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Un giovane di bottega carpigiano, un garçon de café francese, e altre storie PDF Print E-mail

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La foto ci racconta un momento della sfida nuovaiorkese dei grandi maratoneti: in testa Dorando, seguito da Saint-Yves, poi con la maglia nera il britannico Alfred Shrubb, appena dietro il lungo pellerosse canadese Tom Longboat, e sul fondo, staccato, il campione olimpico, lo statunitense John J. Hayes. L'immagine è riprodotta dalla rivista francese «La Vie au Grand Air», alcune annate della quale (primi anni del Novecento) sono presenti nella Collezione Ottavio Castellini.

 

Se andate a ritroso al mese scorso, verso metà troverete un articolo, in francese, di Luc Vollard, presidente della Commissione Documentazione e Storia della Federazione francese. Luc ci raccontava, in quel breve articolo, la storia di un giovanotto suo connazionale, Henry Saint – Yves, il quale, da vincitore di una gara fra camerieri - allora si usava far correre i garçons de café con vassoio e bottiglia di acqua da non far cadere - divenne una star della corsa lunga, chiamiamola pure maratona, che in quegli anni, 1908 – 1909, godeva di straordinaria notorietà per merito di un piccolo italiano che stava per vincere i Giochi Olimpici ma non li vinse. Non servirebbe neppure farne il nome, comunque di Dorando Pietri si tratta. La sua storia è stranota, romanzata, celebrata. Maratona significava, negli Stati Uniti soprattutto, ricche sfide (di palanche, intendiamo), decine di migliaia di spettatori, paginate di giornali, titoli e foto in «prima».

Dopo l’articolo di Luc Vollard abbiamo chiesto un contributo ad Augusto Frasca, che, nel 2008, in occasione del centenario dei Giochi Olimpici di Londra, fu autore di un nuovo libro sulla vita di Dorando, le sue imprese, le sfide con gli altri corridori di lunga lena del tempo, fra i quali Saint – Yves. Ha scritto Frasca:

E così furono un giovane di bottega carpigiano e un garçon de café francese a costruire parte del pantheon internazionale delle corse d'inizio Novecento. Dorando Pietri il primo, l'uomo che in pochi minuti trasformò un miserere nell'immortalità di un mito. Il secondo, Henry Saint-Yves – evocato di recente dal collega Luc Vollard nelle Newsletter d'oltralpe – la cui aggressività agonistica era stata rilevata a Londra da due italiani, Giovanni Filippi e Alfredo Moranti, in occasione di una corsa tra dipendenti di due ristoranti di Piccadilly Circus. Due atleti, meglio, due grandi atleti. Avara, la natura, per l'uno e per l'altro, meno di un metro e sessanta l'italiano, fermo al metro e mezzo il normanno di Mont-Saint-Aignon. Per entrambi, la dovuta indulgenza per uso eventuale di stricnina e annessi, mai accertato per Dorando a differenza di Yves ('big drink of nervine'), sostanza peraltro all'epoca non solo non vietata ma addirittura suggerita e prescritta da tecnici e medici per atleti impegnati sulle lunghe distanze, mentre, arretratezza del tempo, si inibiva l'acqua. Tra il 1909 e il 1910, tra Stati Uniti e Canada, Henry e Dorando si incontrarono quattro volte. Più resistente del giovane emiliano, il francese vinse nettamente i due affollati Marathon Derby, identificati oltre Oceano come The Race of All Nations, ospitati nella pista all'aperto dei Polo Grounds di New York, impianti dell'Upper Manhattan allestiti trent'anni prima per i grandi incontri di baseball e football. Due date, 3 aprile 1909 e, poco più d'un mese dopo, 8 maggio. Sconosciuto in America, nella prima corsa – pioggia, partenza alle 21.22, 30.000 spettatori – Saint-Yves fu ignorato dagli scommettitori: 40 a 1, quota sconsiderata, un baratro rispetto all'8 a 5 assegnato all'indiano della tribù Onondaga Thomas Longboat, dominatore nel 1907 a Boston e in tre edizioni consecutive della maratona di Toronto, al 2 a 1 del britannico Alfred Shrubb, dirompente sulle medie distanze, citato a sorpresa nel romanzo Forse che sì forse che no del vate pescarese Gabriele D'Annunzio, e al 3 a 1 di Dorando. Il ventunenne normanno chiuse i 42 chilometri e 195 metri in 2h40:50.3, rifilò cinque minuti all'italiano e il doppio a John Hayes, intascando i 5.000 dollari di premio (!), cifra doppia di quella assegnata a Dorando. Ancora più netta l'affermazione di Saint-Yves il mese successivo dinanzi a 50.000 spettatori. Ripiegato su sé stesso, schiena malridotta, polmoni raschiati, nove stop in gara, Dorando fu una mezza figura, giungendo dopo i fuochi con quindici minuti di ritardo. Sottoposto ad una frequenza dissennata di impegni, nel marzo 1910 il piccolo carpigiano mise tuttavia in equilibrio la bilancia rinviando al mittente i pronostici negativi degli allibratori e imponendosi nel giro di pochi giorni sulla distanza delle 15 miglia, il 18 marzo a Vancouver, sulla pista Horse Shaw, con mezzo giro di vantaggio, e ancor meglio il 25, a Winnipeg, con il normanno staccato di quattro giri. Protagonista e ostaggio del micidiale palinsesto messo in piedi dall'impresario Patrick Powers e dal manager Harry Pollock, Dorando scese nuovamente in pista due volte nel giro di quindici giorni, battendo Tom Longboat in una sfida diretta sulle 20 miglia all'Exposition Hall Roller Skating Rink di Pittsburg, e il britannico Peter Smalwood al Duquesne Garden della stessa località sulle 12 miglia. Con le due affermazioni, l'italiano dette definitivamente addio alle trasferte nordamericane, scendendo poi al Sud per una remunerativa serie di impegni in Argentina e Brasile, rientrando alla fine dell'anno in Italia e ponendo fine all'agonismo l'anno successivo a Stoccolma, il 15 ottobre, 121ma gara della carriera, ritirandosi al 20° dei 24 giri previsti contro il campione di casa Gösta Ljungström. Sull'esito di quest'ultima gara, come della precedente a Göteborg, s'ebbero spesso notizie contraddittorie. Sciogliemmo infine il dubbio rivolgendoci a Roberto Quercetani: con l'acribia di un entomologo, il nostro indimenticabile amico mise a frutto la leggendaria ragnatela dei suoi rapporti internazionali, toccando con mano le documentazioni dell'epoca e confermando le sconfitte di Dorando nelle due apparizioni svedesi. A chiusura di questa breve nota, dedicata a Henry Saint-Yves e a Dorando Pietri, gigante della cultura popolare infallibilmente legato alla potenza espressiva della foto scattata il 24 luglio 1908 sul traguardo olimpico di Londra, peccheremmo di insensibilità storica ove non fornissimo dettagli sul conto aperto tra Dorando e John Hayes, primo classificato nella maratona della quarta Olimpiade moderna, vincitore il più ignorato nella storia dello sport. Dopo Londra, quattro volte scesero assieme in pista il lontano garzone di pasticceria dell'azienda Melli e il figlio ventiduenne di emigrati irlandesi dipendente nuovaiorchese di Mr. Bloomingdale. Dorando si rivelò uno schiacciasassi, e la vendetta fu totale: 4 a 0.