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L'oro della medaglia olimpica non sbiadisce mai: Abdon Pamich (1) |
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Era il 18 ottobre 1964…La sequenza di immagini, anche se un po’ sfocata e, per di più, compromessa dal fatto di avere al centro la piegatura della rivista da dove l’abbiamo riprodotta, è emblematica di quel momento: quando, all’arrivo della 50 chilometri di marcia ai Giochi Olimpici di Tokyo, Abdon Pamich sfogò tutta la sua tensione interna strappando il mitico filo di lana (allora esisteva ancora dando un senso particolare, per noi eroico, dell’arrivo) con un gesto imperioso, rabbioso. Era campione olimpico! E lo era dopo una gara difficile, complicata da una condizione fisica generale non ottimale (ne accenna Sandro Calvesi nelle sue note), e da complicazioni sorte durante le oltre quattro ore di competizione. Freddo e umido, «pioggia fitta e sottile» abbiamo letto nel dettagliato Rapporto del libro ufficiale C.O.N.I., che gli causarono problemi, definiti in modi diversi a secondo dei differenti commentatori, ma che, terra terra, furono «dolori viscerali», mal di pancia per dirla chiara a tutti, e tutti sappiamo qual è il rimedio. Non ricordiamo dove ma leggemmo che Abdon dovette uscire dal percorso, appartarsi per quanto poteva e scaricarsi dell’indesiderato fardello. Leggemmo che i giapponesini, capito il problema, si voltarono tutti a guardare altrove, lasciando l’atleta alle incombenze delle sue trippe. Non era ancora stata inventata quella pagliacciata che adesso chiamano «privacy», oggi si guarda nelle impudicizie di tutti, senza ritegno. I giapponesini si voltarono e fecero una specie di paravento umano alle necessità dell'atleta italiano. Si era al 38simo chilometro, momento delicato per l'esito finale; Abdon pagò una manciata di secondi alla «ritirata», il britannico Paul Nihill, esperto di mille battaglie, che era dietro al «marciatore dei due mari», come qualcuno lo definiva (adriatico per nascita, tirrenico per adozione), colse al volo la inaspettata opportunità. Ma in un paio di chilometri, gradualmente, Pamich lo acciuffò e, progressivamente, si riportò avanti, fino al trionfo, di cui pagò le conseguenze quel povero filo di lana, destinato a più docili femminee mani di rammendatrice. Vincent Paul Nihill, figlio di genitori irlandesi, impiegato di banca a Londra, iniziò come boxeur, sprinter e ostacolista, poi corse molti cross; solo nel 1960, dopo una operazione ad un ginocchio non potendo più correre, iniziò ad allenarsi per la marcia; nel 1963 era già secondo, sulle strade di Varese, nella 20 del Trofeo Lugano, poi Coppa del mondo IAAF, dietro a Ken Thompson, un mito, nominato Member of the British Empire dalla Regina Elisabetta. Nihill era marciatore di esperienza e non si fece intimorire dai pronostici che davano Pamich favorito, come da stretta logica. Lo impegnò senza tregua; la gara, dopo una velleitaria sparata di 15 km del russo Agapov, la fecero sempre loro due, Abdon leggermente avanti, Vincent Paul staccato di pochi secondi. Fino alla fine: uno degli arrivi più serrati (19”8) nella cronologia a quel momento della maratona di marcia; solo a Roma il margine fra l’inglese Thompson e lo svedese Ljunggren fu più esiguo (17 secondi). Nihill ebbe anche lui una carriera lunghissima: dopo Tokyo, Città del Messico, ritirato per collasso, dopo aver condotto fin dopo il 30simo km); Monaco, sesto nella 20 e nono nella 50; Montrèal, trentesimo nella 20. Fu il primo atleta britannico a gareggiare in quattro Olimpiadi. Fra il 1967 e il 1979, in 86 gare disputate, fu superato una sola volta. Cinque le Olimpiadi per Abdon Pamich: Melbourne, undicesimo nella 20, quarto nella 50; Roma, terzo nella 50; Tokyo, campione olimpico nella 50; Città del Messico, ritirato nella 50; Monaco, squalificato nella 50. Vi offriamo la lettura di brevi brani tratti dalla rivista «Atletica Leggera», numero speciale post olimpico. Il prof. Sandro Calvesi (che faceva parte della spedizione italiana con il presidente Giosuè Poli, il capo delegazione Giorgio Oberweger, i tecnici Lauro Bononcini, Pino Dordoni e Peppino Russo, sei, non le allegre comitive di oggi) fu richiesto dalla rivista vigevanese di fare il commento generale dei Giochi. Il nostro indimenticabile estroverso amico Salvatore Massara ricamò, sulle stesse pagine, le lodi di Pamich, con l'amore di uno che la marcia la amava visceralmente (lui, marciatore in gioventù, vincitore della prima edizione del Trofeo nazionale Ugo Frigerio). Noi vi diamo appuntamento nei giorni a venire per una seconda puntata di commenti, crediamo che Pamich meriti davvero di essere celebrato, in chiusura della nostra lunga ricostruzione dei campioni olimpici italiani.
Il capolavoro di Pamich in una giornata d'inferno di Sandro Calvesi
Pamich: la medaglia era sua di diritto di Salvatore Massara
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