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Giulio Signori scrisse con garbo ed eleganza: Dionisi, la catapulta fra le vigne PDF Print E-mail

L'estensore di queste note desidera ringraziare l'amico Vittorio Colombo, in passato giornalista de «L'Adige» di Trento, che fu compagno di club di Renato Dionisi alla Benacense e suo amico per tutta la vita. Vittorio fu buon atleta delle prove multiple. Oggi si occupa prevalentemente di storia locale a Riva del Garda, ed è autore di vari libri di successo. Vittorio ci ha messo a disposizione l'articolo di Giulio Signori che qui riproduciamo, di questo gli siamo grati. Quanto alle foto di Renato Dionisi nel suo ambiente familiare, con mamma e papà, e fra le vigne, sono riprodotte dalla copia del giornale di quasi sessant'anni fa, quindi la qualità lascia a desiderare.

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Un «Pennel» italiano non è un sogno, né un’utopia: date un’asta in fibra di plastica ad un sedicenne appassionato dell’acrobatico esercizio ed avrete, dopo il giusto periodo d’addestramento, il campione in potenza. All’Acqua Acetosa, l’allievo della S.S. Benacense, Renato Dionisi, in difesa dei colori di Trento, ha fornito un eloquente esempio in tal senso: dopo soli quattro giorni di allenamento intenso (circa 100 salti) con un attrezzo molto flessibile (125 libbre) su di un rudimentale pistino ricavato fra due filari di viti e con alcune balle di paglia in luogo della buca di atterraggio, ha progredito di 20 cm. rispetto al suo vecchio «personale» e, con 3,60, ha battuto la «migliore prestazione italiana» già detenuta da Savino e Pasetti con 3,50. Dionisi ha stabilito il nuovo primato alla prima prova e successivamente ha tentato i 3,70 sbagliando di pochissimo alla seconda. Il promettente astista è nato il 21 novembre del ’47 a Riva di Trento ed è allenato dal prof. Giuliani”.

Pennel? Chi era costui? Speriamo che sia rimasto qualcuno in questa landa desolata che sappia che stiamo parlando di tal statunitense John Pennel, nato nel Tennessee, e non di un pennello marchio Cinghiale, ricordate lo spot? quello che faceva «non ci vuole un grande pennello, ma un pennello grande». Pennel fu uno dei primi a saper domare le bizze dell’asta in fibra, l’attrezzo che si piegava come si diceva allora. E fu l’atleta che innalzò il primato del mondo da 4,95 a 5,44, anche se molte volte non si vide riconosciuto un nuovo primato grazie a cervellotiche decisioni dei tenutari delle procedure di ratifica della Federazione mondiale. Ma lui se stracatafotteva e continuava a salire. Morto giovane, purtroppo, John di Memphis.

Paragonare un ragazzino che doveva ancora compiere 16 anni al mostro sacro americano, forse parve un tantino azzardato. Ma Ruggero Alcanterini (una pedina saldamente avvitata nello scacchiere federale costruito da Primo Nebiolo) che lo scrisse sulla rivista «Atletica» (numero 37, del 19 ottobre 1963) aveva avuto vista lunga. Lo osservò a Roma durante la conclusione del terzo Trofeo delle Province, manifestazione per allievi. Il ragazzino di Linfano, frazioncina dalle parti di Arco – Riva del Garda dove i suoi avevano un podere agricolo, quel giorno vinse con 3,60, e non vi diciamo altro perché lo ha già scritto Alcanterini. Annotazioni ad abundantiam, per nomi che negli anni successivi «saranno qualcuno»: Roberto Gervasini piegato da Petranelli sui 600 metri, mentre Pippo Ardizzone si dovette accontentare della finale dei secondi; pure «o’ Saraceno» di Salerno, Erminio Azzaro fu secondo nel salto in alto al romano Scolastici; e chissà se a Giacomo Crosa farà piacere ricordare del sedicesimo posto in quella gara con un pauperrimo 1,60, terz’ultimo.

Ma adesso vi lasciamo alla lettura di un bellissimo «pezzo» di uno dei giornalisti che maggiormente abbiamo apprezzato nel nostro non breve bazzicare nel mondo della carta stampata e anche non stampata: Giulio Signori, del quale molti hanno detto e scritto «signore di cognome e di fatto». Non possiamo che confermare, con convinzione, avendolo conosciuto e frequentato. Signori, venuto dal «Guerin Sportivo» passò poi a «Il Giorno» e fu responsabile delle pagine sportive, avendo fra i suoi redattori il suo mentore Gianni Brera. Giulio Signori andò nella bassa campagna trentina a visitare ‘sto ragazzino di cui tanto ben si diceva. Ed ecco cosa scrisse da Linfano, il 9 agosto 1964, quando già Renato aveva iscritto il suo nome nell’albo d’oro del primato nazionale.

“Quando noi grandi rivolgiamo ad un ragazzo la solita domanda «Cosa vuoi fare da grande?» ci aspettiamo delle risposte normali: il medico, l’ingegnere, l’avvocato, magari il ferroviere o il corridore automobilista. Mai e poi mai ci aspetteremmo di sentirci rispondere «il saltatore con l’asta». Eppure questa sembra essere la più grande aspirazione di Renato Dionisi, diciassette anni a novembre, figlio di agricoltori di Linfano, un villaggio dalle parti di Riva del Garda. Renato Dionisi non aveva mai fatto sport fino a due anni fa: niente pallone, niente bicicletta, che sono i mezzi di evasione che più affascinano i ragazzi di paese. Dionisi no: con il suo amico Righi si è procurato un’asta metallica, non è chiaro in che modo, ed ha cominciato a saltare nel breve spazio fra un filare di viti e l’altro, attento a non andare a finire nell’orto a rovinare il radicchio. Dalle finestre della vecchia casa di via Rivana a Linfano la madre guarda e scuote la testa: meglio così, in fondo, piuttosto che vada a infilare monete nel juke-box al bar, o peggio. In fondo, Renato a scuola, l’Istituto professionale di Riva del Garda, è bravo, lasciamo che si sfoghi così.

Un’asta antidiluviana

Di tutto questo traffico del Dionisi e del Righi viene a conoscenza il professor Fabio Giuliani, che insegna educazione fisica all’Istituto professionale ed è allenatore della Benacense; reclutare i ragazzi per fare atletica è difficile almeno come indurli a credere che la ginnastica in palestra faccia bene al corpo e allo spirito. Così Renato Dionisi viene indotto a esibirsi finalmente in pubblico con la sua asta metallica antidiluviana. Si sa che in America hanno scoperto, per i saltatori con l’asta, un propellente che si chiama fiberglass, ma prima che arrivi a Riva del Garda, si dice il professore, ne dovrà passare di tempo.

Al campo comunale di Riva, Renato Dionisi fa la sua prima apparizione in pubblico, non è una gara vera e propria, è una esibizione assai più vicina alla scalata all’albero della cuccagna che non a una manifestazione atletica. Renato salta 2,70 fra l’entusiasmo dei compaesani, pochi dei quali immaginavano che con un tubo metallico fosse possibile andare così in alto.

Il bravo professor Giuliani non perde tempo, gli fa firmare il cartellino per la Benacense e lo fa lavorare d’inverno in palestra, per presentarlo all’inizio dell’anno scorso nelle prime gare per gli allievi. Sempre con l’asta metallica Dionisi fa tre metri alla prima gara, 3,20 alla seconda, 3,40 alla terza. E l’amico Righi sempre dietro a lui. Il professor Giuliani li manda tutti e due ai campionati nazionali per gli allievi, per farli vedere ai tecnici federali in cerca di nuovi talenti per rinsanguare il vivaio nazionale. Ai campionati di Bologna c’è tale Pasetti da Treviso che salta 3,50. Dionisi e Righi fanno secondo e terzo con 3,40 e 3,35.

Poi c’è il Trofeo delle Province a Roma. Poiché vi è ammesso soltanto un atleta a specialità per provincia, Dionisi e Righi si scannano fra di loro nella selezione. La spunta Dionisi. Ma il suo amico Righi non digerisce l’affronto e nello stesso giorno, il 13 ottobre, a Trento batte con 3,53 il record di categoria. Dionisi sembra raccogliere la sfida e a Roma salta 3,60. Da meno di una settimana ha avuto finalmente l’asta in fiberglass, una conquista che esaudisce una delle sue più grandi aspirazioni. Con il fiberglass fa vedere di essere finalmente qualcuno: finisce la stagione con 3,76, che non è proprio niente male per un ragazzo di sedici anni.

È troppo leggero

A chi lo intervista confida che quel primato allievi era «un sogno che diventava realtà». Il professor Giuliani se lo lavora in palestra per tutto l’inverno. Renato ha scatto, velocità, un’innata eleganza nel gesto atletico. È addirittura violento nel «caricamento» dell’asta, la fase-chiave del moderno salto con l’asta, quello fatto con il fiberglass. Il «caricamento» consiste nel trasmettere all’asta tutta la forza d’inerzia acquisita con la rincorsa, affinché l’asta stessa restituisca questa forza raddrizzandosi dopo lo stacco e catapultando l’atleta al di là dell’asticella.

La sua prima asta in fiberglass finisce male sotto la spinta violenta di Renato che la spacca quasi subito: è un buon indizio, in fondo, se è riuscito a tanto, vuol dire che ha della birra in corpo. Così al posto di quell’asta da 14 piedi gliene danno una più pesante, da 16 piedi: ora dicono i tecnici è già matura per un’asta più pesante.

Il guaio di Dionisi, dicono ancora i tecnici, è che il ragazzo è troppo leggero: i suoi 68-69 sono pochini per consentirgli di «caricare» l’asta come sarebbe augurabile. Così leggero rischia di essere respinto dall’asta indietro sulla pedana. Gli attuali «big» del salto con l’asta son tutti dei pezzi d’uomo dal peso molto vicino ai 90 chili.

Che Dionisi sia già riuscito a superare 4,50, che è il meglio che sia mai stato fatto in Italia, è già un fatto sorprendente, ed è ancor più sorprendente che egli abbia dato a tutti l’impressione di poter migliorare questo limite, al quale è arrivato con una progressione costante in questa stagione. Il problema è dunque quello di dargli il peso che non ha: una cura intensiva di bistecche che gli diano quei fasci muscolari che ancora gli fanno difetto.

Non gli fa proprio difetto, invece, il temperamento. Non si diventa campioni senza avere quel «quid» psicologico che fa difetto a molti atleti, macchine magari perfette, ma senza la scintilla psicologica necessaria. Che Dionisi abbia anche il temperamento lo ha dimostrato nell’incontro con i francesi ad Annecy il luglio scorso. Quanti nostri abatini (ce ne sono fin troppi anche nell’atletica…) si sarebbero smontati per quell’errore dei giudici che all’improvviso hanno confessato di aver sbagliato di venti centimetri nell’annunciare l’altezza dei salti? Lui, Dionisi, non ha fatto una piega, ed ha continuato come se nulla fosse, facendo il record nazionale proprio in quell’occasione.

In attesa che Dionisi si rimpolpi, accontentiamoci del suo primato di 4,50. Lasciamo che il tempo lavori per lui: abbiamo aspettato per anni un saltatore con l’asta capace di limiti decorosi in campo europeo, che possiamo attendere con pazienza che Dionisi maturi.

Non dobbiamo nasconderci che la misura di 4,50 in campo internazionale non rappresenta assolutamente nulla. In tutto il mondo si sono fatti progressi prodigiosi anche nel salto con l’asta: noi partiamo da Dionisi, pressoché da zero. Dionisi ha il vantaggio di non essere stato capace di imparare a saltare con l’asta rigida, quella che è stata completamente tolta di mezzo dal fiberglass. Lasciamo ora che torni a giocare fra i filari della vigna del padre con la sua asta nuova, con il suo amico Righi, concediamoli tempo e fiducia, e diamogli appuntamento per il 1968, per le Olimpiadi di Città del Messico, e speriamo che il salto con l’asta rimanga la sua grande passione.