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I dieci momenti di Rio che resteranno nella mia memoria: ecco le scelte di "uno qualunque" (1) PDF Print E-mail

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Su richiesta di un utente del nostro sito siamo stati sollecitati, qualche giorno dopo la conclusione, a compilare una nostra classifica dei dieci momenti, o personaggi, o situazioni, che maggiormente ci hanno colpito durante i Giochi Olimpici per consistenza tecnica, o emozionato per situazione ambientale, o apprezzato per spessore umano. Abbiamo girato la richiesta ad alcuni nostri  soci che, per motivi professionali diversi, hanno passato lunghe ore allo Stadio Engeñao che alla bisogna, vista la mancanza di pecunia, ha svolto le funzioni di Stadio Olimpico come ha potuto, diciamo vicino alla sufficienza. Abbiamo già conosciuto le scelte di Carlos Fernández Canet, di Paolo Marabini e di Franco Fava, delegato statistico dei Giochi il primo, inviati delle loro testate giornalistiche gli altri due. Oggi pubblichiamo le stravaganze di un quarto, che chiameremo "uno qualunque". Abbiamo deciso di dividere lo sproloquio in due parti, perchè l'individuo si è un po' dilungato, diciamo così.

staffetta 4x100 uomini

Un tuffo al cuore...frazioni millesimali ma ho pensato di essermelo sognato. No, era vero: quattro kamikaze del Sol Levante avevano cambiato per primi all'ultimo cambio della finale. Ho sperato per alcuni secondi che vincessero, che succedesse qualcosa di non politically correct agli avversari, insomma di tutto. Quattro giapponesini dei quali nessuno ha un primato personale sotto i 10 secondi avevano ridicolizzato i bisonti dello sprint. Pof....l'incantesimo si è rotto e il capobranco dei bisonti si è involato verso la sua nona medaglia d'oro. Yamagata, Iizuka, Kiryu e Cambridge si sono vernicati d'argento a 33 centesimi dagli intoccabili. Trionfo della tecnica, finalmente, nella quale eccellevano un tempo i grandi coach americani. E, contemporaneamente, abbiamo capito perchè "lui" vince sempre: dove stanno i grandi sprinters? Di questo passo può raddoppiare le nove medaglie nelle prossime Olimpiadi.

salto con l'asta uomini

Altro successo da ascrivere a tecnica sopraffina, che porta la firma di un Maestro del salto con il palo, Vitaly Petrov. Ha insegnato a mezzo mondo, è una persona squisita, ha superato anche lui le mareggiate della vita. Il trionfo di Thiago Braz da Silva (lui vorrebbe che lo chiamassero solo Braz, perchè, dice, di da Silva è pieno il Brasile, anche l'Italia è strapiena di Rossi e Bianchi, e che facciamo? lui per lo stadio carioca era Thiago solamente) porta le stimmate di Petrov. Alla fin fine nello sport non c'è nulla di scontato. Ne ha fatto le spese Lavillenie, ma, per favore, non veniteci a dire, per colpa di quei fischi, no non ci stiamo. Episodio brutto, da stigmatizzare, ma non ingigantiamolo. Thiago ha fatto gesti (confermati da uno che gli era vicino e che è persona serissima) per stoppare la musica che presto si è zittita. Sono stati grandi tutti e due, Thiago di più, tutto qui. Ha giocato stupendamente quando era sotto, ha rischiato, ha ascoltato il consiglio del generale Petrov e quel 6.03 è stato un capolavoro di ingegneria aeronautica.

Wayde van Niekerk

Neppure Michael Johnson mi aveva impressionato così tanto a Siviglia, nel 1999, quando corse 43.18, il precedente primato che sembrò da fantascienza. E lo era. Ci sono voluti 17 anni per migliorarlo, ma i records per questo son fatti: per essere migliorati, se no che gusto c'è? I 120 - 150 metri finali del sudafricano sono una delle più belle sequenze di un gesto atletico che abbia avuto la fortuna di vedere. Il volo dell'airone, da rimanere a bocca non aperta, spalancata. I miei amici che capiscono di tecnica mi hanno spiegato che abbiamo assistito ad una corsa che nel finale ha applicato il "mantenimento della velicità", tanto da far apparire gli altri fermi, pareva corresse solo lui. E "gli altri "non erano gatti di gesso, ma Kirani James (a 73 centesimi...) e Lashawn Merritt, superbi specialisti del giro di pista. Non li ha mai visti, e non è un modo di dire: non li ha proprio mai visti perchè...ha corso in ottava corsia! Ho parlato di tenica per i giapponesi della 4x100, di Petrov per l'asta, ma vogliamo parlare di questa signora Ans Botha, folta chioma bianca, una carta di identità che non la pone fra le ragazze, ma che ha imposto rispetto a tutti i suoi atleti, Wayde per primo, che la chiamano affettuosamente "auntie", zietta. La rivincita dei settantenni, Petrov pure.....segno che non tutti sono macerie umane da una certa età in poi. Sentite cosa ha dichiarato la zietta al "Guardian" a proposito di un eventuale ritiro dopo aver raggiunto un risultato strepitoso. "You’re never too old to learn. I still love coaching and I still love my athletes. So I can’t see a reason why I would go and sit down and play with my fingers”.

David Rudisha

Ho considerato, e continuo a considerare, la finale degli 800 metri dei Giochi Olimpici di Londra 2012 una delle più grandi corse di bipedi cui ho avuto la fortuna di assistere, forse la più grande. Il keniota, figlio di quel Daniel Rudisha che fu medaglia d'argento a Ciudad de México 1968 con il quartetto 4 x 400, sulla pista di Londra fu imperiale, per tutto: conduzione della gara, primato del mondo, fu una "lepre" di lusso per tutti gli altri. Quattro anni dopo la sua corsa è stata altrettanto regale, frutto più della consapevolezza dell'atleta maturo che non della superiorità fisica. E così ha scolpito il suo nome nell'Olimpo degli immortali, uno dei quattro che in 31 edizioni di Giochi Olimpici ha vinto due edizioni consecutive: il britannico Douglas Lowe (1924 - 28), lo statunitense Mal Whitfield (1948 - 52) e il neozelandese Peter Snell (1960 - 64). Mentre percorreva la retta finale, la memoria visiva mi ha riportato al primo grande corridore keniota di 800 metri, Wilson Kiprugut (visto alla tele, 1964 e 1968), e a quelli che ne raccolsero l'eredità: Mike Boit, Billy Konchellah, il vole indimenticabile (questo dal vivo) di Paul Ereng a Seul 1988 negli ultimi 200 metri, William Tanui e Nixon Kiprotich, Wilson Kipketer e Wilfred Bungei. Da sola, la storia degli 800 metri in Kenya merita un libro, un grosso volume.

Eliud Kipchoge

Quando mi occupavo seriamente di atletica prima di fare l'impiegato, dedicavo moltissimo tempo allo studio (sì, ho detto studio) della corsa di maratona. Oggi ne so poco o nulla, gli entusiasmi sono andati a farsi benedire. Però, un certo qual "fiuto" mi è rimasto. Stavo nei dintorni della linea di arrivo, nella mega area del Sambódromo (altra scelta fallimentare, pubblico poco, interesse scarso, tabelloni collocati da un ubriaco, il tutto per essere originali, e collezionare cazzate su cazzate), chiacchierando con il mio amico Carlos, cercando di sbirciare qualche scampolo di megaschermo. Erano in quattro in testa, 33esimo km mas o menos, vedo Kipchoge che inizia a scappare, ma a ritmo di lepre che cerca di schivare le doppiette dei cacciatori, sembrava avesse inforcato il motorino. A quel punto la mia attenzione è stata attratta solamente da lui, l'uomo che anni fa era conosciuto ai fantasiosi giornalisti come "l'atleta che aveva sempre il sorriso anche il corsa". Non ricordo di aver visto correre (giuro, di maratone dal vivo e da vicino ne ho seguite) la decina di chilometri finali come li ha corsi Eliud: alcuni chilometri fra il 33 e il 37 - 38 li ha coperti, secondo me, a 2:45 - 2:48. I dati forniti dall'analisi ufficiale dei tempi dicono che  il campione olimpico ha corso i 10 km fra il 30esimo e il 40esimo in 29:09 e gli ultimi 2 km e spiccioli in 6:20, totale sui 12 km finali 35:29. Solo nei 2 km conclusivi ha ammollato all'etiope Lilesa, secondo, 34 secondi. Vero che ormai era tutto deciso, ma significa che invece lui ha "tirato" fino alla fine. Uno spettacolo superbo, degno di una maratona "vera" come quella olimpica. Meritava molta più attenzione, la samba l'ha ballata lui, Eliud Kipchoge.

(segue)