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Franco Giongo, l'elegantone delle piste d'atletica con la bizzarra tuta-pigiama |
Con la pubblicazione della seconda parte, concludiamo la storia delle «sfide» fra velocisti che animarono la nostra atletica per una quindicina di anni fra il 1910 e il 1920. Al centro, la figura del bolognese Franco Giongo, che dovette misurarsi con diversi pretendenti al suo «trono» di miglior sprinter dai 100 ai 400 metri. Una volta conclusa la carriera sportiva, Giongo si impegnò anche in quella dirigenziale all'interno della F.I.S.A., la federatletica di allora (fino al 1926). Poi si dedicò completamente alla sua vera professione, il medico, e fu professore universitario di radiologia. Tutto questo, e altro ancora, ci ha raccontato nella sua ricerca Alberto Zanetti Lorenzetti, che qui ringraziamo. ***** Le foto qui sotto, dall'alto in basso. Copertina del settimanale «La Stampa Sportiva» dell'ottobre 1914 dedicata al mezzofondista bustocco Carlo Speroni e a Franco Giongo che sfoggia la originale tuta-pigiama. Nella seconda, anno 1916, il tenente medico Giongo (in piedi al centro, con barba) con alcuni militari feriti o in convalescenza all'ospedale militare di Valona, in Albania; sdraiato su un lettino, con una gamba ingessata il capitano Franco Scarioni, redattore della «Gazzetta», inventore delle «popolari» di nuoto patrocinate dal quotidiano sportivo; Scarioni morì in un incidente aereo nel 1918: verrà intitolata a lui la conosciuta Coppa di nuoto. Nell'ultima: siamo a Berlino nel 1923, gara dei 100 metri, Giongo e il piccolo velocista istriano, di Pola, Vittorio Zucca ("Zucchetto" per i giornali) nel serrato finale: vinse il medico bolognese, che con quella gara pose fine alla sua carriera sportiva All’inizio dell’anno olimpico 1912, tesserato per il C.S. Padovano dopo gli screzi con i compagni del club torinese, Franco Giongo si dimostrò in ottime condizioni il 2 maggio a Milano stabilendo il primato nazionale dei 150 metri con 17 secondi netti e concludendo i 200 metri con l’ottimo tempo di 22”4/5. Giongo e Emilio Lunghi si evitarono ancora ai tricolori di Verona, che fungevano anche da selezione per i Giochi Olimpici: Giongo calò il tris, vincendo i 100, 200 (non validi come Campionato nazionale) e 400 metri. Da parte sua il genovese si impose nei 1200 siepi e con la staffetta olimpionica dello Sport Club Italia. Il 2 giugno a Milano un altro primato nazionale, stavolta sui 300 m con 36”4/5, alimentò le aspettative di buoni risultati del bolognese per Stoccolma. Invece andò incontro a una cocente delusione: fu eliminato in semifinale nei 100 e 200 metri, mentre nei 400 non riuscì nemmeno a superare le batterie. Trovò modo di rifarsi nei meeting all’estero, andando a vincere 100 e 440 yarde con tanto di primato italiano il 27 luglio allo stadio londinese di Stamford Bridge, preceduto solo da W. R. Applegarth, (bronzo olimpico sui 200 metri e oro con la 4x100) nelle 220 yarde. Sulla stessa distanza l’inglese lo superò anche a Praga dove Giongo però dominò la gara sulle 440 yarde. Tre mesi dopo vinse nuovamente il Prix Ravaut a Parigi. Il 1913 fu condizionato dalle precarie condizioni di salute, avendo contratto una brutta forma di paratifo. A settembre, non certo in buone condizioni di forma, ai Campionati nazionali venne eliminato in semifinale nei 100 metri e nella doppia distanza fu battuto in finale dall’outsider De Nicolai. Ben altra musica nel 1914, anno del passaggio alla Virtus Bologna. Negli imperial-regi impianti sportivi d’Ungheria e Austria non ebbe avversari. A Budapest il 7 giugno vinse i 100 e 200 metri; la settimana dopo fu la volta delle 100 e 200 yarde, del primato italiano delle 220 yarde (22”4) e delle 300 yarde (32” netti), per poi migliorare il personale sui 400 metri, portato a 50”5. Dalle piste della capitale magiara si trasferì del Prater di Vienna; nei giorni dell’attentato di Sarajevo si impose nelle 100 yarde e 200 metri, coi primati italiani rispettivamente di 10” e 21”7. Lasciata la Mitteleuropa si diresse prima a Londra, poi a Parigi dove il 19 luglio si aggiudicò per la terza volta il Prix Ravaut nei 200 metri. I Campionati italiani, che si disputarono il 26 e 27 settembre a Milano, si annunciavano interessantissimi. E non delusero le attese. La gara di cartello era quella dei 400 metri, grazie al confronto diretto fra Giongo e Lunghi, che dopo quaranta mesi erano tornati a sfidarsi. L’incertezza per l’esito della corsa durò fino all’ultimo metro, poi fu premiata la rimonta del bolognese, al quale venne assegnato il tempo di 51”3/5. Commentò il «Corriere della Sera»: “È una meravigliosa corsa. Lunghi a centro metri dal traguardo ha quasi due metri di vantaggio su Giongo, ma questi riesce a portarsi di fianco a Lunghi col quale lotta fin sul traguardo, dove i due atleti sono separati da un insignificante spazio”. Fu un duello spettacolare e incertissimo che chiuse un’epoca. Entrambi si erano ben preparati per i tricolori. Il bolognese si aggiudicò addirittura quattro titoli italiani: 100, 200, 400 e 4x400 metri (col record italiano e battendo il quartetto di Lunghi), mentre il ligure si impose negli 800 e con la staffetta olimpionica. Nel 1915 l’Italia entrò in guerra. Giongo venne arruolato come ufficiale medico ed inviato sul fronte balcanico, per cui la sua carriera sportiva subì un inevitabile arresto. Lo spedirono in Albania, a Valona, dove fu scattata una fotografia, pubblicata dallo «Sport Illustrato», in cui posava con alcuni aviatori che avevano dovuto ricevere l’assistenza dell’ospedale militare. Fra questi c’era il capitano Franco Scarioni, giornalista di punta della «Gazzetta dello Sport», al quale andava il merito di aver ideato le “popolarissime” di nuoto, manifestazione di grande successo che, dopo la morte per un incidente aereo avvenuta a Castelgomberto (Vicenza) il 21 maggio 1918, gli fu intitolata. Terminò il grande conflitto mondiale e tornarono ad essere organizzate gare e Campionati, ma di Giongo nessuna traccia. A sorpresa nel 1922 inviò una lettera alla «Gazzetta dello Sport». Il tono della missiva nulla aveva a che vedere con il personaggio d’anteguerra: pregava il quotidiano sportivo milanese di “non mandare corrispondenti e che non parlino di records! Io desidero semplicemente fare delle gare”. Aveva superato i 30 anni d’età e soprattutto la lontananza dalle gare era durata sette stagioni. In realtà la stoffa del campione c’era ancora tutta e ai Campionati italiani si piazzò secondo sui 200 metri preceduto da Paolo Bogani, anch’egli della Virtus Bologna, e conquistò il titolo nella 4x400 con il quartetto felsineo. Bisognava solo oliare un po’ le articolazioni. Ma il vero rivale da battere non era il compagno di squadra bolognese, ma un biondino di Pola, Vittorio Zucca. Questo atleta istriano si era presentato ai Campionati italiani del 1919 praticamente sconosciuto. Provenendo dalle “Terre redente” non si avevano notizie dei suoi risultati, ammesso che ne esistessero, ottenuti negli anni precedenti. Raggiunse la finale dei 100 metri e fu l’unico concorrente a partire in piedi, cosa che non gli impedì di vincere con il tempo di 11”3/5; ma molti espressero dubbi sul suo effettivo valore. Il velocista giuliano rivelò tutta la sua classe nel 1920, grazie anche alle cure dello statunitense Platt Adams, tecnico ingaggiato dalla FISA – la Federazione di atletica leggera dell’epoca – per selezionare gli atleti da inviare ai Giochi di Anversa, che gli insegnò come partire con i quattro appoggi. Si fece valere nelle preolimpioniche, superò le batterie venendo però eliminato nel turno successivo ai Giochi, corse i 100 metri in 10”7 e infine vinse i 100 e 200 metri ai Campionati italiani. Aveva due difetti: una fragilità muscolare che frequentemente gli causava infortuni e la passione per il calcio, attività che spesso interferiva con l’impegno nell’atletica. Nonostante avesse fatto registrare alcuni tempi incoraggianti nei primi mesi del 1923, le trasferte di Giongo a Londra e Parigi furono piuttosto deludenti, con un rendimento ben diverso rispetto a quanto fece vedere verso la fine di giugno a Bologna nei Campionati nazionali, dove fu stimolato dalla presenza del velocista di Pola. Nella finale dei 100 metri Giongo e Zucca piombarono assieme sul traguardo. Se sul tempo non c’erano dubbi, un ottimo 10”4/5, l’ordine d’arrivo fu controverso. Scrisse Erardo Mandrioli: “Fra Zucca, primo indiscutibilmente a due metri dal traguardo e l’incalzante Giongo, che è caduto più che non si sia buttato sul traguardo in un estremo e disperato sforzo, la distanza sul filo di lana è stata impercettibile. Dei quattro giudici d’arrivo, tre sono stati in favore di Giongo, mentre uno solo si è pronunciato per Zucca”. Il giorno dopo Giongo si impose con 22”3/5 anche nei 200 metri dove il velocista istriano, vistosi staccato dagli avversari, si ritirò a 30 metri dal traguardo, ma venne ugualmente classificato in quarta posizione. Il contestato arrivo dei 100 metri ai Campionati nazionali diede vita a una rivalità sportiva che si trascinò anche nei meeting esteri disputati nella prima metà di luglio e attentamente seguiti dalla «Gazzetta dello Sport» .“Vedi combinazione! Giongo e Zucca sono andati a togliersi il bruciore nientemeno che a Berlino. Di solito, passata la festa, cioè i campionati, molte lune dovevano passare prima che si riuscisse a combinare una rivincita di qualche arrivo discusso. E non sempre si riusciva. La finale dei 100 metri del 1919 e quella dei 200 del 1922 fanno storia. Questa volta invece, con buona pace di Zucchetto, la cosa è venuta presto ed all’improvviso. A Copenaghen il buon dottore s’era squagliato desiderando di riservarsi per i 200 metri, cosa che, naturalmente, non poteva non aver indotto il polese ad alzare la cresta. A Berlino invece Zucca si è dovuto accontentare di arrivare brustbreite, cioè ad un petto, come dicono i tedeschi”. Tempo: 11” netti per entrambi. L’ultima parola però spettò al polese che il 27 luglio, alla “olimpionica” organizzata allo Stadio di Roma, finalmente ebbe la soddisfazione di battere il rivale nella finale dei 100 metri. I due furono divisi al traguardo da un decimo di secondo: 11”1 a 11”2. Fu l’ultima volta che si incontrarono e per Giongo si concluse una carriera importante, con 11 titoli nazionali vinti e una lunga lista di primati all’attivo. Se era terminato il periodo dei confronti in pista, era invece cominciato quello delle polemiche dirigenziali, che lo videro battagliare in precongressi e congressi della FISA sui temi delle forti spese e dei bilanci federali. In particolare si impegnò per lo snellimento del programma dei Campionati dove erano ancora inserite gare come i 20.000 metri di corsa in pista, i salti senza rincorsa, il lancio della pietra e la palla vibrata. Ma la sua principale attività era quella di medico. Divenne uno stimato professore universitario di radiologia. Morì a Milano il 28 dicembre 1981, alla veneranda età di novant’anni. (parte seconda - fine) |