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6 dicembre 1981, Fukuoka, Giappone, corri, ragazzo, corri, go Gianni, go... PDF Print E-mail

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Foto (da collezione privata) scattata il 5 dicembre 1981 nel cortile di una scuola a Fukuoka, Giappone. Ospiti d'onore il maratoneta Gianni Poli (quarto da destra), l'allenatore Gabriele Rosa (secondo da sinistra), accanto a lui con la faccia girata Vittorio Brunetti, e, accanto a Poli, Roberto Ottelli, questi ultimi due dirigenti del Club Sportivo San Rocchino di Brescia

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"Il 6 dicembre 1981 era una domenica, sia in Giappone sia in Italia, pur con la normale differenza di fuso orario. Ci svegliammo tutti prestissimo quella mattina, alle cinque. Assonnati ci dirigemmo verso la nostra destinazione: un ristorantino mignon, un metro per un metro, per dire piccolissimo, gestito da due gentilissimi, ossequiosi e atterriti, coniugi nipponici, che avevano dovuto abdicare al possesso dei loro fornelli...se ne era impossessato uno spaghettaro italiano che non ammetteva intrusioni...". Inizia così il raccontino che ci ha inviato un nostro socio, per ricordare un evento che ha segnato il cammino della maratona italiana in quegli indimenticabili Anni Ottanta e marcato l'ascesa di Gianni Poli nell'Olimpo della maratona mondiale.

La città di Fukuoka, a nord dell'isola di Kyushu, la più meridionale delle tre che formano il Giappone, si era resa famosa nel mondo della corsa di lunga distanza, per l'organizzazione di una maratona, prima nazionale e poi, via via, internazionale, fino a richiamare ogni anno alcuni dei più blasonati corridori. Pensate la forza di questi omini con gli occhi bislunghi: nell'agosto del '45 vennero polverizzati dalle prime, e per fortuna uniche, due bombe atomiche che esseri dicesi umani tiraron sulla testa di altri sventurati esseri umani, e neppure due anni dopo misero in piedi una corsa di maratona, una corsa che per loro era un mito. E di lì passarono molti dei grandi. Si corse, quasi sempre, la prima domenica di dicembre.

Ci erano passati anche due bravi maratoneti italici: Pippo Cindolo (nato il 5 agosto del '45, il giorno prima dell'atomica su Hiroshima) il quale aveva concluso, quarto, con tanto di miglior prestazione italiana, e Massimo Magnani, terzo nel 1977. Quel 6 dicembre 1981 un altro giovanotto ci provò. Veniva da Lumezzane, industriosa città della provincia bresciana, aveva mostrato gran talento fin da età giovanile, pareva nato per correre, born to run. Ne curò la maturazione verso la maratona un medico, cardiologo prima, sportivo poi, ex atleta delle varie colonie di Bruno Bonomelli, che ha sempre considerato il suo maestro: Gabriele Rosa, da Iseo, un nome che chi sa un po' di storia risorgimentale non fa fatica a catalogare. Attorno al giovanotto e al suo mèntore, un club di patiti del ciclismo prima, del podismo poi: Club Sportivo San Rocchino, C.S.S.R., sigla che veniva spesso confusa con quella dell'allora Cecoslovacchia. Invece di quartiere della città di Brescia si tratta.

Da questo cocktail di varia umanità nacque una idea che pareva folle, e non mancarono in giro per il mondo dell'atletica italiana sorrisetti di commiserazione, invidie non sono mai mancate, soprattutto verso chi stava fuori dal coro. L'anno prima Poli non era stato mandato ai Giochi Olimpici a Mosca, come avrebbe meritato. Il dott. Rosa ha sempre avuto un «difetto»: quello di pensare in grande. Gianni, si va a correre a Fukuoka, non a Formaga (senza offesa). E così fu: la scommessa partì il 1° dicembre dall'areoporto di Linate, via Parigi, Anchorage (Alaska, per i deboli in geografia), Seoul, e finalmente Fukuoka. Su quei voli salirono Gianni Poli, Gabriele Rosa, Vittorio Brunetti, Roberto Ottelli, e uno scribacchino del «Giornale di Brescia», cerebroleso che partecipò alla scommessa, inviato a sue proprie spese, una figura nuova nel contratto dei giornalisti.

Saltiamo direttamente al finale dell'avventura: Poli, a dimostrazione di quanto valeva, si classificò al quarto posto di una grande maratona vinta dall'australiano con nonno svizzero, Robert «Rob» de Castella, con la miglior prestazione mondiale poco oltre le due ore e otto minuti, poi due giapponesi,  il Pier Giovanni (nome completo del giovanotto) quarto con 2 ore 11'19", numero uno da Vipiteno a Santa Maria di Leuca. Scommessa vinta. Quella trasferta sarebbe degna di un romanzo, e chissà mai che un giorno qualcuno la scriva.

Ma noi sappiamo che i nostri affezionati lettori son molto più curiosi: a loro interessa sapere cosa ci facevano cinque italiani semiaddormentati alle sei del mattino in un localino con uso di cucina nella città di Fukuoka. Dovevano assistere al «rituale del maratoneta», ricordate? la carica di carboidrati cui i corridori si sottoponevano nei giorni precedenti la maratona: montagne di pasta e di patate lessate! Impadronitosi della minicucina, Vittorio Brunetti iniziò il rito della cottura dello spaghetto portato a chili nelle valige di tutti. Poi saltarono fuori i barattoli di burro di Soresina, si vendono ancor oggi, son gialli, il burro è sempre stato uno dei migliori. E poi, poteva mancare? Parmigiano-Reggiano, il re. I due quasi ex proprietari delle pareti, guardavano le evoluzioni di Vittorio con aria tra il preoccupato e l'ammirato, alternando sorrisi a facce immobili. Si produsse il miracolo. Adesso va di moda il «siamo tutti...qualcosa» per far sentire la nostra vicinanza, altra balla dell'Era Moderna. Chi era là, quella domenica mattina di quarant'anni fa, sentenziò «siamo tutti maratoneti», e giù forchettate di spaghetti. Che riempirono lo stomaco anche di Robert de Castella e di sua moglie che si erano uniti. Quegli spaghi, quel burro e quel parmigiano-reggiano favorirono un primato del mondo e uno italiano. Merito di Vittorio Brunetti e della solidarietà fra maratoneti acquisiti.

Sembra ieri, invece era quarant'anni fa.