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Ai tempi del Brambilla e del Poggioli, quando cominciavano a volare i primi martelli PDF Print E-mail

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A destra: siamo ai Giochi Olimpici di Amsterdam 1928; posano il vincitore del lancio del martello, l'irlandese emigrato negli Stati Uniti Pat O'Callaghan, giocatore di rugby che aveva scoperto l'atletica da pochi mesi, e il tarchiato modenese Armando Poggioli, quarto a meno di settanta centimetri dal terzo. A fianco, un disegno scozzese di epoca vittoriana, che riproduce probabilmente un eroe della saga dei Fenians che lancia il martello da fabbro durante una festa popolare. Si noti la testa dell'attrezzo di forma sferica

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Qualche giorno fa abbiamo cercato di intrattenervi sulle storie personali di due atleti che hanno avuto un ruolo nella narrazione del lancio del martello nel nostro Paese. Bella specialità fatta di forza, agilità, equilibrio, esercizio per uomini forti ma non solo forti, ma di grande coordinazione muscolare. Una delle prove dell’atletica leggera che affonda le sue origini in terre come l’Irlanda, le varie Nazioni inglesi, i Paesi nordici, dove si praticava con altri esercizi di forza (il lancio della pietra o del tronco d’albero) durante le feste popolari. Chiunque abbia sfogliato qualche libro di storia non può aver scordato il frequente dipinto che ritrae il barbuto e forzuto re Enrico VIII d’Inghilterra nell’atto di gettare uno strano artefatto formato da un manico sormontato da una palla di ferro. Era un antenato del martello che si sarebbe poi lanciato sui campi sportivi ed è arrivato, rivisto ed aggiornato, fino ai giorni nostri. Un cammino non facile, perché è un esercizio che non è andato mai a genio ai padroni del vapore sportivo. Spesso si è cercato di farlo fuori, con la scusa, non del tutto infondata, che è pericoloso, altre volte lo si è relegato fuori dallo stadio principale per salvaguardare il sacro manto erboso; ultimamente questo manto tende sempre più ad essere sintetico, e così, secondo noi, il lancio del martello verrà bandito per sempre dagli stadi principali. Noi proponiamo di far lanciare il martello all’interno degli edifici degli assessorati allo Sport, e anche all’interno degli eleganti uffici che ospitano tante inutili strutture sportive. Terroristi? Forse. Dimenticavamo: con la scusa della protezione, c’è anche chi ha fatto dei begli affari costruendo delle vere e proprie cattedrali attorno alla pedana del lancio, imponendole in tutti gli stadi per poter concedere l’omologazione.

Torniamo a casa nostra. Mentre ci occupavamo di Silvano Giovanetti (sì, amici premurosi che volevate farci le pulci: Giovanetti, una sola «enne» non due) ci siamo imbattuti in uno scritto di tal Bruno Bonomelli, maestro elementare bresciano (che è il titolo cui teneva di più), nel quale ci raccontava una bella favola, del tipo «c’erano una volta in un Paese chiamato Italia degli uomini grandi e grossi che lanciavano una strana cosa chiamata martello…». Su una pubblicazione di quei tempi – 1958 – si chiamava «Sport Italia» e veniva stampata dalla società SISAL, quella del Totocalcio, l’orco Bonomelli si era conquistato un grande spazio per parlare di atletica. Incredibile ma vero: sulla rivista del calcio che attraverso il concorso Totocalcio sosteneva tutto lo sport italiano e dava anche una bella fetta di quattrini al nostro vorace Stato. Alla fine di ogni stagione atletica, Bonomelli stendeva i bilanci dell’atletica leggera italiana, disciplina per disciplina, corredando la parte scritta con grafici, analisi statistiche, ecco, appunto, queste erano statistiche non compilazioni.

Il 24 giugno 1958 su «Sport Italia» apparve il bilancio del lancio del martello. In questa occasione, oltre alle liste e ai grafici, Bonomelli raccontò aneddoti e personaggi. Riproduciamo il testo.

«Quei pochi che in Italia si occupavano anteguerra (n.d.r. della Prima guerra mondiale) di atletismo, conoscevano il lancio del martello dai risultati ottenuti all’estero che ogni tanto si leggevano sulle gazzette sportive, e fra quei pochi ve n’era qualcuno che lo conosceva per averlo visto alle Olimpiadi di Londra e di Stoccolma. Nessuno però credette che fosse un esercizio che potesse appassionare i nostri atleti; anzi sembrò ai più una branca dell’atletismo di un esotismo tale che non avrebbe mai trovato fra noi i cultori».

Così scrive Emilio Brambilla in quel volume edito da Corticelli e pubblicato a Milano nel 1929 e che noi abbiamo già citato varie volte. Quando però il lettore avrà dato uno sguardo alla cronologia ufficiosa del primato del mondo non potrà non accorgersi che invece il lancio del martello è il padre di tutti i lanci moderni. Nel 1860 si disputavano infatti competizioni e con un regolamento che non si discosta di molto da quello odierno.

Nel 1891 il lanciatore venne fatto prigioniero di un circolo del diametro di 7 piedi; fermo restando i due principi: a) peso dell’attrezzo non minore di 16 libbre; b) lunghezza totale dell’attrezzo (palla più filo) non superiore a 4 piedi.

Ed eccoci al 1920. Emilio Brambilla, allora membro della F.I.S.A., pensò di inserire nei campionati nazionali il lancio del martello. Non trovò però nei colleghi né entusiasmo né consensi. Cosicché egli, per poter realizzare la propria idea, dovette non solo pensare a trovare l’attrezzo – il che era allora assai difficile – ma dovette provvedere anche alla dotazione dei premi. La gara ebbe luogo sul campo dello Sport Club Italia, alla Baggina, e venne vinta da Berardi, vecchio e noto ginnasta della Fortitudo di Bologna, che lanciò l’attrezzo come Dio volle, precedendo altri tre atleti. Fu quella di Berardi la prima misura che si iscrive nell’albo d’oro dei primati italiani. Oggi il Berardi è Presidente dell’Automobile Club di Bologna”.

Nella graduatoria di fine anno 1920 oltre ai cinque del Campionato italiano della Federazione Sport Atletici compare il nome di Armando Poggioli, di cui vi abbiamo già detto qualcosa, il quale, congedato, riprese l’attività sportiva e si impegnò soprattutto nel martello. Forse avremo occasione di riparlarne.