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Gennaio 1953: se ne vanno Marina Zanetti e Alberto Bonacossa, pionieri dello sport PDF Print E-mail

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Nella foto di apertura: una plastica immagine di Marina Zanetti nell'atto di lanciare il giavellotto. La foto è ripresa dal libro di Marco Martini «Gonna-pantalone o calzoncini corti?», uno sguardo unico e documentatissimo sullo sport femminile in Italia nei primi decenni del Novecento. Al centro: riproduzione della testata «Lo Sport Illustrato» n.17 dell'aprile 1921, settimanale della «Gazzetta dello Sport» che usciva la domenica. L'articolo di apertura di quel numero era firmato dal conte Alberto Bonacossa sul tennis italiano

Il mese di gennaio dell’anno 1953 lasciò un segno triste nello sport italiano. In due giorni (28 e 30), se ne andarono, entrambi a Milano, due personaggi che ebbero ruoli importanti nel movimento sportivo nazionale, furono, in una parola, dei «pionieri». La signora Marina Zanetti maritata Kunz, torinese, nata nel 1904, donna – si narra – di grande fascino ed eleganza, si avvicinò all’atletica e si dedicò in particolare ai lanci, peso disco e giavellotto. Stiamo parlando dell’inizio degli anni ’20. Nella brillante ricostruzione delle «Olimpiadi della grazia», uno dei primi eventi sportivi dedicato alle donne che si celebrò a Firenze nel 1931, nel loro documentato lavoro pubblicato qualche anno fa sul nostro sito, i due autori, Gabriele Manfredini (nostro socio deceduto prematuramente) e Gustavo Pallicca, scrissero: “Zanetti fu anche giocatrice di pallacanestro conquistando il titolo di campione d’Italia nel 1924 con il Club Atletico Torino. Fece parte più volte della nazionale di basket che muoveva i suoi primi passi in Europa, e in seguito ricoprì anche incarichi in seno alla federazione internazionale femminile di pallacanestro, organismo che poi venne assorbito dalla FIBA. Negli anni ’30 fu attratta dalla scherma e divenne ben presto una apprezzata spadista distinguendosi in molti tornei in Italia e all’estero. Fu molto attiva anche nella pubblicazione di articoli che trattavano il rapporto donna e sport, collaborando con il Littoriale di Bologna e Lo Sport Fascista di Lando Ferretti. Ma fu soprattutto donna molto vicina alla politica del suo tempo e dirigente della Federazione dei Fasci Femminili». E fu anche fra le organizzatrici della edizione fiorentina delle «Olimpiadi della grazia».

Il conte Alberto Bonacossa nacque a Vigevano nel 1883. Eccelse dapprima nel pattinaggio su ghiaccio, poi fu chiamato in guerra e ne uscì con una medaglia d’argento al Valor Militare. Fu uno dei migliori tennisti della sua epoca, tanto che, proprio in questa disciplina prese parte ai Giochi Olimpici di Anversa del 1920. Nel 1914 fu autore, insieme a Gilberto Porro Lambertenghi, altro dei migliori tennisti dell’epoca, morto durante la ritirata di Caporetto nel 1917, di quello che viene considerato il primo libro italiano di storia e tecnica di questa disciplina; lo pubblicò e ne rifece varie edizioni la Casa Editrice Hoepli. Bonacossa praticò parecchi sport: Motociclista, sciatore, alpinista, anche calciatore, non ci credereste, nella squadra di Zurigo: «Grasshoppers», fondata da uno studente britannico, tant’è che il nome – poi sempre mantenuto – significa nella lingua inglese «cavallette», la parola grass sta per erba, hoppers coloro che saltano, quindi i saltatori di erba. Da atleta praticante, per tutta la vita, Bonacossa volse il suo duraturo interesse alla dirigenza sportiva: Moto Club d’Italia, Federazione Italiana Sport del Ghiaccio, Federazione Italiana Hockey, Federazione Italiana dello Sci, e anche quella del pattinaggio a rotelle; fu presidente dell’Automobile Club d’Italia. Creò, dopo aver visto i tornei di Parigi e di Wimbledon, I Campionati Internazionali d’Italia di tennis, con sede a Milano.  Fu membro del C.I.O. dal 1925 fino alla morte. E in mezzo a tutto ciò, ebbe cuore la carta stampata, prima come editore de «Il Littoriale» e poi della «Gazzetta dello Sport». Un posto importante nel Pantheon dello sport italiano.

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Diamo adesso una scorsa al numero 2, 31 gennaio, del quindicinale «Atletica». Solite quattro pagine, e pareva un lusso…nonostante i 120 milioni ricevuti come contributo conifero. In apertura, uno scritto di Giorgio Oberweger sul salto in lungo, un testo che era già apparso su «Italia Sportiva», periodico di sport studentesco edito dal C.O.N.I.; direttore era Sisto Favre, che Giulio Onesti aveva chiamato all’Ente fin dall’inizio della ricostituzione nell’immediato Dopoguerra.  Completavano la «prima» l’ordine del giorno del Consiglio nazionale del Gruppo Giudici Gare, e un documento diramato dall’Ufficio di educazione fisico-sportiva del Ministero della Pubblica Istruzione: tema il brevetto atletico per l’attività femminile, un testo lunghissimo che occupava tutta la terza pagina e perfino parte della quarta.

Quattro colonne su cinque della seconda erano riservate ai Comunicati federali, la quinta informava sulle riduzioni ferroviarie concesse alle società per i viaggi dei loro atleti. Abbiamo aguzzato gli occhi nei minuscoli caratteri a stampa delle comunicazioni e ne abbiamo ricavato qualche curiosità. A seguito dell’Assemblea lombarda (Milano, 11 gennaio), Bruno Bonomelli e Sandro Calvesi erano stati eletti nel Consiglio, insieme ad alcuni altri che formeranno l’ossatura dirigenziale regionale per decenni: l’indimenticabile Mario Bruno, il milanese mite e educato Carlo Monfredini, Adolfo Tammaro, fratello di Renato, colonne portanti dell’Atletica Riccardi; presidente era Vincenzo Ferrario. Con Bonomelli e Calvesi, eletti anche delegati al Congresso nazionale, c’era pure il «vate» del giornalismo sportivo nazionale, Gianni Brera, che in quel momento era direttore della «Gazzetta dello Sport». In Piemonte, presidente Francesco Diana fin dal 1946, per i delegati al Congresso, fra i supplenti (coloro che potevano rimpiazzare un eletto impossibilitato a partecipare) faceva capolino il nome di uno della serie «saranno famosi»: il dott. Primo Nebiolo, che non aveva ancora abbandonato la pedana del salto in lungo, tanto che chiuderà quell’anno, in forza al CUS Torino, con un più che dignitoso 6,62, ventitreesimo nelle liste nazionali di fine stagione.

Nel Lazio fu eletto presidente Ferruccio Porta, un altro gentiluomo che spese parte della vita nell’atletica in ruoli tecnici e dirigenziali. In Consiglio entrarono Giovanni Diamanti e Mario Vivaldi. Ritroveremo il primo vicino alla «cupola» direttiva della organizzazione tecnica dei Giochi Olimpici 1960 (come anche Porta): fu segretario della Giuria Olimpica a fianco di Ottaviano Massimi e di Cesare Bergonzoni; durante il Congresso della I.A.A.F., tenutosi a Roma durante i Giochi, Diamanti fu chiamato a far parte della neocostituita (fu la prima volta) Commissione per la corsa campestre, mentre Pasquale Stassano entrò in quella per l’atletica femminile. Mario Vivaldi, dal 1948 (anno di fondazione) al 1953, fu responsabile della Commissione atletica dell’U.I.S.P., Unione Italiana Sport Popolare, l’ente sportivo vicino al Partito comunista. Vivaldi entrerà poi al C.O.N.I. e ne sarà apprezzato dirigente. Fra i delegati alle Assise nazionali il nome di Alfredo Berra, torinese, mezzofondista negli anni giovanili, giornalista in diverse testate piemontesi, trasferitosi a Roma su chiamata di Bruno Zauli, contribuì con i suoi scritti al bollettino federale. Fu Berra, proprio nel 1953, a sostituire Vivaldi alla guida della Lega di atletica, quella che prima di chiamava Commissione. Berra rimarrà in questo incarico per dieci anni, fino al 1963, quando sarà rilevato da Giorgio Lo Giudice, romano che più romano non si può, atleta, allenatore, assistente tecnico, giornalista alla redazione romana della «Gazzetta dello Sport», da parecchi anni socio del nostro Archivio. Fra i nomi dei delegati supplenti quello di Ercole Tudoni, un mito a Roma nel mondo del «tacco e punta», leggi «marcia».

Le informazioni federali proseguivano con i passaggi di «serie». Ripetiamo quanto già scritto altre volte, ma può servire. Negli ormai lontani tempi, nel nostro sport gli atleti erano inquadrati non in base all’età come oggi (seniores, juniores, ecc.) ma alla qualità delle loro prestazioni. Esistevano la Prima, la Seconda e la Terza serie. Il Comunicato numero 9 del 28 gennaio 1953 ci racconta chi era diventato bravo e meritava di essere inserito nella élite. Spulciamo la lista e segnaliamo, a nostra discrezione: il maratoneta toscano Artidoro Berti (ultimo degli arrivati alla maratona olimpica di Helsinki ’52); il giovanissimo lunghista piemontese (non ancora diciassettenne) Attilio Bravi; la velocista Giuseppina Leone (che aveva compiuto i diciotto anni da pochi giorni), la miglior velocista della storia atletica italiana, cinque finali olimpiche su tre edizioni; altro velocista, soprattutto 200 e 400, Vincenzo Lombardo, che ebbe in seguito una grande carriera nelle Fiamme Gialle, fino al grado di Generale; sempre nello sprint Carlo Vittori, che aveva preso parte ai Giochi di Helsinki (100 e staffetta, che non prese la partenza in semifinale per un malanno occorso a Franco Leccese) e capolista 1952 con 10”6, oltre a 22” netti sui 200. Di Vittori – il cui nome sarà indissolubilmente legato a quello di Pietro Mennea – Alfredo Berra, a commento dei Giochi sul numero 21-22, anno 1952, del bollettino federale, scrisse:” […] desideriamo distinguere Vittori, sempre prodigo e attivo…”.

Nel successivo Comunicato numero 10 – ascesa alla Seconda Serie – troviamo i nomi del giavellottista Giovanni Lievore, poco più di 56 metri l’anno prima, primo italiano a bucare il prato oltre la linea degli 80 metri; dei velocisti Sergio D’Asnasch, Giovanni Ghiselli e Guido De Murtas, tutti uomini veloci che diedero tanto come componenti delle staffette 4x100 azzurre negli anni a venire; del non ancora ventenne fiorentino Piero Massai, che con Enzo Rossi e Sandro Giovannelli comporrà la «triade» tecnica federale negli anni ’80, lui al settore giovanile, e che fu arbitro di pallacanestro fra i più stimati a livello internazionale; di Massimo Massara, marciatore e poi apprezzato giornalista politico in testate nazionali; del gigante toscano Silvano Meconi, che portò il primato nazionale del peso da meno 16 a ridosso dei 19 metri; dei fratelli Giovanni e Abdon Pamich, ed è come dire l’Olimpo della marcia; di Paola Paternoster, poi pluriprimatista e campionessa nazionale; dell’altro marciatore Stefano Serchinich, lunga e onorata carriera. Ripetiamo: solo una selezione.

Giriamo pagina: la quarta. Sapete quali erano le città con il maggior numero di Gruppi sportivi scolastici? Napoli 90, Roma 88, Torino 71, Milano 67, la più scarsa Aosta con soli 5; le scuole statali ne avevano 1.358, quelle non statali 570. Che facessero davvero tutte attività è un altro paio di maniche. Comunque lo sport scolastico fu il grande, inesauribile serbatoio dello sport italiano per quasi due decenni.