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Gennaio 1953: se ne vanno Marina Zanetti e Alberto Bonacossa, pionieri dello sport PDF Stampa E-mail
Sabato 28 Gennaio 2023 00:00

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Nella foto di apertura: una plastica immagine di Marina Zanetti nell'atto di lanciare il giavellotto. La foto è ripresa dal libro di Marco Martini «Gonna-pantalone o calzoncini corti?», uno sguardo unico e documentatissimo sullo sport femminile in Italia nei primi decenni del Novecento. Al centro: riproduzione della testata «Lo Sport Illustrato» n.17 dell'aprile 1921, settimanale della «Gazzetta dello Sport» che usciva la domenica. L'articolo di apertura di quel numero era firmato dal conte Alberto Bonacossa sul tennis italiano

Il mese di gennaio dell’anno 1953 lasciò un segno triste nello sport italiano. In due giorni (28 e 30), se ne andarono, entrambi a Milano, due personaggi che ebbero ruoli importanti nel movimento sportivo nazionale, furono, in una parola, dei «pionieri». La signora Marina Zanetti maritata Kunz, torinese, nata nel 1904, donna – si narra – di grande fascino ed eleganza, si avvicinò all’atletica e si dedicò in particolare ai lanci, peso disco e giavellotto. Stiamo parlando dell’inizio degli anni ’20. Nella brillante ricostruzione delle «Olimpiadi della grazia», uno dei primi eventi sportivi dedicato alle donne che si celebrò a Firenze nel 1931, nel loro documentato lavoro pubblicato qualche anno fa sul nostro sito, i due autori, Gabriele Manfredini (nostro socio deceduto prematuramente) e Gustavo Pallicca, scrissero: “Zanetti fu anche giocatrice di pallacanestro conquistando il titolo di campione d’Italia nel 1924 con il Club Atletico Torino. Fece parte più volte della nazionale di basket che muoveva i suoi primi passi in Europa, e in seguito ricoprì anche incarichi in seno alla federazione internazionale femminile di pallacanestro, organismo che poi venne assorbito dalla FIBA. Negli anni ’30 fu attratta dalla scherma e divenne ben presto una apprezzata spadista distinguendosi in molti tornei in Italia e all’estero. Fu molto attiva anche nella pubblicazione di articoli che trattavano il rapporto donna e sport, collaborando con il Littoriale di Bologna e Lo Sport Fascista di Lando Ferretti. Ma fu soprattutto donna molto vicina alla politica del suo tempo e dirigente della Federazione dei Fasci Femminili». E fu anche fra le organizzatrici della edizione fiorentina delle «Olimpiadi della grazia».

Il conte Alberto Bonacossa nacque a Vigevano nel 1883. Eccelse dapprima nel pattinaggio su ghiaccio, poi fu chiamato in guerra e ne uscì con una medaglia d’argento al Valor Militare. Fu uno dei migliori tennisti della sua epoca, tanto che, proprio in questa disciplina prese parte ai Giochi Olimpici di Anversa del 1920. Nel 1914 fu autore, insieme a Gilberto Porro Lambertenghi, altro dei migliori tennisti dell’epoca, morto durante la ritirata di Caporetto nel 1917, di quello che viene considerato il primo libro italiano di storia e tecnica di questa disciplina; lo pubblicò e ne rifece varie edizioni la Casa Editrice Hoepli. Bonacossa praticò parecchi sport: Motociclista, sciatore, alpinista, anche calciatore, non ci credereste, nella squadra di Zurigo: «Grasshoppers», fondata da uno studente britannico, tant’è che il nome – poi sempre mantenuto – significa nella lingua inglese «cavallette», la parola grass sta per erba, hoppers coloro che saltano, quindi i saltatori di erba. Da atleta praticante, per tutta la vita, Bonacossa volse il suo duraturo interesse alla dirigenza sportiva: Moto Club d’Italia, Federazione Italiana Sport del Ghiaccio, Federazione Italiana Hockey, Federazione Italiana dello Sci, e anche quella del pattinaggio a rotelle; fu presidente dell’Automobile Club d’Italia. Creò, dopo aver visto i tornei di Parigi e di Wimbledon, I Campionati Internazionali d’Italia di tennis, con sede a Milano.  Fu membro del C.I.O. dal 1925 fino alla morte. E in mezzo a tutto ciò, ebbe cuore la carta stampata, prima come editore de «Il Littoriale» e poi della «Gazzetta dello Sport». Un posto importante nel Pantheon dello sport italiano.

*****

Diamo adesso una scorsa al numero 2, 31 gennaio, del quindicinale «Atletica». Solite quattro pagine, e pareva un lusso…nonostante i 120 milioni ricevuti come contributo conifero. In apertura, uno scritto di Giorgio Oberweger sul salto in lungo, un testo che era già apparso su «Italia Sportiva», periodico di sport studentesco edito dal C.O.N.I.; direttore era Sisto Favre, che Giulio Onesti aveva chiamato all’Ente fin dall’inizio della ricostituzione nell’immediato Dopoguerra.  Completavano la «prima» l’ordine del giorno del Consiglio nazionale del Gruppo Giudici Gare, e un documento diramato dall’Ufficio di educazione fisico-sportiva del Ministero della Pubblica Istruzione: tema il brevetto atletico per l’attività femminile, un testo lunghissimo che occupava tutta la terza pagina e perfino parte della quarta.

Quattro colonne su cinque della seconda erano riservate ai Comunicati federali, la quinta informava sulle riduzioni ferroviarie concesse alle società per i viaggi dei loro atleti. Abbiamo aguzzato gli occhi nei minuscoli caratteri a stampa delle comunicazioni e ne abbiamo ricavato qualche curiosità. A seguito dell’Assemblea lombarda (Milano, 11 gennaio), Bruno Bonomelli e Sandro Calvesi erano stati eletti nel Consiglio, insieme ad alcuni altri che formeranno l’ossatura dirigenziale regionale per decenni: l’indimenticabile Mario Bruno, il milanese mite e educato Carlo Monfredini, Adolfo Tammaro, fratello di Renato, colonne portanti dell’Atletica Riccardi; presidente era Vincenzo Ferrario. Con Bonomelli e Calvesi, eletti anche delegati al Congresso nazionale, c’era pure il «vate» del giornalismo sportivo nazionale, Gianni Brera, che in quel momento era direttore della «Gazzetta dello Sport». In Piemonte, presidente Francesco Diana fin dal 1946, per i delegati al Congresso, fra i supplenti (coloro che potevano rimpiazzare un eletto impossibilitato a partecipare) faceva capolino il nome di uno della serie «saranno famosi»: il dott. Primo Nebiolo, che non aveva ancora abbandonato la pedana del salto in lungo, tanto che chiuderà quell’anno, in forza al CUS Torino, con un più che dignitoso 6,62, ventitreesimo nelle liste nazionali di fine stagione.

Nel Lazio fu eletto presidente Ferruccio Porta, un altro gentiluomo che spese parte della vita nell’atletica in ruoli tecnici e dirigenziali. In Consiglio entrarono Giovanni Diamanti e Mario Vivaldi. Ritroveremo il primo vicino alla «cupola» direttiva della organizzazione tecnica dei Giochi Olimpici 1960 (come anche Porta): fu segretario della Giuria Olimpica a fianco di Ottaviano Massimi e di Cesare Bergonzoni; durante il Congresso della I.A.A.F., tenutosi a Roma durante i Giochi, Diamanti fu chiamato a far parte della neocostituita (fu la prima volta) Commissione per la corsa campestre, mentre Pasquale Stassano entrò in quella per l’atletica femminile. Mario Vivaldi, dal 1948 (anno di fondazione) al 1953, fu responsabile della Commissione atletica dell’U.I.S.P., Unione Italiana Sport Popolare, l’ente sportivo vicino al Partito comunista. Vivaldi entrerà poi al C.O.N.I. e ne sarà apprezzato dirigente. Fra i delegati alle Assise nazionali il nome di Alfredo Berra, torinese, mezzofondista negli anni giovanili, giornalista in diverse testate piemontesi, trasferitosi a Roma su chiamata di Bruno Zauli, contribuì con i suoi scritti al bollettino federale. Fu Berra, proprio nel 1953, a sostituire Vivaldi alla guida della Lega di atletica, quella che prima di chiamava Commissione. Berra rimarrà in questo incarico per dieci anni, fino al 1963, quando sarà rilevato da Giorgio Lo Giudice, romano che più romano non si può, atleta, allenatore, assistente tecnico, giornalista alla redazione romana della «Gazzetta dello Sport», da parecchi anni socio del nostro Archivio. Fra i nomi dei delegati supplenti quello di Ercole Tudoni, un mito a Roma nel mondo del «tacco e punta», leggi «marcia».

Le informazioni federali proseguivano con i passaggi di «serie». Ripetiamo quanto già scritto altre volte, ma può servire. Negli ormai lontani tempi, nel nostro sport gli atleti erano inquadrati non in base all’età come oggi (seniores, juniores, ecc.) ma alla qualità delle loro prestazioni. Esistevano la Prima, la Seconda e la Terza serie. Il Comunicato numero 9 del 28 gennaio 1953 ci racconta chi era diventato bravo e meritava di essere inserito nella élite. Spulciamo la lista e segnaliamo, a nostra discrezione: il maratoneta toscano Artidoro Berti (ultimo degli arrivati alla maratona olimpica di Helsinki ’52); il giovanissimo lunghista piemontese (non ancora diciassettenne) Attilio Bravi; la velocista Giuseppina Leone (che aveva compiuto i diciotto anni da pochi giorni), la miglior velocista della storia atletica italiana, cinque finali olimpiche su tre edizioni; altro velocista, soprattutto 200 e 400, Vincenzo Lombardo, che ebbe in seguito una grande carriera nelle Fiamme Gialle, fino al grado di Generale; sempre nello sprint Carlo Vittori, che aveva preso parte ai Giochi di Helsinki (100 e staffetta, che non prese la partenza in semifinale per un malanno occorso a Franco Leccese) e capolista 1952 con 10”6, oltre a 22” netti sui 200. Di Vittori – il cui nome sarà indissolubilmente legato a quello di Pietro Mennea – Alfredo Berra, a commento dei Giochi sul numero 21-22, anno 1952, del bollettino federale, scrisse:” […] desideriamo distinguere Vittori, sempre prodigo e attivo…”.

Nel successivo Comunicato numero 10 – ascesa alla Seconda Serie – troviamo i nomi del giavellottista Giovanni Lievore, poco più di 56 metri l’anno prima, primo italiano a bucare il prato oltre la linea degli 80 metri; dei velocisti Sergio D’Asnasch, Giovanni Ghiselli e Guido De Murtas, tutti uomini veloci che diedero tanto come componenti delle staffette 4x100 azzurre negli anni a venire; del non ancora ventenne fiorentino Piero Massai, che con Enzo Rossi e Sandro Giovannelli comporrà la «triade» tecnica federale negli anni ’80, lui al settore giovanile, e che fu arbitro di pallacanestro fra i più stimati a livello internazionale; di Massimo Massara, marciatore e poi apprezzato giornalista politico in testate nazionali; del gigante toscano Silvano Meconi, che portò il primato nazionale del peso da meno 16 a ridosso dei 19 metri; dei fratelli Giovanni e Abdon Pamich, ed è come dire l’Olimpo della marcia; di Paola Paternoster, poi pluriprimatista e campionessa nazionale; dell’altro marciatore Stefano Serchinich, lunga e onorata carriera. Ripetiamo: solo una selezione.

Giriamo pagina: la quarta. Sapete quali erano le città con il maggior numero di Gruppi sportivi scolastici? Napoli 90, Roma 88, Torino 71, Milano 67, la più scarsa Aosta con soli 5; le scuole statali ne avevano 1.358, quelle non statali 570. Che facessero davvero tutte attività è un altro paio di maniche. Comunque lo sport scolastico fu il grande, inesauribile serbatoio dello sport italiano per quasi due decenni.

Ultimo aggiornamento Sabato 28 Gennaio 2023 15:38
 
Il futuro di «Trekkenfild» sintentizzato in uno slogan: resistere, resistere, resistere PDF Stampa E-mail
Martedì 24 Gennaio 2023 00:00

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Di tutto, di più. Slogan abusatissimo, ma fa lo stesso. In questo nuovo numero della pubblicazione telematica «Trekkenfild» (il 114esimo, e con il decennale della nascita che si avvicina, sarà a marzo, un fondino redazionale ne ricorda le tappe più significative) si parla di cross, della nobiltà del cross domiciliato nelle ex brughiere lombarde (dove nacque circa 110 anni fa) ormai cementificate in ogni centimetro quadrato di spazio: Cinque Mulini edizione 91, Campaccio edizione 66. In apertura Brambilboni hanno messo le risposte del presidente della Federazione, Stefano Mei, risposte che sembrano cavate di bocca con la tenaglia di un cavadenti medioevale. Un amico che ci ha telefonato le ha definite "stizzite". Non gliele manda a dire, in un altro commento, Daniele Perboni. In ogni caso, questo rumore di sciabole - o meglio, di coltelli - a noi dell'A.S.A.I. interessa poco o punto: ci spiace solo, e molto, che in questo clima vengano coinvolti galantuomini che all'atletica italiana hanno dedicato una vita, uomini e donne che hanno dato tanto e avuto poco, mentre ci sono quelli che hanno dato poco e avuto tanto, magari sottobanco, in nero.... Da parte sua, Walter Brambilla ci allieta con «l'atlante autostradale» delle sue peregrinazioni 2022 attorno al pianeta atletica, italica ed europea. Altre letture a chiudere le dieci pagine di questo numero. C'è una dichiarazione d'intenti nelle ultime parole del fondino editoriale che ricorda le dieci candeline sulla torta di «Trekkenfild», dice "Noi ci siamo e resistiamo!". Se volete qualche istruzione per l'uso, sappiate che noi dell' A.S.A.I. di resistenza siamo esperti dopo 29 anni: per i «padroni del vapore» (per chi ha letto gli scritti di Ernesto Rossi) non siamo mai esistiti....In fondo il nostro ispiratore Mario Verdi la Resistenza, quella vera, la fece sul serio, e sua moglie pure. E noi abbiamo preso da loro. E così sia.

Ultimo aggiornamento Martedì 24 Gennaio 2023 09:39
 
1929: Géo André commenta Italia-Francia-Svizzera nella «vielle cité de Bologne» PDF Stampa E-mail
Sabato 21 Gennaio 2023 00:00

Riceviamo dal nostro vicepresidente Augusto Frasca queste righe e la riproduzione delle pagine della rivista sportiva francese (il testo può essere ingrandito e diventa sufficientemente leggibile, avendo una minima conoscenza della lingua francese):

"Da un fondo di scaffale, il resoconto pubblicato da Le Miroir des Sports sull’incontro tra le nazionali maschili d’Italia (127 punti), Francia (122), Svizzera (62), Bologna, Stadio del Littoriale, 14 luglio 1929: vittorie individuali di Giacomo Carlini, volato al primato nazionale sui 110, Ettore Tavernari, impegnato sul triplo fronte 400-800-4x400, Edgardo Toetti, Luigi Facelli, Camillo Zemi, Luigi Boero, Giuseppe Palmieri, più le due staffette. Sul doppio giro di pista, due primatisti mondiali a confronto, Séra Martin, con l’1’50”6 realizzato esattamente un anno prima allo stadio di Colombes e inequivocabilmente l’uomo di maggior peso della rappresentativa francese, e l’atleta della Fratellanza Modena Ettore Tavernari, fresco del primato sui 500 metri, 1’03”0, 15 giugno 1929, Budapest. Inviato speciale, da Parigi, un grande nome dello sport, del giornalismo, della società transalpina: Georges Ivan “Géo” André. Ingegnere aerospaziale, pilota di caccia, sette presenze nella nazionale di rugby a 15, quattro olimpiche, Londra 1908, medaglia d’argento nell’alto con 1,88,  Stoccolma 1912, Anversa 1920, primo frazionista nella 4x400 terza classificata, Parigi 1924, immortalato sul podio del giuramento olimpico, André morì a Biserta, sul fronte bellico tunisino, il 4 maggio 1943. Reca il suo nome il Complexe Omnisport-Stade Français di Parigi. Linguaggio giornalistico di prima qualità, forte attenzione ai dettagli e al colore, del suo commento si segnalano in particolare le note sull’ambiente bolognese, sulle peripezie di viaggio sofferte da Séra Martin, sulle diversità di approccio allo sport esistenti tra atleti italiani e francesi, e sul curioso siparietto tra il mezzofondista e Leandro Arpinati, figura di spicco nello sport e nella politica nel periodo tra la prima e la seconda mondiale e, all’epoca, Presidente della Federazione Italiana di Atletica". 

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Ultimo aggiornamento Sabato 21 Gennaio 2023 10:10
 
1953: leggi Bonomelli e capisci che in settant'anni qualcosa è cambiato...in peggio PDF Stampa E-mail
Mercoledì 18 Gennaio 2023 00:00

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Con il titolo «Dordoni ammazzarecord» un settimanale sportivo dedicò una intera pagina, oltre alla copertina, alla impresa del marciatore piacentino allo Stadio delle Terme, a Roma, quando abbassò il primato nazionale sui 50 chilometri e, di passaggio, alcuni altri. Era l'ottobre del 1953. In questa foto, Bruno Zauli, presidente della Federazione di atletica, incita il campione olimpico che, dall'espressione del volto, stava soffrendo non poco. Dordoni infatti, dicono le cronache, causa l'ingestione di una bevanda fredda, ebbe un violento attacco intestinale.

Data: 2 gennaio 1953. Giornale quotidiano: L’Unità. Titolo: Con l’appoggio della stampa si puntellano certi cadreghini. Autore: Bruno Bonomelli. Nella nostra modesta ricerca, appena iniziata, sull’anno 1953 e sugli eventi atletici di quell’anno, ci siamo soffermati su questo articolo di Bonomelli, allora collaboratore del quotidiano del Partito Comunista. Di seguito trascriviamo il testo del giornalista bresciano, accompagnandolo da una avvertenza: è un documento che va collocato nel suo tempo e come tale va letto. Ognuno poi ha la libertà – che certo non proviene da noi – di interpretare lo scritto come meglio crede. Bonomelli ha sempre suscitato con i suoi scritti, con i suoi atteggiamenti, forti giudizi in totale contrasto. Era, e restò sempre, una voce fuori dal coro, sicuramente non uno del gregge. Nel quale belavano in molti…Ognuno la pensi, dunque, come vuole.

*****

Il 30 ottobre si riunì in Roma il Consiglio nazionale uscente del CONI. Il presidente del CONI avvocato Onesti, di recente insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine della Repubblica di Haiti «Onore e Merito», lesse la relazione del Consiglio che si apprestava a uscire dalla porta e che comunque rientrò ben presto, sia pure dalla finestra. Essa fu ovviamente approvata per acclamazione. La relazione tronfia e gonfia di bolsa retorica, si guarda bene dall’esaminare o indagare se per caso lo sport italiano debba risolvere qualche suo problema particolare. Tutto è invece dato per risolto nel migliore dei mondi possibili (l’Italia) anche lo sport non può andare che per il meglio. Spirito di Voltaire esci dal sepolcro e vieni ad ammirare gli epigoni del tuo dottor Pangloss. Nessun giornale sportivo, nessuno dico, ha trovato modo e tempo di commentare la famosa relazione, che pur veniva diramata alla fine del quadriennio olimpico, finito per noi con il solenne fiasco di Helsinki. Bontà sua la relazione si accorge ad un certo punto che «l’Olimpiade è diventata un avvenimento realmente mondiale». Ora siccome l’Italia «ha chiesto ufficialmente anche le Olimpiadi estive del 1960» la relazione, assai umoristicamente, asserisce che questa richiesta non è «platonica» e che l’assegnazione dovrebbe esserci data «quale testimonianza del clima favorevole che l’idea olimpica trova sul suolo italiano, in ogni sua espressione tecnica ed organizzativa». Asserzione umoristica abbiamo affermato.

Infatti cosa significa la sigla C.O.N.I.? Tutti lo sanno: Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Ripetiamo: OLIMPICO. E checchè ne dicano i vari Onesti, Zauli, Brera, Carlini, Chierici e Roghi, Olimpico è aggettivo che viene da Olimpia.

Ebbene, per aiutare lo spirito olimpico che ha fatto l’operoso CONI invece di risolvere, con gli svariati miliardi accumulati, il grave problema delle attrezzature sportive, che ancora oggi sono in Italia assolutamente inadeguate anche alla più modesta bisogna? Lo dice la stessa relazione: il CONI ha costruito il circuito auto-motociclistico di Imola. In parole povere il CONI si è dato agli affari; altro che spirito olimpico!

Diamo ora una rapida scorsa all’elenco dei contributi concessi alle Federazioni sportive nazionali nel 1951: atletica leggera 120 milioni di lire; ginnastica 51 milioni; scherma 61 milioni; nuoto 63 milioni; canottaggio 55 milioni. Di contro stanno i 684 milioni, o giù di lì, che, di diritto, spettano al calcio, che assolutamente sport olimpico non è, almeno per il 90 per cento.

La verità è che per puntellare i loro cadreghini, gli attuali dirigenti dello sport italiano cercano l’appoggio della stampa che sfrutta lo sport con scopi puramente commerciali. Ecco il perché di certe sovvenzioni che altrimenti riuscirebbero incomprensibili. Una lega basata sullo spirito olimpionico quella degli alti papaveri e dei giornali prezzolati? Non vi fa ridere questo?

Ora, in un paese in cui si sottraggono ingenti mezzi agli sport olimpionici, si può dire che si curi «lo spirito olimpionico»?

Intendiamoci bene: io non ho nulla contro gli sport da spettacolo; ognuno in questo bel mondo capitalistico fa i propri affarucci. Basta però che questo «fare» non sottragga ad altri ciò che spetta loro di diritto.

I dirigenti del CONI credono di aver risolto il problema delle attrezzature sportive in Italia forse perché nella prossima primavera verrà inaugurato «l’imponente costruzione» dello Stadio Olimpico di Roma, nel quale «c’è il cuore dell’Italia Sportiva». Ed il dottor Zauli vi si fa sorprendere dal direttore della «Gazzetta dello Sport», mentre con lo sguardo «indugia, come una carezza, sugli spalti». Se questa non è retorica, e della più bolsa, lascio giudicare il lettore. Ora è bene si sappia che, se si svolgessero a Roma le Olimpiadi del 1960, questo «imponente Stadio» rischierebbe di rimanere semivuoto nel corso della settimana di atletica. E che questa non sia falsa profezia lo prova il fatto che già in Italia nel 1934, nel corso dei primi campionati europei di atletica, lo stadio Comunale di Torino si riempì soltanto nella giornata finale, perché furono mobilitate a tale scopo, in divisa ben s’intende, tutte le organizzazioni del defunto partito fascista. Fu un tale schiaffo all’atletica che ancora ne parlano giornali, riviste e opuscoli specializzati di ogni parte del mondo. Né ora la situazione nei riguardi dell’atletica sembra essersi corretta, nel giardino d’Europa.

Le Forze del CONI anzi stanno mobilitandosi per dimostrare al mondo, nel 1960, che gli sport dilettantistici debbono lasciare ormai il passo alla pura speculazione calcistica. Ho sott’occhio a tale proposito le illuminate parole che il signor Barassi, presidente della F.I.G.C., ha pronunciato a Roma nel corso dell’Assemblea delle società calcistiche. Egli ha tuonato: “Spero che prima del 1960 sia risolta la dibattuta questione del dilettantismo, onde far onore alle Olimpiadi italiane perché l’Italia possa presentare una formazione adeguata al livello tecnico di questo torneo”.

In sostanza queste parole significano che nel 1960 il signor Barassi dimostrerà al mondo intero che il vero sport che va incrementato e curato è quello dei calciatori professionisti. La prova di ciò sta che dopo aver discusso intorno alla «Proposta per la costituzione di una Lega Nazionale Dilettanti», su evidente imbeccata del signor Barassi, venne approvata una dichiarazione che suona esattamente così:” L’Assemblea non ravvisa la necessità della costituzione di una Lega Nazionale Dilettanti”. Come si vede mai fu dato ammirare maggior coerenza.

Concludendo dirò che né megalomani né ipocriti hanno diritto di organizzare una Olimpiade. Chiunque è stato ad Helsinki onestamente non può che riconoscere questo.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 18 Gennaio 2023 20:03
 
Dear Mr. Bonomelli, I have very much pleasure...Yours sincerely, H.M. Abrahams PDF Stampa E-mail
Sabato 14 Gennaio 2023 00:00

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Potremmo definire il documento che pubblichiamo oggi con un termine un po’ roborante: «eccezionale». Ma non lo facciamo per quel tanto di moderazione che pensiamo sia sempre indice di buon gusto. Sicuramente è un documento unico, originale, conservato nel ricco «Lascito Rosetta e Bruno Bonomelli», che riunisce tutto il materiale raccolto dallo storico bresciano che, primo nel nostro mondo sportivo, raccolse e conservò una imponente mole di libri, riviste, ritagli, fotocopie, fotografie, e, in più, un abbondantissimo carteggio con storici e statistici, giornalisti e dirigenti, di molti Paesi, con i quali fu continuamente in contatto per trattare argomenti inerenti il nostro sport. E a quei tempi, anni ’50 e ’60, non c’era la posta elettronica ma la posta…a lento incedere, lettere che potevano impiegare settimane, forse mesi, a giungere a destinazione. E i documenti come quello che ci pregiamo oggi di portare alla vostra attenzione è una testimonianza del tempo.

Trattasi di una lettera da Londra e diretta a Bruno Bonomelli, missiva datata 24 giugno 1955. Era stata preparata dagli uffici della World Sports, editore londinese di pubblicazioni di atletica e, fra queste, l’International Athletics Annual, il compendio compilatorio prodotto in nome della A.T.F.S., l’organizzazione che, dall’agosto 1950, riuniva coloro che, nel mondo, si occupavano di storia e statistica dell’atletica leggera. L’editore World Sports teneva la sua stamperia in Fleet Street, la strada dei giornali, degli editori, delle tipografie, fin dal 1500. In quella strada nacque, nel 1702, il primo quotidiano di Londra (nota del redattore: quante cose sa Wikipedia e fa fare a tutti coloro che usano questo strumento la figura dei sapienti, anche ai somari come noi…). I compilatori principali dell’annuario erano Roberto L. Quercetani, che della A.T.F.S. era il presidente, e Fulvio Regli, un italiano nato a Genova e poi divenuto cittadino elvetico, due persone straordinarie per tratto umano e per cultura.

Firmò la lettera Harold M. Abrahams (M. sta per Maurice) che era presidente onorario della associazione degli statistici mondiali. Ma che a chi minimamente sa di storia dell’atletica è ben più noto come campione olimpico dei 100 metri ai Giochi di Parigi-Stadio di Colombes del 1924. E alla cui fama, fra coloro che nulla sanno di atletica, contribuì un film che vinse quattro Oscar: Chariots of fire, nella versione italiana Momenti di gloria. Trascuriamo al momento la sala cinematografica e stiamo sugli statistici. La loro associazione fu fondata a Bruxelles, il 26 agosto 1950, in una sala del Café de la Madeleine. Si stavano disputando i quarti Campionati d’Europa, il giorno prima Pino Dordoni aveva vinto i 50 chilometri di marcia. In quel caffè in rue de la Montagne si incontrarono nove persone: il belga André Greuze, lo svizzero Fulvio Regli (che fu il primo ideatore di un gruppo di studiosi di atletica), il francese André Senay, il finlandese Björn-Johan Weckman, l’austriaco Erich Kamper, il britannico Norris McWhirter, il tedesco Ekkegard zur Megede, gli italiani Roberto L. Quercetani e Bruno Bonomelli. Non furono fisicamente presenti, ma furono inclusi nel novero dei fondatori, il professore universitario di matematica americano Don Potts e un altro tedesco Wolfgang Wünsche. Alla presidenza onoraria fu chiamato Harold Abrahams per l’indiscusso prestigio che si era guadagnato con la sua opera di dirigente, giornalista, storico, autore di libri, annunciatore, mecenate.

La lettera a Bruno Bonomelli è la prova dell’interesse che il famoso sprinter britannico portava nella associazione degli statistici, al punto di occuparsi perfino del buon esito delle vendite dell’Annuario in giro per il mondo, come attesta lo scritto che oggi qui riproduciamo. Insieme a una fotografia originale dell’arrivo dei 100 metri ai Giochi Olimpici di Parigi 1924. Magari voi rivedetevi Momenti di gloria, e siate indulgenti per le troppe licenze (errate) che si prese il regista londinese Hugh Hudson. Noi siamo convinti che il film abbia portato più notorietà all’atletica di tanti pallosi libri che ripetono da decenni le solite storielle, più o meno ben scritte.

Abbiamo scelto la data di oggi non a caso per proporvi questi documenti. Quarantacinque anni fa, il 14 gennaio 1978, concludeva la sua esistenza Harold M. Abrahams, che, come la voce narrante sottolinea nel film, fece parte di quel gruppo di giovani che corse "con la speranza nel cuore e le ali ai piedi".

Ultimo aggiornamento Sabato 14 Gennaio 2023 22:25
 
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