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Fogli sparsi nella memoria di una domenica Primo Maggio di ventisette anni fa PDF Print E-mail

Primo maggio 1994 – Primo maggio 2021. Ventisette anni. Avete presente quello che immancabilmente si lascia scappare il solito «sembra ieri»? Eppure, son proprio ventisette. Al diavolo la banalità: sembra davvero ieri. Si era a Brescia, in un albergo nuovo di nome e di fatto, il Novotel, nel quartiere chiamato Brescia2. Bruno Bonomelli aveva preso congedo da 'sto mondo circa un anno prima. Un tale si fece venire il ghiribizzo di rifare una «setta» di pochi adepti che si occupassero dell'atletica italiana d'antan, atleti, risultati, cronache, evoluzione (o involuzione?) della struttura burocratico-amministrativa chiamata Federazione, di raccogliere testimonianze, di dare una casa a queste rimembranze. Il tale ne parlò a un altro tale, l'incontro avvenne davanti ad un panino di poca sostanza e di molto prezzo all'Autogrill di Firenze Nord. Il secondo tale, dopo aver ascoltato il primo tale, commentò solamente:"Maremma maiala, ti sei inventato un'altra rottura di coglioni che ci darà solo dei dispiaceri". Il secondo tale era di solida radice toscana. L'idea era di un piccolo gruppo, di persone legate dalla stessa passione per le variegate facce dello stesso poliedro: l'atletica leggera. E solo ed esclusivamente l'atletica italiana, cosa che qualcuno, dopo 27 anni, non ha ancora ben capito. Ci furono contatti ad personam,si formò il nucleo. Poi, si dovette allargare, in ossequio a normative cervellotiche.

Se il concepimento era avvenuto all'Autogrill di Firenze Nord, il battesimo avvenne al Novotel di Brescia2. Non c'erano tutti i «protoni» del nucleo costitutivo: uno aveva un invito importante a Imola per il Gran Premio di Formula 1 (dove ci rimise la pelle il povero Ayrton Senna), un altro non potette assolutamente rinunciare alla gara di pesca aziendale, un terzo doveva fare i conti con la malferma salute. Ma andò comunque tutto a meraviglia, sala gremita per il ricordo di Bruno Bonomelli, mancava qualche ominicco-quaquaraqua dell'atletica bresciana, ma niente di importante. Alla fine, si annunciò che la neonata A.S.A.I. aveva emesso i primi strilletti. Su unamime indicazione Roberto Luigi Quercetani fu invitato ad assumere la presidenza, disse non sum dignus, ma alla fine accettò la investitura; Aldo Capanni, la vera colonna dorica, il pilastro, della gestione del gruppo, fu l'inflessibile segretario. Solo in seguito la signora Rosetta accondiscese, senza riserve, alla richiesta di intitolare l'A.S.A.I. alla memoria di suo marito.

Son trascorsi 27 anni. Come disse il mordace toscano, abbiamo avuto i nostri dispiaceri. In particolare quello di accompagnare alla ultima dimora alcuni di quei cari amici degli esordi. Ma abbiamo avuto anche tante soddisfazioni: tenere a battesimo le nostre pubblicazioni (oltre 30), veder crescere questo nostro spazio online, ritrovarci per le assemblee annuali. Il 2020 per motivi che tutti conosciamo ci ha privato di questo momento unificante; nel 2019 nella sede della storica società fiorentina ASSI Giglio Rosso festeggiammo, degnamente, il quarto di secolo. Come sempre tra noi e per noi, con le nostre sole forze, senza chiedere niente a nessuno, senza elemosinare, senza genufletterci. Alla Bonomelli, insomma. E ne andiamo fieri. Oggi, ventisettessimo compleanno, da questo spazio, ringraziamo tutti, proprio tutti. Anzi, prendiamo a prestito una frase (vera? chissà...) che pare abbia pronunciato Francesco Giuseppe I, Imperatore d'Austria, sul letto di morte, circondato da familiari e famigli, da alti dignitari di corte e medagliatissimi militari. Pare che le sue ultime parole furono:" Ringrazio tutti, proprio tutti...anche quelli che non dovrei ringraziare". Vale anche per noi.

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A conclusione di quell'incontro, i soci fondatori presenti (ne mancavano alcuni) posarono davanti all'entrata del Novotel di Brescia. Da sinistra: Alberto Zanetti Lorenzetti, Claudio Enrico Baldini, Ottavio Castellini (che mostra il prototipo del logo dell'Archivio Storico dell'Atletica Italiana eleborato dal designer Martino Gerevini), Raul Leoni, Rosetta Nulli Bonomelli, Roberto L. Quercetani, Luciano Fracchia, Augusto Frasca e Aldo Capanni. Purtroppo, nel corso degli anni, alcuni di questi amici ci hanno lasciato.

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Roberto Quercetani ricordò la figura di Bruno Bonomelli e della loro amicizia nel nome della comune passione per lo studio dell'atletica: Roberto con un occhio quasi esclusivo alla storia e statistica internazionale, Bruno tenacemente ancorato alla evoluzione italiana di questa attività sportiva, e fu il primo a scavare con metodo storico le sue origini. Roberto e Bruno, a Bruxelles nell'agosto 1950, furono fra gli undici fondatori  della A.T.F.S., l'associazione che riuniva, e tuttora riunisce, gli storici e statistici di atletica leggera. Nella foto, da sinistra, Ottavio Castellini, Giulio Signori (del quale pubblichiamo qui sotto il breve e affettuoso ricordo di Bonomelli), Quercetani, Lorenzo Maffezzoni, Alessandro Castelli, Franco Mauro, Giuseppe Mastropasqua e Gabriele Rosa.

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Uno scorcio delle persone presenti quel giorno nella sala del Novotel: la signora Rosetta Nulli Bonomelli, accanto a lei Aldo Capanni, l'on. Gianni Gei, e il giornalista sportivo del «Giornale di Brescia», Ersilio Motta, grande esperto di rugby, e non solo, sempre vicino all'atletica e agli sport olimpici in generale. Dietro alla signora Rosetta, l'on. Sam Quilleri, marito della di lei sorella Agape. Fra il pubblico atleti e dirigenti bresciani sempre vicini a Bonomelli e ai suoi insegnamenti.

 

Quel piccolo branco di giornalisti randagi 

di Giulio Signori

Quando ho conosciuto Bruno erano anni difficili per i giornalisti che avevano l'hobby di seguire l'atletica. I redttori capi dicevano che l'atletica non facevano aumentare la tiratura nemmeno di una copia e scuotevano la testa con aria di disapprovazione quando gli si proponeva di «coprire» un avvenimento sportivo che non riguardasse il culto del pallone o la bicicletta. Così si era formato un branco di giornalisti randagi che andavano dove li portava il profumo di buona atletica, e lì finivano per ritrovarsi tutti insieme, come fossero seguaci di una setta non proprio segreta ma nemmeno del tutto rispettabile. Bruno era il meno giovane del branco, ma si è sempre ben guardato dall'imporre questa sua figura di decano. Odiava il potere, come sanno tutti coloro che l'hanno conosciuto, e al massimo si permetteva di litigare con qualcuno e di riprendere qualche giovane allievo del branco, sempre a scopo didattico, ma si era reso conto che tutti lo rispettavano e molti, anzi, lo amavano.

Di trasferte insieme ne abbiamo fatte a decine, in tutti gli angoli d'Europa dove c'era una pista e dei buoni atleti e quando siamo finiti a Mosca per le Universiadi del '73 aveva addirittura presagito il disfacimento dell'Unione Sovietica:"Un Paese così non ha avvenire" aveva concluso il giorno in cui non era riuscito ad avere l' «Unità» al telefono per trasmettere il suo servizio.

Ma la sua vera e grande battaglia era contro la retorica che considerava uno strumento di sopraffazione da parte del potere. Un giorno a Sarajevo, mentre Risi tentava di raggranellare i punti che mancavano all'Italia per entrare in finale della Coppa Europa, un collega si era alzato in piedi, anzi sull'attenti, mettendosi ad urlare:"Forza Italia, i bersagleri non hanno mai tradito" e altre frasi del repertorio nazional-patriottico che avevano fatto insorgere Bruno: qui si fa dell'atletica, nient'altro che della buona atletica, aveva obiettato rosso in viso. L'idea era di colpire il suo momentaneo avversario usando il mio telefono, cosa che a me seccava abbastanza, e poichè Rosetta, l'unico tranquillante che avesse effetto su di lui, era fuori portata, avevo dovuto fare da paciere.

Le rabbie di Bruno duravano quanto un temporale di primavera, un paio di tuoni che sembra debbano squassare il mondo, un brontolio che annuncia il sereno, e alla sera si tornava tutti amici, in nome dell'amatissima atletica.

Quando ha smesso di far parte di quel nostro branco, qualcuno di noi ha sentito la sua mancanza. Ragionadoci sopra, credo sia stato meglio così. Non gli sarebbe più piaciuto quell'ambiente, nel quale si erano introdotti molti piccoli burocrati ai quali l'atletica importava ben poco se non come strumento per procurarsi qualche vantaggio non sempre da attribuire alle capacità giornalistiche, e tra costoro, francamente, non avrebbe trovato nessuno degno di litigare con lui.