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Un articolo di Adolfo Cotronei (Gazzetta dello Sport, 1932) racconta Frigerio prima di Los Angeles PDF Print E-mail

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La recente lettura di un libro edito dalla "Gazzetta dello Sport" nel marzo 1932 ci ha suggerito di riprodurre nel nostro sito un articolo di Adolfo Cotronei su Ugo Frigerio. Siamo alla vigilia dei Giochi Olimpici di Los Angeles, Frigerio ritenta l'avventura olimpica dopo che, quattro anni prima, il Comitato olimpico internazionale aveva cancellato la marcia dal programma dei Giochi. L'avversione per questa disciplina si è manifestata ciclicamente, anche in tempi recenti. Cotronei, quell'anno componente del Comitato di Direzione della "rosea", era un giornalista sportivo, napoletano di nascita, passato attraverso diverse esperienze editoriali fino ad approdare al "Corriere della Sera" e poi alla "Gazzetta". Stile ampolloso, proprio dell'epoca fascista, ma, allo stesso tempo, grande padronanza della lingua italiana e del bello scrivere. Appassionato schermidore, attento alle vicende olimpiche, avendone seguite - da quanto si arguisce dai suoi scritti - almeno un paio (1924 e 1928). Il libro che il quotidiano milanese stampò si intitola "Atleti ed Eroi" (chi vuole sapere maggiori dettagli sull'autore può andare su questo indirizzo https://www.collezioneottaviocastellini.com/ultime-acquisizioni

Lo scritto su Ugo Frigerio è uno dei meno ridondanti, anzi rivela una interpretazione molto umana, un ritratto del campione olimpico che, uscito da una crisi profonda, ritrova la strada della fatica e del ritorno nell'agone olimpico. Non manca qualche accenno alla "razza" , alle "virtù misteriose", L'Ufficio Stampa del Duce leggeva tutto, bisognava essere allineati e coperti...e poi Cotronei era un "credente". Sulle assolate strade californiane, Frigerio si metterà al collo la medaglia di bronzo nella 50 chilometri a Los Angeles, la prima "cinquanta" disputata ai Giochi Olimpici, una distanza che riserverà grandi soddisfazioni all'Italia.

L'immagine si riferisce alla riproduzione della copertina di un numero de "La Domenica del Corriere", 9 - 16 luglio 1922:"Frigerio primo marciatore del mondo. Nello stadio di Copenaghen, dopo aver ancora battuto, sui 5000 metri, il danese Rasmussen, mondiale di marcia, il piccolo tipografo milanese insegna al pubblico il grido italiano , e provoca uno scambio di frenetiche acclamazioni all'Italia e alla Danimarca". Gunnar Rasmussen, classe 1894, morto nel dicembre 1945, stabilì due primati del mondo a distanza di poche settimane, a Copenaghen, sui 5 mila e 10 mila metri, primati destinati a durare molti anni. Fece invece una ben povera apparizione sui 3 mila e 10 mila metri ai Giochi Olimpici del 1920: squalificato in batteria in entrambe! (Collezione Ottavio Castellini - Biblioteca Internazionale dell'Atletica).

 

Ugo Frigerio: l'atleta risorto

Ugo Frigerio disputerà alle Olimpiadi di Los Angeles la marcia di cinquanta chilometri? Dopo tante vicende e tante pene, ritenterà la generosa battaglia per un primato del mondo?

Dinanzi alle moltitudini di tutti i Paesi, egli passò come un dominatore, mostrando la forza e l’armonia di una razza, sollevando gelosie e ammirazioni. È l’atleta italico, è l’interprete dello stile perfetto; e la sua potenza non sorge dai muscoli, ma da una virtù misteriosa che plasma per le aspre prove gli esseri delicati.

Il suo nome pareva soffocato dal tempo. La vita sportiva è come una romanza; e l’incanto dura, fino a che dura la melodia.

Tante giovinezze ritrovarono subitamente le tenebre dopo le luci siderali; tante giovinezze si chiusero precocemente nel silenzio come in un sepolcro di vivi. La folla urla la sua passione, incita il suo uomo, lo esalta, lo leva sulle spalle; ma ben di rado sa fermarne nel cuore l’immagine spirituale. La massa anonima è distruttrice e crudele.

Il campione, che nello sport trova la vittoria e la ricchezza, è un privilegiato. Egli può apparire un prodigio, non essere una idealità: è un professionista, che trae dai muscoli e dalla volontà la sicurezza del domani. Il dilettante è invece un inconsapevole e un puro: ama il gesto, la poesia del gesto. La sua mèta? Vincere, sentirsi sollevato dalla frenesia collettiva.

Quando Ugo Frigerio ritornò da Parigi col lauro olimpionico, pensò che il suo ciclo agonistico dovesse chiudersi e che avendo molto offerto al suo Paese, qualche cosa potesse sperare. Egli sognava una dolce tregua, un’esistenza sicura; e offrì il passato alle ricordanze e all’attività di lavoro. I mesi trascorsero; e a poco a poco, come un tempo crollarono i records, crollarono i sogni. Infine, crollò la fede in sé medesimo. Lo rivedemmo qualche volta, nelle ore torbide. Dov’era più il sorridente Ugo, il fanciullo gentile? La sua maschera aveva i segni della sofferenza morale, il suo parlare non era più frivolo e svagato; ma ambiguo. Lo sport non era più una memoria confortevole; ma quasi un peso per quell’anima che disperava.

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