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Francia - Italia 1937: gli azzurri hanno in squadra un gigante, Mario Lanzi PDF Stampa E-mail

12 settembre 1937. Da pochi giorni (giovedì 2), in un parco di Ginevra, mentre passeggiava con sua moglie, il barone Pierre de Coubertin salì sull'ultimo autobus della sua vita. Il 12 era domenica, ci ha suggerito Monsieur de Lapalisse. Quel giorno, allo Stadio Yves de Manoir, a Colombes, fuori Parigi, le squadre nazionali di atletica di Francia e Italia si affrontarono per la settima volta. In predenza le fortune erano state alterne: una volta vinco io, una volta vinci tu. Di quella domenica settembrina di 83 anni fa ci racconta in una manciata di righe qui di seguito Augusto Frasca, per rimarcare l'impegno profuso quel giorno da Mario Lanzi che affrontò in un tempo ristretto ben tre corse, 400, 800 e staffetta 4 x 400. Lanzi, aggiungiamo noi, non ha mai fatto mancare il suo apporto incondizionato durante tutti gli incontri della Nazionale cui prese parte. A corredo del testo una riproduzione parziale dell'articolo della rivista federale «Atletica» che riferisce, in maniera abbastanza stringata, l'esito dell'incontro.

 

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Mario Lanzi, un fenomeno (d'altri tempi) tutto italiano

Lo spunto nasce da un'analisi comparativa effettuata da Giorgio Cimbrico – inesauribile produttore di scritture atletiche di altissima qualità, tra il meglio della storia ultracentenaria della disciplina e del giornalismo – in occasione dell'impresa fenomenale realizzata da Karsten Warholm, il 23 agosto, sulla pista di Stoccolma: nel giro di novanta minuti, 46.87 nei 400 ostacoli, nuovo (suo) primato europeo, a nove centesimi dal 46.78 mondiale di Kevin Young, e 45.05 sui piani. Avendo in soccorso una vecchia pagina di «Atletica» del 1937, di lì a risalire ad un fenomeno di casa nostra il passo è stato breve. Altri contesti. Ma valori assoluti. E, per quanti non sanno, l'evocazione è d'obbligo.

Il 12 settembre di quell'anno si svolgeva il trentottesimo incontro della Nazionale maschile. Località, Parigi, stadio, Colombes, avversari, i (falsi) cugini. Per la felicità di quel gran signore fiorentino che era e fu il marchese Luigi Ridolfi Vaj da Verrazzano, presidente federale, e di Boyd Comstock, direttore tecnico statunitense d'origini indiane ingaggiato in Italia, per nostra fortuna, dalla primavera del 1934, prevalsero gli azzurri. Di due punti, 75 a 73. Vinsero Orazio Mariani, 10.4, Gianni Caldana, 110 in 14.9, Luigi Beccali, 4:00.3, Giuseppe Beviacqua, 14:58.6, Arturo Maffei, 7.63, Bruno Testa, 61.29 in giavellotto, 4x100, Mariani, Caldana, Elio Ragni, Tullio Gonnelli, stessa formazione seconda classificata a Berlino alle spalle di Owens e compagni, in 41.3. Mario Lanzi, l'uomo di Castelletto sul Ticino, l'uomo che solo per ingenuità tattica aveva perso un titolo olimpico (1936) e uno europeo (1934), scese in campo in tre occasioni. Tre occasioni, tre affermazioni: 400 in 49.2, 800 in 1:54.3, staffetta 4x400, con le squadre in perfetta parità, 72 a 72, con una sua ultima frazione che affidiamo alla fantasia, con l'atleta travolto e portato in trionfo dai compagni di squadra dinanzi a transalpini basiti. Diretto da Henry Desgrange, antico detentore in fine di Ottocento di numerosi primati mondiali di ciclismo, avanti di lasciare il testimone all'Équipe, il quotidiano parigino «L'Auto» il giorno successivo titolava: Lanzi bat la France. Raramente, nel giornalismo, titolo fu più onesto.