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Io la penso così.........L'opinione di Giorgio Reineri (2) PDF Print E-mail
Tuesday, 13 August 2013 04:51

Giorgio Reineri scrive per noi......

Usain Bolt ha sconfitto, nella finale mondiale dei 100 metri, anche l’infido clima russo. Con un ghiribizzo tanto improvviso quanto inatteso il cielo moscovita s’era difatti riempito di lampi e tuoni, quasi volesse gareggiare in saette – bolt, per l’appunto – con il giamaicano. Pochi minuti prima che gli otto atleti venissero chiamati ai blocchi l’acqua aveva preso a precipitare sullo stadio Olimpico “Luzhniki”, e la temperatura era calata di botto da ventotto a ventuno gradi. Una brezza maligna batteva sui petti degli sprinter, raffreddandone i bollori. Peggior prologo non poteva esserci, per la più attesa delle competizioni.
Imperturbabili eran rimasti i corridori,  mentre andavano schierandosi ai blocchi di partenza. Bolt, inginocchiato, aveva alzato un dito al cielo: non per domandare comprensione a Giove Pluvio ma per indicare, soltanto, da dove avrebbe tratto ispirazione e forza. Justin Gatlin, invece, era già immobile: bronzea statua che attendeva, con lo sparo, l’alito vitale.
Echeggiò, nel silenzio, il colpo secco dello start. Justin volò via, il corpo piegato, la testa protesa in avanti-basso, i passi rapidi e possenti. Guadagnò mezzo metro, o forse più, su Bolt che s’era rizzato d’incanto e spiegava l’ali. Il duello tra i due si fece magnifico: Justin era un toro che caricava, Usain un torero che gli voleva sfuggire. Per sessanta metri la corsa rimase in equilibrio, prima che le ampie ali di Bolt avessero ragione del toro scatenato. Nel diluvio, saettò sullo schermo eletronico il tempo del vincitore: 9’’77. Appena otto centesimi più tardi, Justin bloccò le fotocellule su 9’’85. Poi, arrivarono altri siluri: Carter, Bailey-Cole, Ashmeade, tutti giamaicani.
Ma quanti erano i giamaicani in gara, ci domandammo. Quattro? E perchè? Nell’agitazione del momento la cosa ci parve strana, ma non era tempo d’indagare. C’era, piuttosto, da celebrare: con quell’acqua e con quel calo di temperatura, i muscoli degli atleti avevano compiuto un miracolo. A tutti, difatti, si doveva abbonare un decimo di secondo rispetto a condizioni ottimali: in breve, senza pioggia e senza vento (contrario) Bolt avrebbe corso in 9’’67 e Gatlin in 9’’75. Ma l’atletica è un gioco all’aperto, e dunque non vale lamentarsi.
Lamentarsi, poi, di che? Quattro giamaicani e un americano sotto i dieci secondi netti, secondo previsioni. L’unica eccezione, lo statunitense Mike Rodgers: era rimasto imbambolato sui blocchi, preso da improvviso panico. E aveva pagato, con il sesto posto e un tempo, per lui, mediocre: 10”04. Epperò, proprio rivedendo l’arrivo ci ritornava alla mente il rovello: perchè quattro giamaicani?
Ah - ci rispose un tecnico con l’aria di sufficienza - perchè Bolt è campione in carica e tiene diritto di partecipare. Certi tecnici hanno la memoria corta: Bolt fu squalificato a Daegu, quindi non era il campione in carica. E chi era il campione in carica? Yohan Blake, giamaicano, ma assente per infortunio. Allora, perchè quattro giamaicani?
Nessuno conosceva la risposta. Ci disse un altro tecnico: la “wild card” di Blake transita al Paese, che ne può disporre a suo piacimento. Stupidità, pensammo subito: e, difatti, questa non è la regola. Per scoprirla, la regola, bisognava cercare col lanternino, dopo aver invano interrogato segretari di Federazioni e altri esperti. Cercare col lanternino, sino a incocciare in Sandro Giovannelli, l’ex direttore delle competizioni della IAAF.
Ci disse: è stato modificato il regolamento, lo scorso inverno, attribuendo una “wild card” anche ai vincitori della Golden League. Ma neppure il sapiente Giovannelli sapeva chi fosse stato, l’anno passato, il vincitore della Golden League sui 100 metri. E per scoprirlo, occorreva ricorrere alle carte: là stava scritto il nome di Bolt.
È un regolamento sciocco, ad esser generosi. Reso ancor più sciocco da tutta una serie di modifiche che attribuiscono altre “wild card” ai vincitori dei Giochi di Area, vale a dire i vari Campionati continentali. Non solo: pure i primi piazzati dei campionati mondiali di cross-country, così come i vincitori di alcune maratone – Gold Label marathon – pare abbiano il diritto ad esser iscritti ai Campionati del mondo anche se non in possesso di un risultato “standard A o B”.
L’ufficio “complicazioni cose semplice” ha lavorato, nell’inverno scorso, con straordinaria solerzia. Talvolta ci sorge il dubbio che silenziose talpe siano all’opera per rendere sempre più incomprensibile agli spettatori le manifestazioni atletiche. Quasi che, anche per il nostro mondo, l’antico detto – la madre degli stupidi è sempre incinta – continui a possedere un fondo di verità.

Last Updated on Tuesday, 13 August 2013 13:09
 
Io la penso così........L'opinione di Giorgio Reineri PDF Print E-mail
Monday, 12 August 2013 10:49

Giorgio Reineri, per anni inviato speciale del "il Giorno" e in seguito direttore della Comunicazione della Federazione internazionale di atletica (IAAF), socio della nostra ASAI fin dalla fondazione, ha scritto per noi una "opinione" sui Campionati del mondo in corso a Mosca. Ci auguriamo la prima di un serie fino alla fine dei Campionati.

La 14esima edizione degli IAAF World Championships ha rischiato al suo esordio, sabato, d’impantanarsi nella calura appicicosa della piana moscovita. Il clima russo è da tempo immemore un fattore capace di cambiare i destini della storia. E se il gelo contribuì alla sconfitta delle armate di Napoleone e Hitler, asfalto arroventato e aria soffocante hanno, in questa ben più modesta occasione, favorito l’imprevisto disastro, in maratona, delle altrimenti instancabili pedonesse etiopi.
Non tutto il male, tuttavia, viene per nuocere. Soprattutto all’Italia se schiera una lottatrice indomita come Valeria Straneo e una dottoressa in medicina, prudente e saggia come la sua professione richiede, quale la genovese Emma Quaglia. Esse sono state seconda e sesta, cioè il meglio che sia mai stato fatto, in competizione globale, da due maratonete azzurre.
Valeria Straneo è una donna di 37 anni. Tiene famiglia e una forza di volontà che è l’indispensabile motore dei corridori di lunga lena. In molti anni mai avevamo veduto una nostra connazionale battersi per due ore, venticinque minuti e cinquantotto secondi con tanta determinazione, tanto ardore, tanto inesausto entusiasmo. Eppure di campionesse azzurre ce ne erano passate davanti agli occhi: da Paola Pigni a Laura Fogli; da Gabriella Dorio a Ornella Ferrara; da Agnese Possamai a Maria Curatolo. Tutte ci avevano esaltato, fin quasi alla commozione. Nessuna, però, ci aveva toccato il cuore come è riuscita a fare Valeria.
Prendete il suo stile di corsa. Quello slanciare il busto in avanti, quasi a proiettare l’anima al di là della fatica. I ginocchi tenuti bassi, radenti l’asfalto; la spinta poderosa, con piena distensione delle gambe: due molle capaci di dispensare, e racimolare, energia per tutti i km. 42,195 di gara. Certo, al suo cospetto Edna Kiplagat faceva la figura della gigantessa: i femori lunghi quasi quanto Valeria è alta, l’elegante alternarsi del passo, il dondolio delle braccia, la perfezione stilistica che era una goduria della vista. Edna Kiplagat è una magnifica maratoneta: lo testimoniano le statistiche, che la piazzano nell’aristocrazia della specialità: con un primato personale inferiore alle due ore e venti, che poteva fare Edna?
Poteva soltanto vincere, e difatti ha vinto. Ma ha sofferto, dovendo fare ricorso alla tattica piuttosto che alla superiorità in talento. La corsa, difatti, l’aveva fatta, s  no a poco oltre il quarantesimo chilometro, Valeria. Lei era stata la locomotiva; lei aveva costretto alla resa le etiopi; lei s’era messa alle spalle le giapponesi, obbligandole all’inseguimento; lei aveva fiaccato Valentine Jepkorir Kipketer, keniana ventenne di buone speranze, consigliandole il ritiro come alternativa all’asfissia.
Non era asfissiata, pero’, Edna Kiplagat. Con la saggezza che s’accumula con gli anni – vicina ai trentaquattro, ormai – aveva rinunciato a sfidare Valeria sul terreno della pura endurance: rischio troppo alto con l’umido che s’appicicava al corpo raddoppiando la sudorazione e i polmoni che bruciavano più dell’asfalto per averne troppo a lungo respirato i bollenti vapori. La keniana sapeva quale era l’arma da custodire, evitando di farsela spuntare dall’italiana: il cambio di ritmo, la capacità di innestare una marcia superiore con la pochissima benzina rimasta nei muscoli, e le minuscole gocce di ossigeno che la calura non era riuscita a prosciugare.
Così accadeva. Così Kiplagat diventava campionessa del mondo e Straneo sua prima ancella. La giapponese Fukushi completava il podio: Africa, Europa, Asia, in rappresentanza di tre diverse culture, tre differenti mondi, tre lontanissime storie. Questa è l’atletica, questa è la maratona. Questa è la storia della fatica, dai giorni degli emerodromi a quelli di oggi.
Qualcosa di simile alla maratona femminile sarabbe accaduto, sabato sera, nello stadio olimpico di Mosca durante la corsa dei 10mila. Vapori di calore salivano dal tartan a massacrare la respirazione dei pedoni, in pista. Agli spettatori sudavano le chiappe, agli atleti fumavano i muscoli. Persino quelli di Mohamed Farah, che è lo Zatopek della modernità. E come Zatopek faticò a Helsinki ’52, così Farah ha sofferto, sabato, per imporre il suo sprint, altrimenti devastante, a Ibrahim Jeilan, etiope. Ma attenzione: anche in questa gara il clima uccideva i favoriti. Dejen Gebremeskel, che in stagione aveva gia’ corso al limite dei 26’50’’, finiva mortificato, sedicesimo, in 27’51’’88, a mezzo giro dall’inglese e dal connazionale.
Una domanda, magari provocatoria, è tuttavia d’obbligo. Se poco poteva esser fatto per diminuire le pene dei diecimilisti, molto si sarebbe dovuto, invece, per le maratonete. Perche’ obbligarle alla competizione alle due del pomeriggio di un dieci di agosto? Cosa è, se non un attentato alla salute? Valeria Straneo, e pure la dottoressa Quaglia, hanno frustrato l’attentato, ma questo non toglie che altre ne siano state innocenti vittime.   

Last Updated on Tuesday, 13 August 2013 08:28
 
Maurizio Damilano: avevo 23 anni, era il 25 luglio 1980 , Mosca brillava con le sue cupole dorate PDF Print E-mail
Sunday, 11 August 2013 06:52

Ci fa un immenso piacere che Maurizio Damilano abbia accettato la nostra proposta di scrivere una manciata di righe sulla sua vittoria olimpica del 1980 dentro lo Stadio Luzhniki, lo stesso, ovviamente riadattato, che sta ospitando i 14esimi Campionati del mondo di atletica. Maurizio è stato uno dei grandi della nostra atletica, da parecchi anni è stimato presidente della Commissione IAAF per la marcia. Ha scritto proprio nel giorno in cui è arrivata la medaglia d'argento nella maratona di una sua conterranea, Valerio Straneo, coraggiosa (o incosciente, come ci ha detto lei stessa sorridendo mentre la felicitavamo) protagonista di una gara difficilissima. Grazie, Maurizio.

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Mosca, con le sue cupole dorate, il rosso mattone del Cremlino, il fiume Moscova che la percorre placida lasciando un senso di pace e tranquillità. Sono queste le prime immagini che mi accolgono a Mosca tornando sui luoghi che mi videro conquistare l’alloro più importante della mia carriera sportiva: la medaglia d’oro olimpica.
Emozioni che tornano alla mente nitide come se tutto si fosse svolto qualche giorno prima. Emozioni che si fanno tensione nel vedere la mia conterranea Valeria Straneo percorrere il lungo Moscova, la stessa strada che ospitò le prove di marcia nel 1980, e situata proprio fuori dal parco dello stadio moscovita, ancora in lotta per la vittoria in maratona e che concluderà, all’interno dello stadio dove io trionfai, con un entusiastico secondo posto e medaglia d’argento.
Non è facile ancora oggi raccontare quei momenti. Attimi intensi e felici seppure rigati dal sudore della fatica di 20 impegnativi chilometri di marcia.
Ricordo il grande Pino Dordoni ai bordi del percorso incitarmi e dirmi che potevo farcela, non dovevo mollare. Lo ricordo al termine della gara emozionato forse più di me, ma come sempre capace di sdrammatizzare le situazioni e abbracciarmi dicendomi: “Te l’avevo detto, con una giornata come questa russi e tedeschi est erano battuti in partenza”.
Ho fatto altre 3 Olimpiadi dopo quella di Mosca. Ho vinto altre due medaglie di bronzo e chiuso con un quarto posto amaro. Amaro in quanto in quella stagione tutto lasciava presagire che potessi ripetere il successo di Mosca. Ho però sempre saputo che nello sport a volte si vince inaspettatamente e a volte si perde quando le attese sono ben diverse.
La gara di Mosca fu una gara strana. Tensioni forti si sentivano sin dalla vigilia. I messicani, che contavano sul grande favorito Bautista, lasciavano intravedere la difficoltà di una forma non eccellente, ma soprattutto temevano il giudizio tecnico che aveva reso complessa la stagione al campione olimpico di Montreal e gli aveva riservato l’amarezza della prima squalifica della sua carriera (la seconda sarà proprio a Mosca), guarda caso là nel paese del suo maestro, la Polonia del prof. Jerzy Hausleber.
Bautista adottò una tattica insolita per lui. Non il solito pronti e via, chi vuole mi segua, ma un attendismo per lui non comune. Io speravo, a dire il vero, nel solito Bautista, ma mi adattai alla gara. Via via che i chilometri passavano il gruppo si assottigliava. Al sedicesimo chilometro rimanemmo in 3. Bautista attacca. Sorprende sia me che il sovietico Solomin. Guadagna presto 50/70 metri, ma improvvisamente, mentre avevo perso contatto da Solomin e lo seguivo a 20/30 metri di distanza, scorgo Bautista fermo ai lati della strada attorniato di gente. Squalificato, penso immediatamente. Allora dacci dentro mi dico. Solomin è battibile. Ha solo qualche metro di vantaggio.
Ricordo ancora adesso, sentendolo nelle orecchie, l’urlo smorzato del pubblico russo al mio ingresso in pista. Attendevano un loro connazionale, non certo un giovane italiano, ma una giuria molto severa lo aveva invece squalificato verso il diciottesimo chilometro, pochi metri davanti a me, proprio mentre lo stavo riprendendo. Forse fu il tentativo di non farsi raggiungere sapendo di marciare sulle strade di casa a portarlo verso la squalifica.
Ricordo l’effetto del pannello video dello stadio che mi diede la sensazione di avere alle spalle l’atleta che mi seguiva. In effetti avevo un minuto di vantaggio, ma quando lo inquadrarono all’ingresso del tunnel dello stadio mi sembrò di averlo immediatamente dietro. Accelerai. Mi voltai. Mi resi conto che dietro non c’era nessuno ed allora una leggerezza incredibile mi sospinse negli ultimo 80 metri per tagliare il traguardo con il record olimpico e sommerso dal confuso entusiasmo che ogni volta accoglie chi per primo taglia quel filo di lana (nell’atletica moderna ormai immaginario). Lo stesso che tagliò Ugo Frigerio al grido di “Viva l’Italia”. Lo stesso che tagliò Pino Dordoni dopo, come racconta la leggenda, non aver dimenticato di rimettere a posto i capelli con un pettine passatogli da un dirigente. Lo stesso che 16 anni prima tagliò Abdon Pamich, anzi strappo con violenza quasi a voler spezzare un sortilegio che non gli aveva permesso di conquistare quel traguardo già prima.
Avevo 23 anni. Era il 25 Luglio 1980 e Mosca per me brillava attraverso le sue cupole d’oro.

Last Updated on Sunday, 11 August 2013 16:11
 
Nota per gli appassionati delle compilazioni statistiche PDF Print E-mail
Saturday, 10 August 2013 12:15

Chi ha interesse nei "numeri" in atletica può consultare i seguenti due indirizzi Internet che corrispondono al sito della Federazione mondiale di atletica (IAAF):

https://www.iaaf.org/records/toplists/sprints/100-metres/outdoor/men/senior/2013

https://www.iaaf.org/records/toplists/sprints/100-metres/outdoor/men/senior

Durante i Campionati del mondo il Dipartimento statistico della IAAF aggiornerà continuamente le liste 2013 e di ogni tempo, dopo la sessione del mattino e alla fine della giornata. Sempre sul sito della IAAF, sono consultabili altre Sezioni dedicate ai primati, alle biografie degli atleti, ecc.

Last Updated on Saturday, 10 August 2013 14:42
 
Domani nel rinnovato Stadio Luzhniki di Mosca si aprono i 14esimi Campionati mondiali di atletica PDF Print E-mail
Friday, 09 August 2013 11:51

Da Helsinki 1983 a Mosca 2013, attraverso Roma, Tokyo, Stoccarda, Göteborg, Atene, Siviglia, Edmonton, Parigi Saint Denis, Helsinki, Osaka, Berlino, Daegu. Trent'anni, quattordici edizioni dei Campionati mondiali di atletica leggera, creatura di una Federazione internazionale che si stava profondamente trasformando, auspice Primo Nebiolo, presidente che era assurto al soglio iaffino nel settembre 1981. I Mondiali 2013 tornano in quello stesso Stadio Luzhniki che aveva ospitato i Giochi Olimpici 1980, quelli che a noi italici ricordano Pietro Paolo Mennea, Maurizio Damilano e Sara Simeoni, chi vuole si legga il bel libro di Giorgio Barberis sulle medaglie d'oro olimpiche italiane.

Guardiamo al presente. Speriamo di fare cosa gradita ai fruitori di questo nostro sito offrendo un documento ufficiale (in PDF) utile per seguire i Campionati: gli iscritti ordinati per Paese. Buoni Campionati a tutti, specialmente agli atleti.

Last Updated on Friday, 09 August 2013 20:05
 
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