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Alfredo Rizzo, «King» del mezzofondo, suonatore di tromba, un anarchico elegante Stampa
Martedì 16 Maggio 2023 00:00

Era il 7 febbraio. In quel momento la nostra redazione era, diciamo, sguarnita, per le famose «cause di forza maggiore». E quindi non abbiamo potuto dare alla notizia la necessaria tempestività. Il 7 febbraio 2023, quasi alla soglia dei novant'anni (li avrebbe festeggiati il 1° luglio), se ne è andato Alfredo Rizzo, una delle icone del nostro non eccelso mezzofondo negli anni '50 e prima metà '60. Alfredo è stato un gran corridore e un gran personaggio, milanesissino, e fedelissimo alla maglia verde della «sua» Atletica Riccardi. Il suo ricordo non deve passare senza un dovuto omaggio da parte nostra. Omaggio che oggi affidiamo al nostro socio Gianfranco Carabelli, che, ragazzino, fu affiancato a Rizzo per muovere i suoi primi eleganti passi nel mondo della corsa...qui ci fermiamo, lasciamo raccontare Alfredo Rizzo da Gianfranco. Che ringraziamo per questo garbato ricordo.

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Didascalie - Le quattro fotografie furono scattate da Bruno Bonomelli. Da sinistra il senso orario: Rizzo al centro con Gianfranco Sommaggio, a sinistra, e Francesco Bianchi, foto scattata all'Arena di Milano il 19 maggio 1963; di seguito, anno 1964, il nostro impegnato in una corsa campestre in Lombardia; 2 giugno 1958, siamo a Cremona, riunione nazionale, 800 metri, Rizzo precede il cremonese Mario Fraschini, finiranno a spalla con il tempo di 1'51"3; il terzo fu tal Luciano Gigliotti, 1'55"2; e infine, ancora Arena, sullo sfondo il Pulvinare, con tre uomini che conversano sul prato: Rizzo, Gianfranco Baraldi al centro, e l'allenatore Carlo Venini, di spalle.

Sotto: Rizzo impegnato su una barriera dei 3000 metri siepi, disciplina che Alfredo, con i suoi primati (sei), ha contributo a togliere dalla mediocrità: qui siamo a Rovereto, il 13 giugno 1965, seconda edizione del Palio della Quercia, sulla nuova pista di atletica, che lui onorò con il nuovo primato nazionale: 8'53"0. A fianco un documento abbastanza raro: la pubblicazione del ministero della Pubblica Istruzione che riporta i nomi dei vincitori dei Campionati studenteschi, nell'anno 1952, nelle finali milanesi Rizzo vince la corsa campestre e i 1000 metri. Notare sotto, a Modena, Luciano Gigliotti vinse le stesse gare.

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Quando Sergio D’Asnasch sosteneva che il Giuriati era una specie di “repubblica anarchica” credo si riferisse principalmente a lui, a Alfredo Rizzo, il quale per un decennio, tra la fine degli anni Cinquanta e quella degli anni Sessanta, è stato l’atleta più rappresentativo, il dominus, il meno “addomesticabile”, anarchico appunto, di quello storico campo di atletica e di rugby di Milano. I suoi allenamenti erano quasi sempre una specie di sorpresa. Arrivava al campo con la sua spiderina (vera rarità per i giovani di quei tempi) a orari mai fissi, quando gli impegni di lavoro glielo permettevano. Si spogliava alla luce del sole servendosi di una panchina posizionata in modo casuale lungo il rettilineo. Alla fine dell’allenamento, effettuato come se fosse una esibizione privata, si rivestiva seguendo la stessa procedura, senza curarsi troppo degli occhi indiscreti che lo osservavano o, peggio, lo studiavano in ogni suo movimento, perché dal momento del suo arrivo diventava il centro dell’attenzione.

E ripartiva, a volte senza parlare con nessuno, altre volte chiacchierando con gli astanti, ma sempre solo se aveva delle novità mirate, da portare all’attenzione di chi gli stava intorno. Anche in questi frangenti metteva in evidenza un carattere molto forte, da maschio alfa si direbbe oggi, capace di esprimere una forma decisa, ma simpatica di affermazione di sé stesso, sovente accompagnata da un sorriso su un angolo della bocca, psicologicamente rivolto più a sé stesso che agli interlocutori. Questo bisogno di rendere partecipi gli altri delle sue esperienze più significative e delle sue conseguenti riflessioni era alla base di una serie di articoli scritti per la «Domenica del Corriere» sotto il titolo significativo “C’ero anch’io”.
Lo frequentava un selezionato gruppo di amici e ammiratori che veniva sottoposto a volute provocazioni verbali e a forme non sempre ortodosse di comportamento, che ottenevano il risultato di rafforzarne il rapporto. Sta di fatto che le sue scelte di stile di vita in molti casi hanno anticipato di almeno un decennio quelli che sarebbero stati i nuovi movimenti giovanili e sociali degli anni a venire.
Strana, quasi inspiegabile, ma vera e sincera la sua pressoché perfetta intesa con due persone a cui è rimasto sempre legato: il presidente della sua società, rimasta tale a vita, Renato Tammaro (espressione nazionale anche del Centro Sportivo Italiano oltre che della Federatletica) e il suo allenatore, Gianni Caldana, tutto stile elegante e maniere perfette, anche quando si arrabbiava nel vedere atleti rovinati da allenamenti secondo lui sbagliati, specie in termini di tecnica di corsa a cui attribuiva particolare importanza.
Caldana riusciva a gestire l’ingestibile, perché Rizzo non svolgeva un vero e proprio programma di allenamento. Il più delle volte dava l’impressione di scegliere il da farsi in base all’ispirazione del momento e al tempo, comunque poco, a disposizione. Niente preparazione invernale, niente lavoro in palestra, niente allenamenti di fondo, del cosiddetto lungo e lento neanche parlarne. Qualcosa di questi elementi dell’allenamento l’ha introdotta verso la fine della carriera, ma con parsimonia. Forse, il fiato, come si usava dire, l’ha fatto suonando la tromba, cosa per la quale veniva chiamato anche «King Alfred», ma di questa sua seconda vita non ha mai fatto un vanto vero e proprio.
Anche agli allenamenti collegiali partecipava poco e quando era proprio costretto a farlo. Mario Lanzi, responsabile nazionale del mezzofondo e perfetto e, a modo suo, sensibile conoscitore delle esigenze e delle preferenze dei suoi atleti, sapeva già che doveva lasciarlo libero di decidere da solo su come, dove e quando allenarsi, e, cosa ancora più inusuale, dove alloggiare. Perché preferiva evitare di prendere la camera nel mitico Albergo Stadio, scegliendo una meno accogliente stanza in una dependance del Campo Lanerossi che all'origine era adibita ad alloggio del custode e poi a deposito degli attrezzi. Lì diceva di trovarsi benissimo.
Personalmente, con lui ho fatto un’esperienza che mi ha lasciato il segno a lungo. È stato in occasione del mio primo allenamento da sedicenne al Campo Giuriati. Tammaro mi ha subito affidato a Caldana, il quale, a sua volta, mi ha messo nelle mani di Rizzo per fare alcune ripetute di 300 metri. Ancora non sapevo chi fosse questo atleta con cui mi sarei dovuto allenare e ancora meno lui sapeva di me, ovviamente. Fatto sta che mi ha letteralmente “strippato” per bene, facendomi correre cinque volte i trecento metri al ritmo di gara, ma al suo ritmo, quando già valeva intorno ai 3’43” - 3’44” sui 1500. Da quel momento siamo diventati atleticamente amici, ma da buoni mezzofondisti, sempre pronti alla “sgomitata” per farsi largo.
L’ho rivisto nel ruolo di dirigente della Riccardi, in occasione della presentazione del volume «Storia dell’atletica leggera» di Roberto Quercetani, edita da Roberto Vallardi, in una prestigiosa villa di Monza. Sembrava un’altra persona: buone maniere, eleganza alla “Bardelli” (il negozio di abiti da uomo tra i più eleganti di Milano), impeccabile cerimoniere, comunque sempre capace di rivolgere verso di sé l’attenzione dei convenuti. Ma non è vero che era cambiato, aveva solo fatto emergere una forma di aristocrazia di cui era geloso e che teneva nascosta dentro di sé. 

Ultimo aggiornamento Martedì 16 Maggio 2023 20:28