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Requiem per un Maestro: ricordo del «Comandante» Giovanni Maria Lòriga PDF Print E-mail

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Accompagnato da ruvidità di caserme, dagli umori della terra di Grazia Deledda, di Emilio Lussu e di Antonio Gramsci, da una portatile Olivetti lettera 22, da una pagina ingiallita del Corriere dello sport e da una pista di atletica, Giovanni Maria Lòriga se n’è andato, a novantacinque da tempo compiuti. Al di là dell'autenticità e pure della retorica degli affetti, per comprendere in qualche misura la figura di un uomo che nella sua lunga commedia umana ed eterna giovinezza di spirito è stato raccoglitore d'intere generazioni, è necessario ricordare tutti assieme i suoi entusiasmi ed i suoi slanci emotivi. Il suo essere sardo nell’anima. La complessità e l'intensità delle sue lotte interiori. Le incursioni polemiche, le verità e gli errori, la dialettica fluviale. Le difese e gli attacchi di una vita che non fu sempre facile, fin dall'adolescenza, quando nel giugno del '44 attraversò l'intera linea bellica a piedi e con mezzi di fortuna da Loreto Aprutino in Sardegna, passando per Abruzzo, Puglia e Campania. E la memoria sterminata e la vivacità dei suoi piani narrativi, sempre tenendo distante, fino all'ultimo, compresi gli ultimi mesi di distacco e di sofferenze, la realtà fisica più feroce dell'uomo, il tempo che passa, avendo a lungo al suo fianco la presenza di Emilia, compagna di una vita, e delle figlie Giusy e Marizia.

Per molti di noi, figli e fratelli minori in professione o in atletica, secondo sensibilità d'ognuno, restano i ricordi personali, le confidenze, le tensioni, gli attimi di felicità vissuti in comune, gli imprevedibili balzi di umore di una vita vissuta sempre in presa diretta. Raccontava, Vanni, come il suo amore per la prima disciplina dell'uomo, capace di leggerla come pochi, fosse nato a Torino, nel 1933, bambino a fianco del babbo, assistendo all'affermazione e al primato mondiale di Luigi Beccali ai Campionati mondiali universitari e come, inamovibili negli anni, sarebbero progressivamente nati amicizie ed affetti verso l'atletica degli Oscar Barletta, di Ercole Tudoni, di Gianni Corsaro, di Antonello Baltolu nella sua Alà dei Sardi, di Salvatore Massara, di Francesco Garau. Raccontava di come il suo primo impegno giornalistico in atletica risalisse al luglio del 1950, dal Vomero di Napoli, per un’Italia-Svizzera, e il primo servizio appena giunto al comando della Compagnia speciale atleti, qualche stagione avanti l'invito rivoltogli da Antonio Ghirelli di lasciare la divisa da Ufficiale per abbracciare la carta stampata, fosse stato comporre il picchetto d'Onore, nel dicembre 1963, nella Chiesa di Santa Croce di via Guido Reni, per i funerali di Bruno Zauli.

Testimone e protagonista d'una stagione irripetibile, per quantità e qualità, del giornalismo, il ‘Comandante’ Lòriga, isolano dell’Isili posta a metà tra Campidano e Barbagia, ci ha tenuto compagnia a lungo, e per qualcuno è stato qualcosa più d'un compagno di percorso professionale, tutti parte di una passione che stabiliva i confini di un’identità gelosa della propria esclusività. Avendo grande senso del rispetto dell'Umano nei confronti del Divino, non mancava ad un funerale, anche se talvolta era portato ad ironizzare sugli estensori di necrologi che male interpretavano, fermandosi superficialmente alle sette sillabe iniziali del sit terra tibi levis, il significato del feroce epigramma di Marziale. Non amava tuttavia, nell'accompagnare un commiato definitivo, le lungaggini della liturgia. Detestava le ipocrisie di circostanza, e soprattutto gli applausi, chiunque fossero i destinatari. Che nel saluto finale il silenzio lo accompagni.

Questo ricordo di Vanni Lòriga è a firma del vicepresidente dell'A.S.A.I., Augusto Frasca

Nella foto: Vanni Lòriga conversa con un nostro socio alla cena di benvenuto dei partecipanti convenuti ad Agazzano, Piacenza, per celebrare i cinquanta anni dei due primati mondiali di Giuseppe Gentile ai Giochi Olimpici di México '68 (foto Pietro Delpero)