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Armando Sardi e Ennio Preatoni, due più due fa quattro, quattro fa una staffetta PDF Print E-mail

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Da sinistra: siamo nel 1963, Ennio Preatoni, Armando Sardi e Sergio Ottolina sgambettano sulla pista del Campo Scuole di Brescia. Alle loro spalle si intravedono i capannoni dell'azienda chimica Caffaro, le cui scorie inquinanti, veleni e Dio sa quant'altro sono ancora lì, nel cuore della città della Leonessa. E dopo sessant'anni e sessanta miliardi di chiacchiere inutili nessuno trova una soluzione. Uno dei tanti, enormi scandali di questo Paese dove si sbriciolano le montagne e di pari passo la moralità. "Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province ma bordello"


Negli ultimi giorni i nomi di due importanti atleti dello sprint italiano, Armando Sardi ed Ennio Preatoni, si sono, casualmente, intrecciati sul nostro spazio Facebook che noi usiamo, seppure con molta moderazione. Abbiamo ricevuto uno di quei messaggi che si usano oggi, tipo faccine e pollicini alzati, talvolta perfino cuoricini quasi fossimo un sito di single solitari.  E a noi è venuto in mente che in archivio abbiamo alcune foto prese al Campo Scuole di via Morosini, a Brescia, che potevamo usufruire in questa occasione. Il primo messaggio di apprezzamento per qualcosa che avevamo pubblicato ce lo ha spedito Armando Sardi, ricordate? il velocista con gli occhiali, quasi sempre scuri, originario di Monza, gran staffettista.

Un paio di riferimenti, fra i tanti che si potrebbero fare. Giochi Olimpici Roma 1960. Il quartetto italiano schierò Armando Sardi – Pier Giorgio Cazzola – Salvatore Giannone – Livio Berruti, un lombardo, un veneto, un napoletano e un piemontese. Batterie, per gli azzurri la seconda, che vinsero davanti ai nigeriani: 40 netti manuale, 40”16 elettrico, nuovo primato italiano, il precedente durava dal 1956 (40”1). Semifinali, ancora la seconda: il quartetto turbo-jet americano vinse indisturbato, gli azzurri secondi (40”2/40”29) per un pelo sui sovietici, il cronometraggio elettrico ufficioso dice un centesimo. Finale: a riprova della teoria di un nostro amico allenatore, il quale sosteneva che il più importante segreto tecnico di una staffetta…è portare il bastoncino al traguardo, gli yankee il bastoncino lo portano sì al traguardo ma avendo cambiato in maniera irregolare. Dunque, Stati Uniti squalificati. Sai quante altre volte succederà a loro…Vinsero i tedeschi della Repubblica Federale, con primato mondiale eguagliato (39”5/39”66), fecero mangiare la polvere a tutti: sovietici secondi (40”1/40”24), inglesi terzi (40”2/40”32). Nel cronometraggio manuale gli azzurri ebbero lo stesso tempo (40”2), nell’elettrico un misero centesimo (40”33) ci separarono, quindi quarti. Dalla cronaca della «Gazzetta dello Sport» si può leggere: “I nostri hanno effettuato cambi buoni, però non mostrandosi irresistibili nella corsa. Per di più Giannone accusava un dolore alla coscia destra, costretto in una grossa fasciatura elastica. Berruti è uscito ultimo sul rettilineo, ed è avanzato sin quasi a pareggiare gli inglesi”.

Secondo collegamento con la foto. I tre atleti che sgambettano sulla pista bresciana a beneficio del fotografo sono, da sinistra, il giovane Ennio Preatoni, di Garbagnate, a quei giorni non ancora diciannovenne, Armando Sardi e Sergio Ottolina, altro lumard di Camnago Lentate. Dalla data della foto, giugno ’63 più o meno, trascorrerà un anno per applaudire il nuovo primato italiano della staffetta veloce e il primo tempo di un quartetto italiano sotto i 40 secondi: 39”8. Si schierarono così: Livio Berruti in prima, e poi nello stesso ordine della foto – coincidenza – Preatoni, Sardi, Ottolina. Avvenne a Saarbrücken nell’incontro con la Germania. Il giorno dopo Ottolina fece il primato europeo dei 200 metri: 20”4. Preatoni sarà componente fisso della staffetta 4x100 in altri sei primati nazionali fino al 1972 e al tempo di 39 secondi netti. Ebbe come compagni…di bastoncino due campioni olimpici: prima Livio Berruti e poi Pietro Mennea, che lo sarebbe diventato.

Quante cose può raccontare una foto! Che dedichiamo ad Armando e a Ennio.