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Antonio «Toni» Faè si è dovuto fermare davanti all'ultimo insormontabile ostacolo PDF Print E-mail

altAntonio Faè, il popolare «Toni» a Cencenighe Agordino, dopo aver tagliato il traguardo della bella età di novant' anni (era nato ad Agordo il 16 marzo 1933) si è fermato. Ci ha segnalato la notizia della scomparsa il nostro socio Enzo Rivis che stava trascorrendo giorni di vacanza da quelle parti e ha visto l'annuncio funebre. Faè se n'è andato il 23 agosto, le esequie il 25.

È stato un buon atleta nella seconda parte degli anni '50. Corse, ogni volta che serviva, dagli 800 ai 10 mila metri, fu anche ottimo corridore di cross. Fu partecipe e molto spesso fiero e tosto avversario di quella generazione di corridori che rispondono ai nomi di Gianfranco Baraldi, Sergio Rizzo, Francesco Perrone, Franco Volpi, Antonio Ambu, Sergio Tomiato, Onofrio Costa, Gian Battista Paini, Gianfranco Sommaggio, Giovanni Scavo, Giuseppe Della Minola, Antonio Niedda, e la lista potrebbe allungarsi. Furono gli anni nei quali il mezzofondo italiano provava ad uscire da una assoluta mediocrità che vedeva i nostri lontani anni luce dai valori internazionali, anzi non li vedeva affatto, tanto che nelle liste mondiali primi cento atleti cognomi italiani non ce n'erano proprio. Si viveva di ricordi, Luigi Beccali, Mario Lanzi, e di poca cultura tecnica specifica.

Antonio Faè fu un più che onesto lavoratore del garretto. Entrò nel neocostituito gruppo sportivo delle Fiamme d'Oro, che aveva messo la sede a Padova. E fu una pedina preziosa per il club che aveva nel maresciallo Martinelli l'instancabile animatore, oltre che onesto atleta degli 800 metri. Un rapido colpo d'ala, parziale, molto parziale, sulla carriera di Faè, che fu anche fra i non molti ad affrontare la singolare disciplina dei 3000 metri con siepi, una parvenza di riproduzione della corsa campestre trasportata in pista. Disciplina bizzarra regolamentata solo nel 1954 dalla Federaziona internazionale. Tanto bizzarra che molto spesso durante le gare i giudici si incartavano da soli e lo sforzo degli atleti veniva vanificato da corse poi dichiarate irregolari. Tanto per dirne una, Campionati mondiali militari a Bruxelles nel 1958: Faè quarto, gara annullata, si eran dimenticati un ostacolo. Quell'anno il nostro fu terzo ai Campionati nazionali, dopo Rizzo e Tomiato. Un anno dopo, ancora quarto nella gara vinta dal suo commilitore Onofrio Costa.

Abbiamo accennato alla sua buona propensione per le corse campestri, due risultati alla «Cinque Mulini»: nono nel 1957, sesto nel 1958. Altre tre zumate sulla stagione 1957. Quarto ai Campionati assoluti, ma stavolta sui 1500 metri, vinti da Baraldi. Il 7 settembre all'Arena di Milano, meeting internazionale, corse un duemila metri, vinto da un grande dell'epoca, il francese Michel Jazy, che precedette di centimetri Gianfranco Baraldi: 5'15"0, primato francese, 5'15"2, idem per l'italico suolo. «Toni» di Cencenighe fu quinto in 5'28"4. A fine agosto, allo Stadio Arcella di Padova, durante i Campionati nazionali delle guardie di P.S., viene inserito un tentativo di primato nazionale per la staffetta 4x1500. Tentativo riuscito: la squadra A delle Fiamme d'Oro corse in 16'02"7, con il sardo Antonio Ambu, con il pugliese Francesco Perrone, con il siciliano Onofrio Costa e con il bellunese Faè.

Ricostruzione molto parziale da parte nostra, senza pretese. Per leggere una bella storia di Antonio Faè vi suggeriamo questo articolo del quotidiano «Il Gazzettino», scritto nel gennaio di un anno fa da Dario Fontanive. Titolo «Il macellaio che amava correre». Eh sì, perchè «Toni» fu poi conosciuto nella vita come titolare del suo negozio di carni a Canale d'Agordo. C'è una vita dopo quella sportiva, e noi dell'atletica troppo spesso la cancelliamo totalmente, limitandoci a tempi, misure, gare, piazzamenti. Ghigliottiniamo le persone, sappiamo tutto di questa parentesi della loro vita giovanile, ma nulla della vita vera.