Home News Homepage Tre grandi giornalisti e un bravo allenatore segnarono il destino di Michel Jazy
Tre grandi giornalisti e un bravo allenatore segnarono il destino di Michel Jazy PDF Stampa E-mail

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La copertina della rivista di ispirazione cattolica degli emigrati polacchi in Francia celebra il nuovo primato del mondo sui 3.000 metri (7'49"0) di Jazy, siamo nel 1965, a Melun, la gara era sulla distanza delle due miglia, e anche lì fu record; quel giorno precedette l'australiano Ron Clarke e il tunisino Gammoudi, altri grandi del mezzofondo di quegli anni. Michel era l'idolo dei polacchi francesi, che erano orgogliosi dei suoi antenati originari di quella Nazione (ringraziamo gli amici Janusz Rozum e Luc Beucher per questo raro documento). A seguire, la copertina del bel libro di Gaston Meyer sulla storia dell'atletica francese. Sotto: Michel al lavoro alla linotype nella tipografia del quotidiano sportivo L'Equipe. Infine, la classifica nazionale a fine 1953 dei 1.000 metri della categoria cadetti, Michel, poco più che diciassettenne, è quarto (documento ripreso dalla rivista L'Athlétisme, edita dalla Federazione)

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“Depuis 1954, je suivais avec un certaine curiosité les évolutions en cross-country, d’un petit athlète bien «roulé», énergique en diable, aux visage agréable et aux yeux vert rieurs. L’année suivant je dis à Marcel Hansenne:” Je crois que ce garçon a de l’etoffe, tentons une expérience psychologique…”. Nous y sommes allés d’une petit filet élogieux dans L’Equipe, d’où il découlait que Michel Jazy s’annunçait comme un futur Jules Ladoumégue, s’il osait y croire.

[…]

“Le jeune Michel Jazy avait contractè le virus de la course á pied depuis le Jeux de Melbourne, grâce au champion olympique Alain Mimoun dont il avait partagé la chambre en Australie. L’immense énergie de ce gavroche souriant, sa bonne volonté évidente, son désire de réussite, ne faisaient aucun doute. Libéré du service militaire, il avait stabilisé sa vie familiale en épousant la charmante Iréne qui, d’abord réticente à l’égard du sport, comprit très vite que celui-ci allait être précisément son allié le plus fidèle.

“Depuis ses réels débuts en 1953, le future champion avait été pris en main par un jeune et enthousiaste entraîneur du C.A. Montreuil, René Frassinelli qui devait le conduir à ses premiers succès. Le grand, l’immense mèrite de René Frassinelli, c’est d’avoir accepté sans hésitation le plan qui devait conduire Jazy aux records du monde. Car la réussite de Jazy c’est celle de la planification. […]

“Premier problème à résoudre: le «social». Par chance, Michel Jazy avant son service militaire avait été apprenti typographe à l’impremerie Chaix. Il ne m’avait pas été difficile de convaincre le directeur général de L’Equipe, Jacques Goddet, d’engager le jeune apprenti, lequel d’emblée, sut par sa gentillesse, conquérir le cœur de ses compagnons de travail, d’abord réticents. Ce point acquis, ses heures de travail fixée en fonction des nécessités de l’entraînement quotidien, restant à répartir les tâches.

[…]

“Enfin le grand athlète Marcel Hansenne collabora avec René Frassinelli au plan de préparation proprement dit, en partant de méthodes naturelle découvertes naguère en Suède et adoptée par les  Haegg, Elliott, Waern, Snell et autres seigneurs du demi-fond international. […] Du reste, je fis en sorte que dès 1959, Michel Jazy aille recevoir sur place les conseils précieux de Gosta Olander.

“Vingt mois après cette prise en charge, Michel Jazy gagnait à Rome la medaille d’argent du 1.500 mètres en 3’38”4 derrière le fameux Australien Herbert Elliott. Ce fut un surprise…”

Questi brani sono ripresi da uno scritto di Gaston Meyer, senza alcun dubbio – per chi scrive queste righe, almeno – uno dei migliori giornalisti di atletica di ogni generazione. Nato nella magnifica regione della Dordogna, praticò l’atletica, 110 ostacoli e salto in alto. Meyer entrò presto nel mondo del giornalismo sportivo: nel 1932, avendo solo ventisette anni, era già capo rubrica dell’atletica al numero uno dei giornali sportivi, L’Auto. Prigioniero di guerra a Sonderhausen, liberato nel 1944, poco dopo fu tra i fondatori di un quotidiano, Défense de la France, che, in seguito, cambiò nome in France-Soir (che ha cessato le pubblicazioni nel 2019). Nel 1946, Meyer rientrò alla redazione de L’ Equipe, erede della storica testata L’Auto, dove aveva già lavorato, come detto: venne nominato redattore capo aggiunto. Esempio di passione sconfinata per lo sport e per l’atletica in particolare, aveva trovato il modo di inviare articoli al giornale perfino mentre era prigioniero. Dal 1954 al 1970 fu redattore capo del grande giornale sportivo francese, punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati di atletica di tutto il mondo. Per dire: Bruno Bonomelli, a Brescia, faceva arrivare L’Equipe alla edicola della stazione ogni giorno, e lo fece per molti anni, poi ritagliava articoli e notizie del nostro sport e di quello olimpico e li incollava sulle pagine bianche di libroni che si faceva preparare in tipografia. Qualcuno, gelosamente, conserva ancora quei «cimeli». Meyer è mancato nel 1985, a Parigi. Dell’atletica fu profondo conoscitore, animato da una passione limpida, sostenuto da facilità di scrittura e da chiarezza espositiva figlia della solida conoscenza. Nel 1975, per i tipi dell’editore Calmann-Lévy, diede alle stampe un bellissimo libro – corredato da splendide fotografie – intitolato «Le grand livre de l’athlétisme français», da cui sono tratti i brani citati, che arricchivano il racconto della storia dell’atletica transalpina con i ricordi personali, queste parti avevano in alto una testatina che recitava così: «Ma propre experience». Sulla copertina, ça va sans dire, una grande foto di Michel Jazy con la canottiera del C. A. Montreuil, il club dove entrò nel 1956 e non lasciò più. Meyer ha scritto altri tre libri altrettanto importanti: «Le phénomène olympique», «L’Athétisme», «Les Jeux Olympiques».

Nei brani di Gaston Meyer che abbiamo riportato scorrono altri nomi di eccellenti uomini di sport, che hanno avuto risonanza non solo sul suolo francese. René Frassinelli, stimatissimo allenatore che ha curato la crescita e l’affermazione di grandi atleti transalpini. Appare Marcel Hansenne, parigino, mezzofondista, due volte sul podio ai Campionati d’Europa (’46 e ’50), bronzo ai Giochi Olimpici ’48, sempre sugli 800 metri, primatista del mondo sui 1000 metri. Poi giornalista e allenatore. Jacques Goddet, un nome che evoca ciclismo e Tour de France. Pure lui parigino, pure lui socio della categoria scrittori di sport, fu direttore non solo del quotidiano L’Auto ma anche patron del Tour per cinquant’anni, dal 1936 al 1986. Se ne è andato nel 2000, aveva già compiuto 95 anni.

Di questi grandi uomini di sport ha beneficiato la carriera di Michel Jazy: Gaston Meyer, Marcel Hansenne, Jacques Goddet, René Frassinelli, ciascuno con un suo copione da recitare, i quali hanno contributo alla maturazione del talento innato di quel ragazzo francese di nascita ma con sangue di antenati polacchi. Senza di loro, forse, avrebbe avuto solo un impiego a vita da linotipista.