alla vigilia dei Giochi a Roma: da quel momento i Cavalieri del Santo Graal atletico legiferarono che potevano essere accettati come primati mondiali per i 200 metri o le 220 yards (metri 201.168) solo i risultati ottenuti su pista di 400 metri o di 440 yards (metri 402.336). Colpo di spugna sul passato (i tempi sono rimasti come documentazione storico-statistica) e si ripartì a catalogare il primato: il primo venne riconosciuto, andando a ritroso, ad uno statuario velocista nero statunitense, Andrew «Andy» Stanfield (1927 - 1985), purtroppo vittima di ricorrenti infortuni muscolari. Entrò nel sancta sanctorum dei record con un 20”6 ottenuto al Franklin Field Stadium di Philadelphia nel maggio 1951, ed erano 220 yards, per cui ad essere pignoli valeva 20”5. Andy iscrisse il suo nome negli eroi di Olimpia vincendo l’oro a Helsinki ’52 (e il secondo nella staffetta 4 x 100, con un'ultima frazione che diede la vittoria agli States sull'Unione Sovietica) e ancora l’argento a Melbourne ’56.

Completiamo il romanzetto della normativa regolante i 200 metri. Dopo aver codificato la curva completa, si doveva, prima o poi, arrivare al cronometraggio automatico. E ci si arrivò: dal 1º gennaio 1977 solo i tempi automatici potevano essere riconosciuti come primati per 100, 200 e 400 metri. Solita operazione a ritroso nel tempo per verificare le prestazioni con le giuste caratteristiche per l’omologazione. I Giochi Olimpici di México City ’68 fornirono abbondante materiale, grazie anche ai 2240 di altitudine, altro punto dolente che non si è mai voluto affrontare, come invece si è fatto con la velocità del vento (regola dei 2 metri per secondo approvata fin dall'agosto 1936). Lo sprint fu interamente riscritto: 9”95 Jim Hines, 19”83 Tommie Smith, 43"86 Lee Evans. I manuali erano stati: 9”9, 19”8, 43”8. Manuali ed elettrici come si vede un po’ troppo vicini, se è vero che la compensazione fra i due sistemi è di 0.14 per 100 e 200, e di 0.24 per il giro di pista.

Questo, grosso modo, senza la presunzione di totale completezza. Come chiunque può facilmente argomentare, è una chimera pensare di avere apparecchi completamente automatici in ogni angolo del mondo dove si fa atletica, e l’atletica si fa dappertutto. Senza anche immaginare alla necessità di avere persone che li sappiano far funzionare come si deve…Pertanto pieghiamoci al realismo: tanti tempi di gare di sprint in giro per il mondo, ancor oggi, sono delle falsità belle e buone. Oppure si ricorre al caro vecchio cronometro, spacciandolo per automatico. E si fa finta di niente.

La foto che accompagna questa modesta spiegazione è ripresa da un elegante volume edito dalla Omega nel 2007: «Great Olympic moments in time». La compagnia svizzera è la concessionaria della rilevazione dei tempi in tutti gli sport dei Giochi Olimpici fin dalla edizione del 1932 a Los Angeles. E la foto – di cui siamo grati alla compagnia – ci riporta a quell’anno quando, per la prima volta, un congegno elettrico affiancò, ufficiosamente, la rilevazione manuale: lo chiamarono Kirby System. I tempi in centesimi furono rilevati ma, per qualche misteriosa ragione, la Federazione internazionale li tenne nascosti...in nome, beninteso, del progresso... Solo anni dopo il professore ungherese Otto Misangy, che a Los Angeles fu il capo cronometrista, li rese disponibili a studiosi di atletica, la loro trascrizione si conobbe solo nel 2007.