Home News Homepage 1968: baschi neri, aria rarefatta, quattro giovanotti italici che danno l'anima (3)
Message
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

1968: baschi neri, aria rarefatta, quattro giovanotti italici che danno l'anima (3) PDF Print E-mail

alt alt

Le copertine dei primi due numeri della rivista della Federazione nel nuovo formato: quella di marzo fu riservata a Renato Dionisi, primo saltatore con l'asta a superare i cinque metri in una gara al coperto al Palazzo dello Sport di Bologna. La seconda fu un omaggio alla superiorità di Eddy Ottoz, che aveva pochi rivali sugli ostacoli, sia nelle corte gare in pista coperta sia all'aperto

*****

Prima di mangiare il panettone a Natale, i consiglieri federali fecero il loro ultimo compitino dell’anno: si riunirono il 2 e 3 dicembre e ratificarono i primati nazionali conseguiti nei 12 mesi. Furono 25 (di cui sei eguagliavano la prestazione precedente), ventitré degli uomini e solamente due delle donne: Paola Pigni (800 metri) e Maria Vittoria Trio (salto in lungo, il 6.56 di cui abbiamo parlato nella puntata precedente). Silvano Simeon ed Eddy Ottoz fecero incetta: quattro cadauno. Eddy era un metronomo: avrebbe fatto tempi fra 13.6 e 13.9…anche correndo all’indietro. Gian Paolo Urlando (padovano, che aveva iniziato come lanciatore di peso, emigrato alla nuova disciplina nella stagione 1965) fece crescere il lancio del martello (due primati); due pure per Franco Arese (1500 metri) e Pasquale Giannattasio (100 metri, anche di questi abbiamo detto riferendo della Preolimpica messicana). Con un record: il modenese Renzo Finelli, il finanziere friulano Giovanni Pizzi (3000 metri siepi), il giovanotto Renato Dionisi (asta), l'atteso Giuseppe Gentile (triplo) e il «senatore» Abdon Pamich (20 km marcia in pista). E poi le staffette: CUS Roma (Troito-Sicari-Frinolli-Del Buono, 1:53.6 la frazione del campione europeo dei 400 ostacoli) 7:29.6 nella 4 x 800 metri; poi i velocisti della Lilion Snia 40.3 per la 4 x 100 (Agostoni-Sguazzero-Sardi-Preatoni); e per due volte venne migliorato il primato della non frequentissima 4 x 1500: 15:30.2 per le Fiamme Gialle (Gaddeo-Valenti-Ardizzone-Pizzi), poi 15:26.8 per il CUS Roma (Sacchi-Troito-Risi-Del Buono).

Con il numero 43 datato 23 dicembre 1967, direttore responsabile il presidente della Federazione, Giosuè Poli, si chiude la prima parte della vicenda editoriale della pubblicazione federale, che, nel 1933, salutò sulla sua copertina…il primo degli atleti italiani dell’epoca. Dice: chi? Luigi Beccali! No, era molto di più di un campione olimpico, era un Dux. Vedasi "Mussolini, primo sportivo d'Italia" di Lando Ferretti, «Lo Sport Fascista», gennaio 1933. La pubblicazione,  la nostra, quella atletica, nel corso dei precedenti 34 anni, aveva cambiato formato, titolo, periodicità. Ma aveva mantenuto fedelmente la sua ragione di essere: informare il mondo composito dell’atletica leggera italiana. Un trafiletto, con qualche passaggio non proprio felice, annuncia la trasformazione da «notiziario» a «qualcosa di nuovo, moderno, più adeguato ai tempi». Arriverà, dopo qualche mese di tribolata gestazione, «Atletica» formato rivista con cadenza mensile, nelle intenzioni, non sempre è stato ed è così.

1968 – Era di marzo. Su quella copertina nero-verde spiccava un rigoglioso ciuffo capelluto che parzialmente nascondeva una faccia simpatica, sorniona, un sorrisetto sotto il baffetto malandrino. La meritava Renato Dionisi, giovanotto dell’Alto Garda dove inizia quell’imbuto che imbriglia verso Sud il Pelér, vento del Nord che fa volare le vele e i surf che popolano a migliaia quelle acque. L’atletica leggera vive la sua epopea anche nella narrazione dei «muri» abbattuti: il primo sotto un certo tempo…, il primo oltre una certa misura. E ogni specialità ha il suo «muro». Renato Dionisi, in quelle prime settimane, vent’anni compiuti un paio di mesi prima, aveva demolito il suo muricciolo: era il 10 febbraio nell’angusto spazio del Palazzo dello Sport di Bologna, quindi dentro una struttura coperta, fu il primo abitante del nostro allungato stivale a superare i 5 metri nel salto con l’asta. C’erano voluti trentuno anni per elevare di un metro la barriera, da 4 a 5: allora, il 5 agosto 1936, nella finale olimpica ci era riuscito il fiorentino Danilo Innocenti. Altri tempi, altri attrezzi, ma l’atletica è continuità nel progresso. Il resto è aria fritta.

La nuova vetrina editoriale federale si presenta con ricchezza di firme, quindi con un «taglio» più giornalistico che non da bollettino informativo. Poi si avvertirà la necessità di bilanciare i due aspetti. Nuova firma (e obiettivo fotografico) Eddy Ottoz, che raccontò come aveva vissuto il nuovo tartan della pista, e l’altitudine di quella megalopoli più vicina al cielo, e che scrisse in anteprima come sarebbe stata l’Olimpiade, quella Olimpiade. Nelle altre pagine: quasi profetiche quelle (nove) dedicate al salto triplo, con l’analisi degli 83 fotogrammi di un salto del polacco Josef Schmidt, l’unico oltre i 17 metri, fino a quel momento. Vi basti pensare cosa sarebbe stata la finale del 17 ottobre.

E se qualcuno ha ancora un briciolo di buon gusto e di amore per il bello scrivere, ecco allora si vada a rileggere l’esercizio di retorica (per gli antichi stava a identificare l’arte del parlare e dello scrivere in maniera esteticamente piacevole) firmato da Gianni Brera. Scrisse uno dei suoi «profili» (altri ce ne saranno nei mesi successivi, ne riparleremo) e lo dedicò a Eddy Ottoz. Titolo: «Eddy Ottoz o l’esatta follia». Leggete l’attacco: “Il nome Eddy non è nei calendari, non vi fu mai un santo chiamato Eddy…”. La scelta degli ostacoli: “Lui dice di aver seguito l’astuzia, cioè la ragione, nel dare sfogo a un istinto: ai campionati studenteschi, nessuno valeva un granché negli ostacoli: per eccellere in corsa, non vi era che da scegliere quelli: e lui infatti li scelse e vinse”. Un altro brano: “Ottoz non rientra in alcun personaggio che faccia maschera o addirittura macchietta. È semplicemente Ottoz, anzi Eddy, un nome che non è nei calendari. Fa corsa esatta e vale un grandioso 13”4. Se l’ossessione agonistica non riuscirà a bruciarne gli estri, correrà la finale olimpica per la prima o la seconda medaglia”.  “Eddy Ottoz ironizza sull’equilibrio muscolo-intelletto di Giovenale enunciando una sua massima astrusa ma intelligente: mens nevrotica in corpore pathologico”. “Nella nostra religione, che pure non è pagana, l’Olimpo è riservato ai soli grandissimi atleti: poiché Eddy Ottoz lo sa, dovrà ricordarsene a Mexico City”. Non se ne dimenticò.

E da leggere anche il «Roberto Frinolli» di Alfredo Berra, e il «Franco Arese» di Gianni Romeo, due scriba che sapevano far cantare i tasti delle loro Olivetti. Corposa la parte riservata a contributi più propriamente di analisi dell’atletica italiana e internazionale. A chiusura parecchio materiale tecnico, con un taglio più divulgativo che scientifico.

(segue)