Accadono cose stravaganti in questi XIV Campionati del mondo moscoviti. Così stravaganti da lasciarci a bocca spalancata, proprio come quella che Bohdan Bondarenko mostrava al pubblico prima di ogni suo salto. Oddio, il giovanotto ucraino – che compirà 24 anni il prossimo 30 agosto – di salti non è che ne abbia fatti molti, giovedì sera: quattro, difatti, gli erano bastati per arrivare al titolo mondiale e al nuovo primato delle competizione (m.2,41), sottratto a Javier Sotomayor. Ciò che, invece, non riusciva a Bondarenko era di cancellare il grande cubano dalla sommità della classifica, ma i tre tentativi a m. 2,46 non avevano avuto nulla di velleitario nè erano apparsi un gioco scenico: presto, anche quella vetta sarà conquistata.
La competizione di salto in alto maschile è stata, difatti, la più spettacolare della storia atletica. Mai tre atleti avevano superato assieme m. 2,38, come riuscito a Essa Barshim, Derek Drouin e Bohdan Bondarenko. Anzi, no: nello scrivere la riga che precede abbiamo commesso un’inesattezza. Non se ne stupisca il lettore, che ben conosce come gli scribi siano propensi all’errore. E tuttavia, nel caso specifico, più che di errore si dovrebbe discorrere di interpretazione: in effetti, l’ucraino mai superò l’asticella posta a quell’altura, avendo deciso ch’essa non valeva lo sforzo e meglio era passare direttamente a m. 2,41.
A memoria di cronista mai s’era veduto, sulla pedana del salto in alto, un azzardo così alto. Perchè il qatarino (di origine sudanese) Barshim i 2,38 li aveva superati al primo tentativo, e al secondo li sorvolava pure il canadese Drouin. Ora, tutto il peso della competizione stava sulle gambe di camoscio dell’ucraino: che mostrasse lui le carte che possedeva.
Pensavamo, nel registrare la decisione, che la follia abita spesso le menti atletiche. E, in particolare, quelle dei saltatori. Essi sono fatti di speciale pasta, forse perchè hanno ali più che gambe. Sognano di volare, e in effetti volano: da Valery Brumel a Javier Sotomayor, passando per quel visionario geniale che fu l’ingegnere Dick Fosbury, nessuno si è mai sottratto agli imprevedibili ghiribizzi dell’estro. E se questa è da considerarsi la prima indicazione del talento di un saltatore, ebbene Bohdan Bondarenko dev’esserne zeppo come una matrioshka.
Si provi a svuotarla, quella matrioshka ucraina. E si scoprirá che la appena estratta ne contiene ancora un’altra, minuscola fin che si vuole ma ancora ricca di sorprese. Una miniera tanto ricca da offrire brividi e godimento estetico, insomma tutto ciò che l’aficionado cerca nelle esibizioni atletiche.
L’intera competizione di salto in alto è stata percorsa da brividi, ancor prima che Bondarenko facesse la sua comparsa a m. 2,29. In pedana stavano difatti uomini costruiti con speciale tessuto elastico: dal russo Ukhov, il campione olimpico, alla medaglia d’argento di Londra, l’americano Erik Kynard; e neppure da disprezzare erano il bahamense Donald Thomas, l’altro russo Alexsandr Shustov e il britannico Robert Grabarz. Ciascuno di loro avebbe potuto esser un degno campione, non gli fosse toccato di volare contro le ali di Barshim, Drouin e Bondarenko.
Erano decenni che non si godeva così. L’ultima volta, in effetti, era stato ai Campionati del mondo di Stoccarda, dove Sotomayor s’era staccato dalla compagnia superando i m.2,40 mentre il polacco Partyka e l’inglese Smith rimanevano bloccati a m. 2,37. Ma giovedi notte, col sole che calava dietro le guglie dell’Università Lomonosov – uno dei sette palazzi “stalinisti” di Mosca – Bohdan Bondarenko ci risvegliava quegli antichi ricordi aggiungendoci del suo: il balzo, al secondo tentativo a m. 2,41, era davvero il volo d’un candido airone.
Bondarenko è difatti un giunco di m. 1,97, innervato splendidamente. I suoi muscoli, quando lavorano, sfrigolano come seta mentre le articolazioni sono delicatissimi elastici. Così delicati, che i suoi ginocchi hanno già dovuto subire l’offesa dei ferri chirurgici, e pure le giunture dell’inguine hanno patito l’accumularsi delle fatiche tanto da tenerlo bloccato a lungo, lo scorso inverno. Ma Bondarenko, che fu campione mondiale juniores nel 2008 con m. 2,26; e poi vincitore dell’Universiade nel 2011 e settimo lo scorso anno a Londra con m. 2,29 (stessa misura di Barshim, medaglia di bronzo), deve possedere anche eccezionali capacità di recupero. E, difatti, dopo un esordio internazionale a Doha, eccolo già approdare a m. 2,41 lo scorso luglio a Losanna.
Insomma, in una certa misura si era preparati a qualcosa di notevole. Lo aveva garantito Victor Bondarenko, ex decathleta, che del giovanotto è padre e allenatore. Lo sapevano i suoi compagni della Facoltà di sport dell’Università di Kharkiv, la città dove è nato e dove vive, e pure molti tra il milione e passa dei suoi concittadini. I quali erano numerosi sulle gradinate dello stadio Luzhniki, aggregati ad un gruppo di ucraini entusiasti e inesausti nella loro passione di aficionados.
Non tutti gli aficionados, però, sono di questi giorni entusiasti. A noi capita spesso di pensare ai pochi italiani che ancora sentono affezione per quest’antichissima religione, la prima che l’uomo abbia praticato per poter davvero diventare “sapiens sapiens”. Ci verrebbe da scrivere, anzi, che in Italia non c’è più religione, e sono del tutto spariti i suoi celebranti. Non è cosa di questi giorni, perchè sono anni che si procede in un vorticoso declino che non pare trovare il fondo. O, forse, il fondo lo si è toccato qui, dove la sparizione dell’Italia a livello internazionale si è purtroppo compiuta. Non gettiamo la colpa sulle spalle larghe della sfortuna (caso Greco) né su quelle degli attuali dirigenti: il nuovo governo federale, da pochi mesi in carica, che avrebbe potuto fare? Ecco: l’unica cosa che avrebbe dovuto fare, e che purtroppo non ha fatto, era di dire chiaro e tondo che si stava nella melma.
Come venirne fuori? Ci vorranno anni di forsennato lavoro che potrebbero anche servire a nulla. Si tratta, difatti, di invertire una rotta nelle abitudini della gioventù, che ora ignorano l’atletica, e cercare di riportare qualche ragazzo e qualche ragazza sulle piste atletiche. Servirebbe una santa alleanza con chi ha in mano l’informazione: televisiva e non. Insomma, servirebbe l’impossibile: almeno per l’Italia di questi anni di disgrazia.