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Vi raccontiamo Donato Pavesi, un campione rimasto senza medaglia PDF Print E-mail

 

Alcuni di noi hanno avuto la fortuna di frequentare spesso Carlo Monti e di abbeverarsi alle sue storie di atletica, da lui vissute da grande e grintoso velocista. Per esempio, il suo commento quando vedeva gli atleti salire sul podio per le premiazioni, queste piattaforme moderne su cui salgono...in troppi, era caustico. E Carlo ricordava che, ai suoi tempi, per sfottere l'avversario che non era salito sul podio, il quarto specialmente, lo si apostrofava con un "oggi mangi l'erbetta, incoeu te manget l'erbeta", a significare che non era salito sul podio che era riservato ai primi tre, dal quarto tutti giù, nel prato, con l'erba appunto.

Se ne è ricordato Alberto Zanetti Lorenzetti, che, con la curiosità dello storico e lo humour dell'osservatore disincantato, sta preparando per noi una serie di ritratti di atleti nostri che, pur essendo bravi, hanno dovuto mangiar l'erbetta, e non sono saliti sul podio olimpico. Già AZL ci ha raccontato di Augusto Maccario, il fondista ligure quarto sui diecimila metri ai Giochi 1920. Adesso la sua ricerca si appunta su Donato Pavesi, che, marciatore plurivittorioso, non ebbe la gioia di una medaglia olimpica.

La ricerca è ampia e documentata e quindi la divideremo, come già per Maccario, in più puntate. Un ringraziamento ad Alberto, e buona lettura.

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Nella prima foto in alto a sinistra: siamo a Firenze Parco delle Cascine, domenica 3 ottobre 1909, per il campionato italiano dei dieci chilometri di marcia. I protagonisti: da sx, il fiorentino Breri, il vincitore della gara Fontana, di Busto Arsizio, l'altro fiorentino Romigialli, secondo arrivato, il padovano Pittarello, quarto, e Pavesi, che fu terzo. Un primo piano del nostro con la maglia della Post Resurgo Libertas. Nelle due centrali: a sx, col n.39, vincitore della seconda edizione della «Cento Chilometri» nel 1910; la copertina della rivista «Lettura Sportiva» è dedicata alla 20 km disputata al Velodromo milanese di Porta Ticinese: l'inglese Harold Ross (che aveva vinto la prima edizione della «Cento» ma non era riuscito a ripetere l'impresa l'anno dopo) doppia Pavesi e Silla Del Sole. Ancora al Velodromo: lo scatenato britannico, superati Cattaneo e Zangrilli, va ad inseguire con decisione Donato Pavesi 

Fra gli atleti che possono essere annoverati nella categoria dei grandi campioni, ma che, pur essendo stati autori di una carriera di assoluto prestigio non hanno potuto fregiarsi di una medaglia olimpica, possiamo indicare il nome di Donato Pavesi. Non fu mai buono il suo rapporto con le Olimpiadi. Eppure, quando vi partecipò, era tra gli atleti più quotati, ma condizionato – lui amante dei lunghi percorsi – dalle brevi distanze dei programmi olimpici del 1912, 1920 e del 1924, e dalla esclusione della marcia ai Giochi di Amsterdam. Quando quattro anni dopo, a Los Angeles, la specialità del tacco e punta ricomparve con la 50 chilometri, per lui era troppo tardi.

Nato a San Donato Milanese il 19 agosto 1888, il giovane tornitore già nel 1908, ventenne e in attività da tre anni, si era messo in evidenza nei Campionati italiani organizzati a Roma, manifestazione importante anche perché indicativa per la selezione degli azzurri da inviare a Londra; purtroppo i risultati ottenuti dai marciatori non furono tali da portare alla convocazione di qualche atleta. Le condizioni climatiche non furono certo favorevoli. In particolare la prova della maratona di marcia era stata fortemente condizionata da una giornata tanto calda da falcidiare buona parte dei concorrenti, fatti partire alle due del pomeriggio.

Ben si ricordava di quel giorno il marciatore, poi diventato una delle più prestigiose penne di sport, Arturo Balestrieri. Anche lui era stato costretto al ritiro e a distanza di 14 anni su «Lo Sport Illustrato» scrisse che Donato era ancora: “Lo stesso uomo combattivo fino allo spasimo che nel 1908 battagliava da leone in Roma sotto il sole torrido per la conquista del titolo di maratona”. Quanto Pavesi fosse combattivo in quei giorni fra la fine di maggio e i primi di giugno, esordiente ai Campionati italiani, lo dimostrarono le classifiche: sesto nella gara sui 1.500 metri, terzo nella 10 chilometri e secondo nella 40 chilometri.

Sull’onda della popolarità per le vicende di Dorando Pietri ai Giochi londinesi, il 27 settembre fu organizzata a Milano la “Maratona italiana” che fece disputare una gara di corsa, vinta da Giuseppe Losi (compagno di colori di Pavesi alla Post Resurgo Libertas) e immortalata da Achille Beltrame sulla copertina della Domenica del Corriere, e una prova di marcia che diede la vittoria a Angelo Claro, milanese dell’Agamennone detentore del titolo nazionale della 10 chilometri, giunto al traguardo con sette secondi di vantaggio su Pavesi, che per tutta la gara aveva conteso il successo al concittadino. Era ormai evidente la sua propensione per le lunghe distanze.

Al via la Cento Chilometri

Un terzo posto nella 10 chilometri e il ritiro nella maratona di marcia ai Campionati italiani sembrarono rendere piuttosto sottotono il 1909. Ci pensò la «Gazzetta dello Sport» – che nel maggio dello stesso anno aveva organizzato il primo Giro d’Italia – a dare una scossa al marciatore milanese con l’allestimento di un’altra “classica”, la prima «Cento Chilometri», manifestazione che più di ogni altra è legata al nome dell’atleta milanese. Nella prima edizione si ebbe il successo del britannico Harold Ross – già vincitore della Londra-Brighton, alla quale gli organizzatori milanesi si erano ispirati – ed il secondo posto confermò la classe di Donato.

La stagione del 1910 iniziò con le vittorie nel Meeting di Pasqua a Milano il 27 marzo, a una 16 chilometri ad Alessandria il 24 aprile, ai Campionati lombardi disputati a Bergamo il 12 giugno nella 10 chilometri battendo il campione italiano in carica Pietro Fontana e alla Milano-Affori-Molinasso di 14 chilometri il 17 luglio sconfiggendo Fernando Altimani.

All’Arena il 21 agosto perse ingenuamente la gara sui 5 chilometri fermandosi un giro prima del termine e dando via libera a Hermann Müller. Nella 2.500 metri vinse ancora il tedesco, concludendo davanti a Pavesi e Nando Altimani. L’8 settembre fallì al Velodromo Milanese l’assalto al record italiano sui 30 minuti, primato che restò a Balestrieri. Riuscì a battere Mario Vitali l’11 settembre nel Doppio Giro Podistico di marcia a Busto Arsizio e il 18 settembre, nella prova di 22,5 chilometri a San Colombano, si lasciò alle spalle Bertola. Fu primo anche nella Milano-Magenta  il 25 settembre.

Al Velodromo di Milano il 16 ottobre ebbe luogo una sfida sui 30 chilometri fra Dorando Pietri, Umberto Blasi e Fortunato Zanti, con il successo del carpigiano. Come gara di contorno fu organizzata una prova di 6 chilometri ad handicap vinta da Altimani, che costrinse al ritiro Donato. Si rifece il 23 ottobre con il primo posto alla Coppa Borioli di 17 chilometri. Dopo il successo del 1909, Harold Ross ai ripresentò il 14 novembre alla partenza della «Cento Chilometri». La forte andatura iniziale di Silla Del Sole lo stroncò, ma pregiudicò la gara anche al romano. Ne approfittò Pavesi.

Sull’onda della popolarità della manifestazione e dei suoi partecipanti fu creata un’occasione di rivincita il 20 novembre al Velodromo Milanese di Porta Ticinese, dove venne allestita una 20 chilometri ad handicap; starter il velocista Franco Giongo. Nonostante il clima ostile creato dal pubblico, Ross ebbe la meglio, prevalendo su Pavesi, Del Sole e Romano “Lallo” Zangrilli, anch’egli laziale. Il «Corriere della Sera» riportò che l’inglese aveva migliorato i primati mondiali delle 10, 11 e 12 miglia. Lo stile di marcia di Ross, tipico della scuola anglosassone, faceva storcere il naso agli italiani, tanto che Zangrilli scrisse sulla «Lettura Sportiva»: “Scartabellando il Regolamento tecnico federale (…) noi vediamo che Ross è squalificabile o meglio lo sarebbe stato, poiché nella sua andatura flette il corpo troppo in avanti. (…) Se poi ci regoliamo diversamente, intendendo per marciare il non «correre» possiamo asserire che Ross nella sua marcia è corretto. Tanto nello stile di marcia italiano, a corpo eretto, quanto in quello inglese, a posizione del corpo libera, si può degenerare in corsa, nell’istessa misura”.

(segue)