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Giochi Olimpici Roma '60: chi fu il più grande ? Armin Hary o Livio Berruti? |
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Un nostro socio è stato coinvolto in una amichevole discussione da alcuni lettori che, bontà loro, hanno apprezzato il lavoro di ricordo che il nostro sito ha fatto in occasione dell'80esimo compleanno di Livio Berruti. In particolare ci ha fatto vibrare le cordicine cardiache toccar con mano quanto l'impresa di Livio sia ancora viva nel ricordo di tanti, di molti, di moltissimi. E invece ci ha amareggiato - ma non scopriamo niente di nuovo - la completa assenza di cultura, anche solo di vago nozionismo, nei giovani che pur fanno atletica. Frutto del disinteresse di dirigenti, federazioni, degli stessi club, che nulla hanno fatto e nulla fanno per tener viva la anche solo pallida brace del ricordo di chi ha reso grande il nostro sport. Del resto, siamo un Paese che ha ignorato sempre la musica nelle scuole, che della storia dell'arte ha fatto un frettoloso tassello nell'educazione settimanale, che pretendiamo? che si insegni storia dello sport? Ma qualche arzillo settantenne che quel 3 settembre 1960, sentì alla radio o vide alla tele (gli abbonati in quell'anno avevano raggiunto i due milioni) almeno la finale dei 200 metri, non se l'è mai scordata. Quella figura composta, il ragazzo sabaudo educato, vittima spesso degli scherzi degli altri velocisti (bella razza di burloni, ve li raccomandiamo) proprio per questa suo modo di essere che pareva snob ma non lo era. Composto, ecco quel che era Livio. Mai gesti sbracati, mai urla beluine come usa oggidì, mai magliette stupidamente lacerate in un gesto di idiozia, maglietta mai neppure sollevata o tolta - altra usanza ebete - anche perchè, lasciateci sorridere, con quel suo fisichino non aveva masse muscolari (tutte genuine?) da esibire. Armin Hary era un tedesco, più tosto fisicamente del torinese, due anni d'età maggiore di Livio. Loro due, insieme, hanno firmato forse la pagina più sbiadita dello sprint statunitense. Nella storia olimpica delle due gare di velocità (100 e 200) solo una volta era accaduto che un europeo togliesse la vittoria ad uno di loro sui dieci decametri: ci era riuscito Harold Abrahams, britannico, nel 1924, quello della piacevole anche se romanzata versione cinematografica «Momenti di gloria», ricordate? Invece nessun europeo era mai riuscito a mettere lo sterno davanti a quello di uno yankee sulla doppia distanza. Il disastro degli americani fu poi completato dalla squalifica della staffetta. Concludendo, concludendo...chi fu il più grande: Hary o Berruti? Molte volte questioni così sono esercitazioni per sofisti (quelli che sapevano tutto e ognuno dava risposte differenti sullo stesso argomento, oggi diremmo «baristi», filosofi da bar, razza in crescita esponenziale). Chiacchierando con i «reduci» del 1960, ci sovvenne il ricordo di alcuni articoli scritti da Gianni Brera sulla pagine de «Il Giorno». Rapida ricerca sugli scaffali della biblioteca, ed ecco occhieggiare la copetina azzurro tenue del libro «L'abatino Berruti - Scritti sull'atletica leggera», raccolta degli scritti di Gianni Brera, curata dal nostro socio professor Sergio Giuntini. Libro pubblicato nel 2009 della editrice BookTime. Il quotidiano milanese pubblicò, il 5 settembre, due articoli a firma Brera: «Hary o Berruti il più veloce del mondo» e «L'astuto ginocchio di Hary». Oggi riproponiamo il primo.
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