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Quando il simbolo dell’atletica vintage era la maglia azzurra con scudetto tricolore Print
Thursday, 08 December 2022 11:29

Alessandria – Asti 50-43, Cogne Aosta – Cogne Imola 51-47. Due notiziette su «Tuttosport» del 5 maggio 1951. E poi ancora: La Virtus Bologna vince il triangolare maschile; Il Battisti Trento supera il COIN Mestre; A.T.A. batte Pirelli; Sconfitti a Vienna i triestini; Gli atleti della Pro Patria battono gli svedesi; Di misura la Colombo superata a Nizza; La squadra di Zagabria supera l’A.T.A. a Trento; Battisti Trento – S.A. Bolzano 54-46; qualche giorno dopo: S.A. Bolzano – Battisti Trento 55-46; Battuti dal Trionfo gli universitari marsigliesi; Vinto dalla Libertas il triangolare di Trieste; Il Trionfo Genovese vince a Lugano 58-36; Il Wiener a Trieste s’impone alla Giovinezza; Virtus Locarno –  Gallaratese 77-73; Marche – Lazio 48-45; L’ATA Trento a Zagabria ha perso di misura; La Ginnastica Triestina supera il Klagenfurter Athletik Club 83-60.

Che è ‘sta roba? vi chiederete. Son titoli di notiziette reperite sui giornali sportivi dell’anno 1951. Nei giorni scorsi ci siamo dedicati ai Campionati internazionali militari di quell’anno e ad alcuni atleti italiani in particolare che avevano ben figurato in quella occasione. Abbiamo quindi sfogliato una ricca raccolta di ritagli di giornale. Abbiamo poi collegato questa banale investigazione ad una lettera che ci aveva inviato tempo fa l’amico Daniele Poto, nella quale scriveva un elogio alla Maglia Azzurra ormai relegata a soli pochi, pochissimi eventi. Dietro? Il vuoto. O son Campionati, che hanno proliferato negli ultimi due decenni, o sono i cosiddetti meeting sempre più pallosi, a parte veramente pochi. Son sempre gli stessi che gareggiano, una specie di «compagnia di giro» superprotetta e ben pagata. Quanti saranno? Un paio di centurie, al massimo, che si spartiscono il bottino.

E gli altri che pur fanno atletica dove finiscono? In circuiti minori con la stessa logica ma molti meno quattrini, senza nessun interesse e divertimento, tanto per gli atleti in campo che per gli spettatori sulle semideserte tribune. Non parliamo poi delle corse su strada, inflazionate, insulse, con atleti che corrono spesso col freno a mano tirato, tanto vince il keniano o etiope o ugandese o nordafricano di turno, l’importante è tirare a casa qualche centinaio di piccioli, arrivederci e grazie. E tutto, pista o strada che sia, nel totale disinteresse della stampa, quella rimasta. Per i  superstiti appassionati di corse salti e lanci, non resta che andare a vedere i risultati sui cosiddetti social o sulle pagine Internet degli organizzatori. Ma state certi che la sera al bar nessuno vi saprà dire chi ha vinto il Giro del Campanile (* vedi nota al fondo), al massimo ti rispondono "un alter negher".

Ma com’era l’atletica una volta? Atletica vintage la chiama l’amico Daniele. Era una atletica che offriva uno spazio a tutti nella squadra del proprio club, magari una trasferta a Klagenfurt o a Marsiglia, o anche solo un viaggetto Trento-Bolzano o Bolzano-Trento. Si stava insieme, si conoscevano gli atleti di un altro club, si legavano amicizie. Le società affogano oggi in una pletora di garette provinciali e regionali, dove non si diverte nessuno, né chi corre e salta, né chi organizza. E nessuno guarda, a parte gli addetti ai lavori. Per completezza: quell’anno 1951, la Nazionale fu chiamata a sostenere cinque confronti con altrettante Nazioni europee; Belgio – Italia e Germania – Italia con gli uomini, Jugoslavia – Italia, Svizzera – Italia e Italia – Francia con le donne. Oggi gli atleti arrivano, mangiano, dormono, gareggiano, e la mattina dopo spariscono verso aeroporti, stazioni, autostrade. Una volta almeno si fermavano un po’ di più per ritirare la «moneta», oggi ci pensa qualcuno per loro e ormai tutto avviene con bonifico bancario.

Il nostro sito non è, non lo è mai stato, e non vuol essere, spazio di chiacchiere, di dotti editoriali, di dibattiti. Non ci interessa. Sola eccezione in questo caso: ci siamo ricordati della mail di Daniele Poto che tocca questo problema. E ne condividiamo l’ analisi.  Che si riflette poi sulla perdita di valore e di attaccamento, alla Maglia Azzurra. Non un incontro riservato alla squadra nazionale, solo Campionati o campionatini. Ci pare di sentirlo il furbone di turno: eh, ma quella era un’altra atletica. Sì, era proprio un’altra atletica.

* Absit iniuria verbis - Dire Giro del Campanile non è sminuire una corsa podistica. Serve solo un po' di conoscenza del tempo passato. La «Gazzetta dello Sport», quando era davvero al servizio dello sport, aveva promosso una serie di manifestazioni di atletica che aveva denominato le «Popolari della Gazzetta»: una gara veloce, il salto in alto, il lancio del peso che chiamarono «Sfera d'argento», e appunto il «Giro del Campanile», una corsa su strada o nei campi di due chilometri e mezzo. Sai quanti campioncini del mezzofondo son venuti fuori girando attorno al campanile! E come non ricordare una delle più belle corse campestri della nostra storia atletica: la «Sette Campanili» di Cavaria, in provincia di Varese. E i campanili erano davvero sette! Ci dicono che appassionati del luogo l'anno rimessa in vita, bravi!

Sentiamo adesso quello che ha da dirci Daniele Poto.

So che la cattiva versione del vintage può facilmente trasformarsi nell’obsolescenza. Ma per chi non l’ha vissuta vorrei ricordare un elemento identitario discriminatorio tra l’atletica di tempi ormai lontani e quella odierna. Faccio un esempio struttural-istituzionale e ne rintraccio le radici a pagina 624 dell’Annuario FIDAL 2022. È quella che elenca le presenze di sempre degli azzurri al servizio della Nazionale, quando era in vigore il full time e la piena disponibilità stagionale alle gare, fossero Giochi del Mediterraneo, incontri di nazionali, esagonali, il clou “Bruno Zauli” Ebbene, nella lista dei primi 30 uomini e prime 30 donne non c’è alcun azzurro di oggi, neanche quelli di più lungo corso, mettiamo Tamberi o Lingua. Elogio a Chiara Rosa, formichina che fa eccezione. Questo spicchio di storia esclude tristemente il presente e le ragioni tracciano la differenza tra il prima e il dopo. Oggi ci sono atleti che escludono la partecipazione al Golden Gala pur essendo azzurri di prima fila se non adeguatamente stimolati da mamma FIDAL, al pari di stranieri d’Oltreoceano. Altri che hanno perentoriamente chiuso la stagione dopo i Campionati europei, pur in presenza di risultati tutt’altro che esaltanti, per non parlare di quelli che hanno chiuso la stagione al lumicino con una prova mediocre in un meeting internazionale, mentre il resto del mondo correva e lanciava a tutto spiano. 

La diminutio è quella del passaggio da un’atletica comunitaria con un senso collettivo di proiezione nazionale all’individualismo mercenario. Colpa dei calendari, di una mentalità, della stessa Federazione? Certo se un Tamberi o uno Jacobs, alfieri e capitani del movimento, viaggiano e raggiungono la sede del grande evento per conto loro con un proprio staff che prescinde da quello federale si capisce che il centro decisionale si è spostato e dagli stessi non si può pretendere piena adesione. Vittorio Visini (62 presenze) capeggia un elenco che è un bel tuffarsi nel passato. Nell’elenco ci sono Damilano, Evangelisti, Mennea, Pamich, Donato, Lievore, Berruti, Mei tra gli uomini; Masullo, Simeoni, Dorio, Perrone, Pigni. Concedetecelo, era quella l’atletica che ci piaceva, non quella degli strizzacervelli, dei fisioterapisti d’essai, dei social media manager, delle mamme mediaticamente sovraesposte.

Last Updated on Thursday, 08 December 2022 18:48