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Gianfranco Carabelli, dai due giri di pista ai molti giri attorno alla scrivania PDF Print E-mail
Friday, 01 March 2024 00:00

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Recita l'articolo 7 dello Statuto dell'ASAI, registrato la prima volta nell'anno 1994 nello studio di un notaro fiorentino:

"L'associazione si propone di promuovere e favorire la ricerca e la raccolta di ogni notizia, risultato, dato e materiale (programmi gare, manifesti, fotografie, risultati, ecc.) di qualunque tipo e genere inerenti la storia dell'atletica leggera italiana..."

Chiaro? La storia dell'atletica leggera italiana. Lo ricordiamo sia ai soci (che avrebbero dovuto leggere almeno una volta lo Statuto, ma sono sempre in tempo...) sia ai non soci, gli uni e gli altri che, talvolta, ci mandano materiali, richieste e proposte fuori tema, facendoci solo perdere tempo. Ma non di questo vogliamo occuparci, ma, molto più piacevolmente, di celebrare un «pezzo di storia» che oggi compie gli anni. Ci sembra di sentire quello che dirà l'interessato, come reagirà, seppure con la sua compassata flemma che sempre lo ha contraddistinto. Ma sentirsi chiamare «pezzo di storia», beh, sì, lo ammettiamo, è un po' troppo. Ma lui sa che noi tutti, asaini bonomelliani, lo facciammo con grande affetto, per augurargli una serena giornata.

Oggi celebra il suo genetliaco Gianfranco Carabelli, atleta di conclamata eleganza, dirigente di alta preparazione, uomo di cultura sportiva per davvero, e, alla fine ma non ultimo, nostro socio da parecchi anni. E autore, di tanto in tanto (nota di rimprovero), di scritti che nobilitano il nostro sito. Non gli abbiamo preparato la torta con le candeline, ma ci affidiamo a due ritrattini di due mani diverse che ricordano un momento sportivo, e, l'altro, un momento dirigenziale.

Campionati italiani assoluti, Firenze, 9 luglio 1966

Bruno Bonomelli, sulla pagina sportiva de «L'Unità» descrisse così la finale degli 800 metri:

“Rapida partenza di Arese, che viaggia in sesta corsia. Ma, quando i concorrenti all’uscita delle corsie si mettono in fila indiana, dietro al trampoliere torinese, l’andatura cala a tal punto che i 400 metri sono superati in 59”2, quanto a dire un tempo ultra-modesto. La gara diventa perciò tattica. Arese sulla dirittura opposta opera un vivace allungo, ma Sicari gli si avvicina poi nuovamente, trascinandosi Carabelli. In curva le posizioni non mutano. Sul rettilineo duro attacco di Carabelli e tenace la resistenza di Arese che viene piegato nella zona dei rettangoli bianchi. Carabelli (1’52”5) corona quindi un sogno lungamente accarezzato. L’ombra di Bianchi, il grande assente, campione dal 1961 al 1965, non oscura il suo meritato successo. Arese (1’52”6), Sicari (1’53”5) resiste a Gervasini (1’53”6), quinto è Sandon (1’54”5) e infine sesto Bozzini, il più giovane della compagnia, in 1’55”8.”

Il commento della rivista federale – “Corsa tattica per gli 800 metri. La gara vive sul duello fra Gianfranco Carabelli e Francesco Arese, forze emergenti dopo la rinuncia di Francesco Bianchi fuori condizione. Gli altri finalisti sono il nervoso siciliano del CUS Elio Sicari, lo junior Roberto Gervasini, il forte padovano Franco Sandon ed il ventenne Giorgio Bozzini. Passaggio lento ai 400 in 59, 600 metri percorsi in 1.25.5 e marcamento stretto. Guida Arese, ai 700 metri attacca di forza Carabelli e resiste sul rettilineo, imballato, al ritorno tardivo di Arese. Esce molto bene nel finale Gervasini, mentre terzo sarà Sicari”.

Il commento della rivista «Atletica Leggera» – Nessuno, solo un passaggio di una riga che dice:” Nelle gare di mezzofondo, ad eccezione dei 10.000, tutti gli altri vincitori appartengono alla nuova guardia: Carabelli GF, Arese, Finelli, Begnis…”.

Noterelle a margine – Carabelli (che quell’anno vestiva la maglia della Pro Patria San Pellegrino) aveva vinto la sua gara nell’incontro Germania – Italia per ventenni a Sindelfingen. Era la prima volta che una squadra di giovani azzurri superava una tedesca: 99 punti a 98. Gianfranco vinse in 1’51”5. In quella stessa occasione, Erminio Azzaro stabilì il nuovo primato italiano dell’alto, valicando 2.11 (terza prova). Il precedente era di Mauro Bogliatto, un centimetro meno. Qualche tempo prima, a Formia, aveva migliorato il primato juniores, con 2.08. Dopo Sindelfingen (19 giugno) il milanese scese ancora in pista, il 26 al «Rastello» di Siena, Meeting dell’Amicizia: si classificò secondo dietro al belga Coquit, segnò 1’50”3, che rimarrà la sua miglior prestazione stagionale. Il 29 rieccolo a Grosseto, vinse: 1’51”0, su Del Buono, Sicari e Gervasini. E poi i Campionati nazionali a Firenze, batteria l’8, finale il 9 luglio. Batterie, la prima: vinse tenendosi a spalla (1’54”3) Giorgio Bozzini, un piacentino con un gran fisico, una corsa bella, rotonda, peccato, non ha fatto, secondo noi, quello che avrebbe potuto; vestiva la maglia dell’Atletica Piacenza; poco o nulla motivato negli allenamenti, si faceva trascinare dal suo amico Sergio Morandi, gran persona, oggi presidente onorario della società piacentina dopo anni di presidenza effettiva. Il fratello gemello di Gianfranco, Giancarlo, accasato ai Carabinieri Bologna, venne eliminato nella seconda batteria, vinta da Arese.

Congedo dagli incarichi dirigenziali

Riprendiamo brani di uno scritto che Augusto Frasca, nostro attuale vicepresidente, scrisse, qualche annetto fa, quando Carabelli decise di lasciare il mondo dirigenziale.  

"Carabelli iniziò da atleta, e raramente ci fu nel mezzofondo veloce stile d’eguale eleganza. Dalla pista, alle aule della Scuola dello sport, primo corso con Crosa e Tommaso Assi, diplomati con lode, e con Gentile, Fabbricini, Devoti, Contento, Mazzeo, Mica, Veneri. Docenti, memoria obbligatoria, Giorgio Oberweger e Nicola Placanica, vecchie querce dello stampo siculo di Giuseppe Russo e dispensatori dialettici di scienza come Carlo Vittori. Il passaggio successivo alla federazione rappresentò un atto dovuto. Periodo migliore, quello vissuto nelle cure della perla – venne spontaneo definirla “oasi di civiltà” - rimasta unica nel panorama dellosport italiano, costituita dal Centro studi e ricerche. Poi, prima ancora di corpose soglie di responsabilità dall’altra parte del Tevere e in varie segreterie generali, atletica compresa, in due fasi, il rientro alla Scuola dello sport, succedendo al comunista Mario Vivaldi, che da direttore della struttura fra i molti meriti ebbe anche quello di disfarsi, dalla mattina alla sera, di un paio di sicofanti". 

Commento alle fotografie. Nella prima, in alto a sinistra, un giovane Gianfranco Carabelli, diciasettenne, con la maglia della Riccardi, vince una gara sui 250 metri, distanza allora nel programma della categoria allievi. A destra, fianco a fianco con Francesco Bianchi, sulla pista dello Stadio Olimpico romano, durante l'incontro con svedesi e norvegesi, anno 1964. La prima foto, sotto a sinistra, è unica, non l'ha mai vista neppure l'interessato: siamo nel 1962, a Pescara, incontro juniores con francesi e polacchi. La foto viene dall'archivio personale del bresciano Giulio Salamina, che in quella gara corse i 1500 metri con siepi. Oltre a lui e a Carabelli, c'è il cuneese Giampaolo Iraldo, quattrocentista, che fu quarto in 49"1. Stesso piazzamento di Carabelli sugli 800, 1'55"1. A chiudere, un Carabelli in giacca e cravatta, all'epoca segretario generale della Federazione; con lui il cav. Mario Bruno, mai dimenticato presidente del Comitato lombardo, e, a destra, Nino Moleti, dirigente dell'Atletica Riccardi.

Last Updated on Friday, 01 March 2024 15:20
 
Trekkenfild ci informa dalle rive dell'Adriatico, ma non solo, ci sono anche i rumors PDF Print E-mail
Monday, 26 February 2024 09:35

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Numero variegato questo 127 della pubblicazione telematica che ormai veleggia nel suo undicesimo anno di vita. C'è atletica con il tetto sulla testa, commenti, sfruguliamenti, perfino rumors, quelli che molto più banalmente potremmo chiamare pettegolezzi, in attesa di verifica. E, a completamento, qualcos'altro. Come sempre, di tutto di più, motto che non si addice più alla RAI, che ormai ha cambiato lo slogan: di meno, e solo quello che vogliono i padroni del vapore.

Last Updated on Monday, 26 February 2024 09:49
 
Guardi le liste italiane di ogni tempo, e vieni preso da acuta, profonda nostalgia PDF Print E-mail
Tuesday, 20 February 2024 00:00

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1990, 1993, 1985, 1986, 1995, 1981, 1999, 1977. Abbinati a 13'05", 13'06", 13'10", 13'11", 13'17", 13'19", 13'20", 13'21". Adesso accostiamo il calendario e i tempi ai cognomi: Antibo, Panetta, Cova, Mei, Di Napoli, Ortis, Battocletti, Fava. L'operazione di miscelatura di questi tre elementi ci porta alla lista dei cinquemila metri corsi da giovanotti del nostro Bel Paese (non sempre...) nella lunga cronaca dell'atletica leggera. Sono otto nomi e altrettanti tempi nei primi undici della compilazione che, come sempre alla fine di ogni anno, ci offrono Enzo Sabbadin e Enzo Rivis, che di questo si occupano nella nostra lillipuziana setta cui piace ancora questo sport, soprattutto conservarne, come qualcuno ha detto, «la memoria storica». Scorrendo, pizzicati da curiosità, la nuova compilazione chiusa alla fine dell'anno 2023, ci siamo soffermati, casualmente, sulla lista dei dodici giri e mezzo di pista. Chissà perchè, o forse perchè chi scrive questa nota molti di quegli eventi li ha vissuti in diretta, non televisiva o streamingzita. E la lista ha fatto tornare a galla i ricordi e le emozioni vissute.

Mettiamo da parte i sentimentalismi, e andiamo alla sostanza. Abbiamo appena detto: otto dei migliori undici catalogati all'alba del 2024. Un dato che fa riflettere, almeno ha fatto riflettere noi. Nell'intervallo temporale 1977-1999, ventidue anni, sono rimasti lì ben saldi otto dei migliori specialisti della distanza. Solo tre son venuti dopo. E, ad osservare attentamente, fra il 2000 e il 2011 non si è inserito nessuno: oltre un decennio vuoto, al vertice della specialità. Considerazioni che, a occhio, potrebbe essere ripetute pari pari per la doppia distanza. Tanto per dire, Franco Fava è inchiodato al settimo posto con quel 27'42", coronato dal terzo posto in quella stupenda gara sulla pista dello Stadio Olimpico di Helsinki a fine giugno 1977, vinta a suon di primato del mondo dal maestro elementare di un villaggio nelle montagne popolate dalla tribù Pokot, Samson Kimobwa, persona mite ed educata, deceduto una decina d'anni fa. Oppure, il quarto posto del furlan Venanzio Ortis da Paluzza nell'indimenticabile finale europea nello stadio praghese Rošický, nel 1978.

Ogni prova, di pista e di campo, ha la sua storia. Noi, casualmente, ci siamo soffermati su questa. A chi avrà voglia, tempo e curiosità di fare lo slalom fra le migliaia di cifre lasciamo la libertà di fare le proprie considerazioni. Intanto oggi "beccatevi" le liste degli uomini disponibili qui. Ad una prossima puntata quelle delle donne, come si conviene.

Nelle foto: in alto a sinistra, Venanzio Ortis e Luigi Zarcone in allenamento; la copertina dell'Almanacco dell'Atletica 1990, edizione Panini, riservata a Salvatore "Totò" Antibo; sotto Stefano Mei e Alberto Cova al termine di una gara. Tutti grandi protagonisti che ritroviamo ancora alla fine dell'anno 2023 nelle posizioni di vertice delle graduatorie nazionali sui cinque e diecimila metri

Last Updated on Tuesday, 20 February 2024 21:00
 
Daniele Segre, dalla pedana del triplo alla cinepresa della regia cinematografica PDF Print E-mail
Friday, 16 February 2024 08:32

Quello che leggerete sotto le fotografie è un articolo che vorremmo pubblicare più spesso sul sito dell'Archivio storico dell'atletica italiana. E, a dire il vero, farebbe parte del nostro acido desossiribonucleico (sapete tutti vero che cos'è?) fin dalla sua nascita. Alcuni di noi lo vanno ripetendo da anni, troppo spesso inascoltati. Per fortuna non sempre. A che scritti ci riferiamo? A quelli che ci raccontino, a noi e a chi verrà, chi sono stati nella vita i giovani che hanno frequentato gli stadi di atletica nella loro gioventù. Che ne è stato di loro una volta usciti per sempre dal cancello dello stadio? Rimane solo qualche numerino che indica una misura metrica o un tempo cronometrico. Ma la vita di questa persona? Buio, spesso completo. Che fine ha fatto? Non si sa. Né di lui, né della sua professione, né della sua famiglia. Non si sa neppure, spesso, se è vivo o se ha già compiuto l'ultimo viaggio.

L'articolo che presentiamo oggi è un esempio di questo nostro "sentire". Ce lo regala Giorgio Barberis, torinese, una lunga militanza professionale nella redazione sportiva del quotidiano «La Stampa», osservatore e commentatore attento e colto del nostro sport. Giorgio Barberis, da anni, nostro socio, ma prima ancora nostro caro amico. Questo suo contributo è nato da una chiacchierata telefonica, diciamo di cortesia, di amicizia, con un altro nostro socio. E, incidentalmente, esce fuori un "Ti ricordi di Daniele Segre?". No, l'interlocutore non ne ha memoria. Eppure, nella chilometrica lista del triplice zompo compilata da Enzo Rivis per questo nostro sito (si apra questa finestra) Daniele Segre figura al 269esimo posto, uno degli atleti che ha superato i 15 metri. Ma dopo chi è stato Daniele Segre? Questo abbiamo chiesto a Giorgio Barberis e lui ce lo racconta qui sotto.

Era la fine degli anni '60 primi '70, ancora avevamo ancora negli occhi il luccichio della medaglia di Giuseppe Gentile a Giochi Olimpici di Mexico '68, la gloria italica di ben due primati del mondo. Chissà, forse il giovane Daniele divenne saltatore di triplo trasportato da quel momento esaltante. Indossò la canottiera della FIAT Torino; alla fine del 1969 fu quarto nelle liste giovanili, aveva davanti tre giovanotti di un anno più grandi di lui: Ezio Buzzelli, Claudio Moretti e il bresciano Crescenzio Marchetti, tutti classe 1951, lui, il Daniele, 1952; nella stagione 1970 aveva saltato 14,68. E con questa misura era il dodicesimo delle liste italiane assolute. Anno '71: quarto ai Campionati assoluti, ebbe davanti «Giasone» Gentile, il ligure Norberto Capiferri, il bolognese Adriano Maselli. E dietro? Troviamo Crescenzio Marchetti, passato ai Carabinieri Bologna, il piacentino Gian Piero Aquino, studente alla Scuola Centrale dello Sport, e al penultimo posto (su 27 classificati...) Giovanni Tucciarone, che in un futuro prossimo venturo sarebbe stato elevato al rango di responsabile tecnico nazionale del salto triplo. Ai Campionati della categoria juniores Segre era stato meno efficiente: quinto, che comunque gli valse la convocazione nella Nazionale Under 19, che, a Dôle, le buscò dai coetanei transalpini. Abbiamo fatto un po' di ripasso, adesso andiamo a conoscere Daniele Segre come lo racconta Giorgio Barberis.

Una bella immagine di Daniele Segre; a seguire la locandina di uno dei suoi lavori, «Ragazzi da stadio» che viene riproposto proprio in questi giorni sui programmi di RAIPLAY, lo trovate alla voce «Documentari»; sotto, il regista al Torino Film Festival, e, a lato, premiato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

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Appena quattro giorni prima di completare il suo settantaduesimo anno di vita, si è spento Daniele Segre da riviste e siti legati allo spettacolo giustamente ricordato come regista, sceneggiatore e montatore italiano, che nel suo iter terreno ha messo il suo indubbio talento al servizio della realtà sociale, raccogliendo meritati riconoscimenti.

Ma per chi si interessa di atletica e non vive solo nel presente o di gossip (la latitanza dei media per commemorare un grande come il francese Michel Jazy ne è la più recente testimonianza) un giovane Daniele Segre ha trovato spazio nei primi Anni Settanta del secolo scorso, come buon triplista, indossando anche due volte la maglia azzurra a livello assoluto e un’altra a livello juniores.

Nato ad Alessandria l’8 febbraio del 1952, da una famiglia di chiare origini ebraiche (il nonno fu anche rabbino nella città piemontese), Daniele scalò le graduatorie atletiche quanto diciottenne si trasferì a Torino per gli studi universitari e atleticamente venne tesserato dal Gruppo Sportivo Fiat, dove ad introdurlo fu Rinaldo Camaioni, che nelle prime gare giovanili del ragazzo alessandrino aveva intravvisto una qualità che meritava di essere curata e migliorata.

La sua crescita sportiva fu quasi immediata: nel 1971 ottenne un significativo quarto posto agli Assoluti con 14,94, migliorando di una po

sizione il piazzamento dei campionati tricolori juniores dove aveva saltato 14,67. Quel risultato gli valse la maglia azzurra in un incontro, al limite dei 20 anni, tra Francia e Italia disputato a Dole dove fu quarto con 14,53. Ciliegina finale dell’anno un 14,98 che lo pose al settimo posto nelle graduatorie stagionali assolute e al 27° di quelle italiane all-time.

Muscolarmente abbastanza fragile (64 chili distribuiti su 179 centimetri), nella stagione successiva dopo un 14,91 indoor a Genova, superò due volte i 15 metri nella stagione estiva: una prima volta il 6 agosto a Pisa (15,11, che rappresenta il suo top), quindi a fine ottobre a Terni (15,05). In mezzo le due maglie assolute, la prima a Lugano il 26 agosto (Svizzera-Italia, quarto con 14,60) e la seconda a Palermo il 29 settembre (Italia-Bulgaria, terzo con 14,70).

Dalle scene atletiche, principalmente perché sempre più rapito dalla passiona maturata dapprima per la fotografia quindi per la cinematografia, praticamente scomparve nei primi mesi del 1983 dopo un pur promettente 14,86 indoor.

Come uomo di cinema fu assai prolifico, realizzando quasi un centinaio di film, dai quali emerge la sua costante attenzione e l’impegno per rappresentare la realtà sociale a tutto tondo. E per meglio testimoniarlo ci affidiamo a quanto scritto da Ilenia Scollo sul sito on line dell’Ateneo Niccolò Cusano di Roma, che lo descrive come “figura poliedrica e dai molti interessi, che sapeva scrivere, dirigere, montare, produrre, fotografare e persino creare scenografie”. “Applaudito – prosegue Scollo – in numerosi festival internazionali e pure alla Mostra del Cinema a Venezia, Segre è stato docente di Cinema presso il celebre Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e anche direttore didattico del corso reportage della sede Abruzzo del Centro Sperimentale di Cinematografia – Scuola Nazionale del Cinema”.

Daniele Segre ricevette numerosi riconoscimenti, non soltanto in Italia, e nel 2012 in una cerimonia al Quirinale gli venne consegnata la medaglia del Presidente della Repubblica da Giorgio Napolitano.

Last Updated on Friday, 16 February 2024 18:01
 
Tre grandi giornalisti e un bravo allenatore segnarono il destino di Michel Jazy PDF Print E-mail
Sunday, 11 February 2024 00:00

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La copertina della rivista di ispirazione cattolica degli emigrati polacchi in Francia celebra il nuovo primato del mondo sui 3.000 metri (7'49"0) di Jazy, siamo nel 1965, a Melun, la gara era sulla distanza delle due miglia, e anche lì fu record; quel giorno precedette l'australiano Ron Clarke e il tunisino Gammoudi, altri grandi del mezzofondo di quegli anni. Michel era l'idolo dei polacchi francesi, che erano orgogliosi dei suoi antenati originari di quella Nazione (ringraziamo gli amici Janusz Rozum e Luc Beucher per questo raro documento). A seguire, la copertina del bel libro di Gaston Meyer sulla storia dell'atletica francese. Sotto: Michel al lavoro alla linotype nella tipografia del quotidiano sportivo L'Equipe. Infine, la classifica nazionale a fine 1953 dei 1.000 metri della categoria cadetti, Michel, poco più che diciassettenne, è quarto (documento ripreso dalla rivista L'Athlétisme, edita dalla Federazione)

*****

“Depuis 1954, je suivais avec un certaine curiosité les évolutions en cross-country, d’un petit athlète bien «roulé», énergique en diable, aux visage agréable et aux yeux vert rieurs. L’année suivant je dis à Marcel Hansenne:” Je crois que ce garçon a de l’etoffe, tentons une expérience psychologique…”. Nous y sommes allés d’une petit filet élogieux dans L’Equipe, d’où il découlait que Michel Jazy s’annunçait comme un futur Jules Ladoumégue, s’il osait y croire.

[…]

“Le jeune Michel Jazy avait contractè le virus de la course á pied depuis le Jeux de Melbourne, grâce au champion olympique Alain Mimoun dont il avait partagé la chambre en Australie. L’immense énergie de ce gavroche souriant, sa bonne volonté évidente, son désire de réussite, ne faisaient aucun doute. Libéré du service militaire, il avait stabilisé sa vie familiale en épousant la charmante Iréne qui, d’abord réticente à l’égard du sport, comprit très vite que celui-ci allait être précisément son allié le plus fidèle.

“Depuis ses réels débuts en 1953, le future champion avait été pris en main par un jeune et enthousiaste entraîneur du C.A. Montreuil, René Frassinelli qui devait le conduir à ses premiers succès. Le grand, l’immense mèrite de René Frassinelli, c’est d’avoir accepté sans hésitation le plan qui devait conduire Jazy aux records du monde. Car la réussite de Jazy c’est celle de la planification. […]

“Premier problème à résoudre: le «social». Par chance, Michel Jazy avant son service militaire avait été apprenti typographe à l’impremerie Chaix. Il ne m’avait pas été difficile de convaincre le directeur général de L’Equipe, Jacques Goddet, d’engager le jeune apprenti, lequel d’emblée, sut par sa gentillesse, conquérir le cœur de ses compagnons de travail, d’abord réticents. Ce point acquis, ses heures de travail fixée en fonction des nécessités de l’entraînement quotidien, restant à répartir les tâches.

[…]

“Enfin le grand athlète Marcel Hansenne collabora avec René Frassinelli au plan de préparation proprement dit, en partant de méthodes naturelle découvertes naguère en Suède et adoptée par les  Haegg, Elliott, Waern, Snell et autres seigneurs du demi-fond international. […] Du reste, je fis en sorte que dès 1959, Michel Jazy aille recevoir sur place les conseils précieux de Gosta Olander.

“Vingt mois après cette prise en charge, Michel Jazy gagnait à Rome la medaille d’argent du 1.500 mètres en 3’38”4 derrière le fameux Australien Herbert Elliott. Ce fut un surprise…”

Questi brani sono ripresi da uno scritto di Gaston Meyer, senza alcun dubbio – per chi scrive queste righe, almeno – uno dei migliori giornalisti di atletica di ogni generazione. Nato nella magnifica regione della Dordogna, praticò l’atletica, 110 ostacoli e salto in alto. Meyer entrò presto nel mondo del giornalismo sportivo: nel 1932, avendo solo ventisette anni, era già capo rubrica dell’atletica al numero uno dei giornali sportivi, L’Auto. Prigioniero di guerra a Sonderhausen, liberato nel 1944, poco dopo fu tra i fondatori di un quotidiano, Défense de la France, che, in seguito, cambiò nome in France-Soir (che ha cessato le pubblicazioni nel 2019). Nel 1946, Meyer rientrò alla redazione de L’ Equipe, erede della storica testata L’Auto, dove aveva già lavorato, come detto: venne nominato redattore capo aggiunto. Esempio di passione sconfinata per lo sport e per l’atletica in particolare, aveva trovato il modo di inviare articoli al giornale perfino mentre era prigioniero. Dal 1954 al 1970 fu redattore capo del grande giornale sportivo francese, punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati di atletica di tutto il mondo. Per dire: Bruno Bonomelli, a Brescia, faceva arrivare L’Equipe alla edicola della stazione ogni giorno, e lo fece per molti anni, poi ritagliava articoli e notizie del nostro sport e di quello olimpico e li incollava sulle pagine bianche di libroni che si faceva preparare in tipografia. Qualcuno, gelosamente, conserva ancora quei «cimeli». Meyer è mancato nel 1985, a Parigi. Dell’atletica fu profondo conoscitore, animato da una passione limpida, sostenuto da facilità di scrittura e da chiarezza espositiva figlia della solida conoscenza. Nel 1975, per i tipi dell’editore Calmann-Lévy, diede alle stampe un bellissimo libro – corredato da splendide fotografie – intitolato «Le grand livre de l’athlétisme français», da cui sono tratti i brani citati, che arricchivano il racconto della storia dell’atletica transalpina con i ricordi personali, queste parti avevano in alto una testatina che recitava così: «Ma propre experience». Sulla copertina, ça va sans dire, una grande foto di Michel Jazy con la canottiera del C. A. Montreuil, il club dove entrò nel 1956 e non lasciò più. Meyer ha scritto altri tre libri altrettanto importanti: «Le phénomène olympique», «L’Athétisme», «Les Jeux Olympiques».

Nei brani di Gaston Meyer che abbiamo riportato scorrono altri nomi di eccellenti uomini di sport, che hanno avuto risonanza non solo sul suolo francese. René Frassinelli, stimatissimo allenatore che ha curato la crescita e l’affermazione di grandi atleti transalpini. Appare Marcel Hansenne, parigino, mezzofondista, due volte sul podio ai Campionati d’Europa (’46 e ’50), bronzo ai Giochi Olimpici ’48, sempre sugli 800 metri, primatista del mondo sui 1000 metri. Poi giornalista e allenatore. Jacques Goddet, un nome che evoca ciclismo e Tour de France. Pure lui parigino, pure lui socio della categoria scrittori di sport, fu direttore non solo del quotidiano L’Auto ma anche patron del Tour per cinquant’anni, dal 1936 al 1986. Se ne è andato nel 2000, aveva già compiuto 95 anni.

Di questi grandi uomini di sport ha beneficiato la carriera di Michel Jazy: Gaston Meyer, Marcel Hansenne, Jacques Goddet, René Frassinelli, ciascuno con un suo copione da recitare, i quali hanno contributo alla maturazione del talento innato di quel ragazzo francese di nascita ma con sangue di antenati polacchi. Senza di loro, forse, avrebbe avuto solo un impiego a vita da linotipista. 

Last Updated on Sunday, 11 February 2024 20:42
 
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