Home News Homepage Omaggio a Giuliano Gelmi: anno 1955, bella stagione con tante soddisfazioni (2)
Message
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Omaggio a Giuliano Gelmi: anno 1955, bella stagione con tante soddisfazioni (2) PDF Print E-mail

 

alt

Tre atleti che spesso si sono incontrati nel 1955 scambiandosi i gradini del podio: stavolta al primo posto degli 800 metri Luciano Patelli, al secondo Giuliano Gelmi e al terzo Gianfranco Baraldi. Siamo alla «Pasqua dell'atleta», a Milano il 17 aprile; la pista è quella dello storico Campo Giuriati, come ci ha precisato l'amico Gianfranco Carabelli. A quella edizione della «Pasqua», organizzata come sempre dalla Riccardi, presenziò, e fece anche delle premiazioni,  Monsignor Giovanni Battista Montini, da poche settimane arcivescovo di Milano, che sarà chiamato al Soglio Pontificio nel 1963 ed assumerà il nome di Paolo VI (Archivio Gelmi)

Riannodiamo il nostro raccontino sulle gare del caro Giuliano Gelmi nell’anno 1955 con un brano da un articolo di Bruno Bonomelli da «l’Unità», del 6 giugno. “Dopo aver condotto una gara di prudente attesa l’universitario pavese Gelmi è scattato a trecento metri dall’arrivo della gara dei 1500 metri, e inutilmente sui suoi passi si sono buttati il campione italiano Maggioni – assai giù di corda quest’anno per colpa dei suoi pressanti impegni professionali – e il rappresentante della Riccardi, Rizzo. Sul rettilineo d’arrivo Gelmi ha respinto anche l’attacco finale portatogli da Rizzo…Per Gelmi ventiquattrenne e Rizzo 22enne si tratta del miglior tempo della loro carriera atletica”. Alzi la mano chi si ricorda invece come era finita la gara degli 800 metri di quella semifinale del Campionato di società, a Milano? Capito, facciamolo prima a dirvelo: nell’ordine, Patelli, Lensi, Gelmi, Rizzo, Fontanella. Andò diversamente al «Comunale» di Bologna, il 18 giugno, in occasione della finale dello stesso Campionato, che quell’anno sperimentò una bizzarra formula che prevedeva la partecipazione dei migliori dodici atleti usciti dalle semifinali. Leggiamo nel comunicato 85 dell’11 giugno:” La Presidenza federale preso atto dei risultati…comunica l’elenco degli atleti o squadre staffetta ammessi alla finale…”. ‘Sto Campionato di società è sempre stato un pateracchio che non ha mai trovato una sua identità ed è un finto specchietto per far credere che una volta all’anno si parla dei club, che sono in verità gli unici a non trarne nessun concreto beneficio, se non uno striminzito titolino sui giornali, quei pochissimi che ne parlano.

Fotografò la situazione ancora una volta Bonomelli su «l’Unità», 18 giugno, con questo titolo: «Il cosiddetto campionato di società». E scrisse: “Pretendiamo troppo che dalla lotta fra Patelli, Gelmi e Lensi con possibili infiltrazioni di Rizzo e Scavo, scaturisca un tempo al di sotto dell’1:54.0? Siamo esagerati se indichiamo a Gelmi, Rizzo e Lensi che l’obiettivo dei 1500 non è solamente il primo posto ma anche «un meno» di 3:57.0?”.  Purtroppo sì, il nostro mezzofondo, come abbiamo già detto, era fortemente in ritardo in quel momento. All’ombra delle Due Torri felsinee, il primo giorno, furono quasi gli stessi atleti di quindici giorni prima che diedero vita alla serie migliore (la seconda) degli 800, e stavolta Gelmi mise in fila tutti, con un finale da defibrillatore: Giuliano 1:55.4, Patelli 1:55.5, Scavo 1:55.5, Rizzo 1:56.3, Dordoni 1:56.6, Fontanella 1:56.8, Lensi 1:57.9. Giovanni Scavo nato ad Ascoli Piceno il 9 maggio 1936, quindi diciannove anni, un ragazzo, ma un ragazzo che già faceva sognare l’atletica italiana. L’anno prima, con i colori dell’Istituto Cesare Battisti di Velletri, aveva vinto i Campionati Studenteschi romani: corsa campestre e 1000 metri in pista. Fu di gran lunga il migliore con un eccellente 2:34.2 sulla stessa distanza anche nel Criterium nazionale riservato agli scolaretti. Alla fine dell’anno (maglia dell’ACLI Velletri) era già dodicesimo nella lista nazionale dei 1500 metri, 4:04.6 (primo al Trofeo delle Regioni, davanti a Baraldi). Poi, nel 1955, entrò nel C.U.S. Roma. Ai primi di giugno, nella semifinale romana, aveva sgranchito le gambe in 1:56.6. Un altro atleta che vogliamo ricordare: Cesare Dordoni, nato a Piacenza il 26 aprile 1934, vestiva la maglia verde del G.S. Calzaturificio Diana, società cittadina voluta l’anno prima da un imprenditore locale per dare una «casa» al grande «Pino» marciatore campione olimpico ed europeo; fra i due Dordoni non esisteva nessun legame di parentela. Cesare corse quel giorno in 1:56.6, nuovo primato piacentino, che avrebbe resistito vent’anni (Reggio Emilia, 30 maggio 1965) migliorato da un giovanotto di grande talento, Giorgio Bozzini, sceso a 1:55.8 (finì la breve carriera con 1:53.6, comunque ben lontano dal suo vero valore, mai totalmente espresso).

Torniamo sulla pista del «monumento della nuova epoca» (dal discorso mussoliniano inaugurale dello stadio), il giorno dopo, 19 giugno, si replicò sui 1500 metri, serie unica. Due diciannovenni ai primi due posti, molto vicini, Gelmi fu appena dietro, terzo, limando sei decimi (3:59.2) al suo miglior tempo; poi il milanesissimo Alfredo Rizzo (4:01.6). Dunque, primo Scavo (3:58.6), secondo un mingherlino sardo di Monserrato, provincia di Cagliari (nato il 10 maggio 1936), Antonio Ambu, un altro venuto fuori dai Campionati Studenteschi: primo sui 1000 metri nel 1953, l’anno dopo vincitore della corsa campestre; correva per la Scuola Secondaria Antonio Cima di Cagliari. Quello che nella vulgata giornalistica diventerà «il tamburino sardo», identificazione che verrà usata per vent’anni negli articoli e nei titoli fino a sfinimento del lettore, quel giorno a Bologna ottenne (3:58.8) il suo primo importante piazzamento non da studente. Antonio ebbe una carriera lunghissima: corse fino al 1969, strada, pista, campi, sette volte campione d’Italia di campestre e altrettante di maratona, due Olimpiadi, primati da contare col pallottoliere.

Una curiosità: nelle stesse giornate furono aggiunte a quelle degli uomini alcune prove per le donne, cosa inconsueta per i tempi. Trattavasi di gare indicative per l’incontro Belgio-Italia (Anversa, 3 luglio). Una sottolineatura: nei 100 metri, una signorina torinese – che già aveva partecipato ai Giochi Olimpici di Helsinki ’52 – corse due volte, la batteria (prima in 12.1) e la finale (pure prima, 12.0). Quella signorina, il cui nome è Giuseppina Leone, sarà «il primo atleta italiano» (non è un errore, la definizione è voluta) a partecipare a una finale olimpica sui 100 metri, Melbourne ‘56. Quanti se ne sono ricordati nelle appena trascorse giornate olimpiche giapponesi? Davvero pochi, che risulti a noi, ma due li conosciamo: Franco Bragagna e Guido Alessandrini, voci RAI. Crediamo di non sbagliare dicendo che Giuseppina Leone è una delle figure più trascurate nella storia dell’atletica italiana: eppure, nelle gare di velocità, è stata quattro volte finalista olimpica, su tre partecipazioni. Ma ormai la cultura del nostro sport è in mano ad individui che a malapena si ricordano quello che è accaduto il giorno prima.

Riprendiamo gli eventi del giugno 1955. Sabato 25, a Vigevano, incontro Milano – Pavia. Sugli «otto» Gianfranco Baraldi (inserito nella squadra milanese) fece il miglior tempo stagionale, 1:55.0; secondo Patelli, 1:56.2, terzo Gelmi, 156.3, quarto il comasco Luigi Bassano 1:56.5. Gelmi corse anche una frazione della staffetta svedese. Il 29 gli atleti furono allo Stadio di Mompiano, a Brescia, per una «notturna», che fece registrare bei risultati. Su 1500 continuò il confronto Baraldi – Gelmi: 3:58.4 e 3:59.2, personale eguagliato. Entrambi vennero convocati per l’incontro Grecia – Italia, ad Atene, domenica 10 luglio. Ma disse loro male: i 1500 metri furono l’unica gara dove gli azzurri topparono! Vinsero tutte le altre gare (dodici, punteggio finale 68 a 42) ma Baraldi (3:58.6) e Gelmi (4:02.0) dovettero vedere le terga dei due ellenici Papavassiliou (3:57.8) e Costantinides (3:58.2). Scrisse il bollettino federale:” La sconfitta degli italiani nei metri 1.500 è stata la sola dell’incontro, ma nulla ha potuto Gelmi contro i due greci e lo stesso Baraldi, che ha condotto la gara dai 600 ai 1000 metri, ha dovuto cedere allo sprint finale di Papavassiliou e Costantinides, accreditati di risultati superiori a quelli dei nostri”. Non si stupisce Bonomelli («l’Unità», 14 luglio):” La prova provata è che nei 1500, specialità nella quale i greci ci sovrastano abbastanza nettamente (e qual è la nazione europea che, oggi come oggi, non ci sovrasta nel mezzofondo?) il nostro Baraldi, pur classificandosi al terzo posto, ha, a un dipresso, pressoché uguagliato la propria miglior prestazione. E di più avrebbe certamente ottenuto se non avesse sbagliato il calcolo dei giri: il che lo ha portato a non impegnarsi eccessivamente nella volata. Egli credeva di dover percorrere ancora un giro!”. Un motivo per ricordare quell’incontro con i greci: Silvano Meconi, toscano di Cortona, fu il primo italiano a scagliare il peso oltre i 16 metri (16.05).

Barcellona ospitò la seconda edizione dei Giochi del Mediterraneo, dal 22 al 25 luglio. Pochini i nostri, solo 21; per i 1500 si puntò su Gianfranco Baraldi, che, visto il risultato, iniziò con questa gara la sua ascesa verso prestazioni di buon valore. Fu settimo in 3:55.6 appiccicato al greco Papavassiliou (3:55.2, primato nazionale), il quale pochi giorni dopo, ad Atene, vincerà il titolo mondiale militare sui 5 mila metri, terza la «fiamma oro» Francesco Perrone, vittima del COVID-19 qualche mese fa. Due turchi ai primi due posti, Kocak (anche lui poi campione con le stellette) e Onel, primato nazionale per lo spagnolo Tomás Barris, quarto, un vivacissimo catalano che ha scritto un bel libro sulla sua carriera atletica. Il bollettino federale non sprecò neppure un aggettivo per la prestazione di Baraldi…Ne parlò Bonomelli («l’Unità», 30 luglio):” Il ventenne Baraldi da parte sua, pur non figurando fra i piazzati, essendo arrivato settimo al traguardo, è stato accreditato di 3:55.6; le cronache però, al riguardo, ci ammoniscono che il bergamasco è terminato freschissimo, e che il suo mancato piazzamento è dovuto semplicemente al fatto che il suo lungo compasso di gambe mal si presta al ritmo frenetico degli ultimi duecento metri di una gara di mezzofondo; resta ribadita così l’impressione ch’egli sia meglio adatto a gare di più lunga lena”. Messaggio inascoltato, nonostante anche le prestazioni nelle gare di corsa campestre indicassero questa via.

Ci riserviamo per l’ultima parte di stagione? Allora facciamo punto qui e arrivederci nei prossimi giorni.

(seconda parte – segue)