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Giorgio Gandini, uno dei "ragazzi" di Bruno Bonomelli mezzofondista tenace che non si è mai arreso PDF Print E-mail

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Una brutta notizia ci ha raggiunto nelle ultime ore: a Bergamo si è spento Giorgio Gandini, atleta che aveva fatto parte del gruppo di mezzofondisti e fondisti allenati a Brescia da Bruno Bonomelli. Avevamo incontrato Giorgio A Brescia, nell'ottobre del 2010, in occasione della celebrazione del centenario della nascita del "maestro di Rovato". Ci aveva fatto molto piacere, "non potevo mancare" ci aveva detto, "ricordare Bruno, sentire parlare di lui, è rivivere una parte importante della mia vita".

Abbiamo affidato il suo ricordo alle toccanti parole di Paolo Marabini, giornalista, nostro socio, mezzofondista alla Atletica Bergamo nei suoi anni giovanili, amico di Giorgio.

Ha lottato fino alla fine. Sapeva di essere messo male, perché un carcinoma ai polmoni non perdona. Ma non lo voleva dare a vedere e minimizzava, anche con noi che lo conoscevamo bene e lo sentivamo spesso. "Adesso non sto benissimo" ci aveva detto solo pochi giorni fa al telefono "ma appena mi rimetto dobbiamo organizzare una bella rimpatriata con quelli dei vecchi tempi". Un auspicio, più che un reale convincimento. Una speranza tenuta accesa dal suo ottimismo cronico, nonostante soffrisse davvero tanto.

Giorgio Gandini ci ha lasciato nella notte tra mercoledì e giovedì, a 81 anni, dopo una vita intensa, piena di soddisfazioni. Un'esistenza vissuta con uno spirito delizioso, sempre col sorriso, un aneddoto dietro l'altro, il buon senso come via maestra, la battuta sempre pronta per stemperare i caratteri focosi, così lontani dal suo, che invece era mite, disponibile, accomodante: era impossibile non volergli bene.

Era nato a Brescia il 22 marzo 1935 e aveva conosciuto ragazzino piste e percorsi di fango, sotto l'ala di quel magnifico burbero di Bruno Bonomelli, maestro come pochi, di atletica e di vita. L'Atletica Brescia è stata la sua culla, quindi la parentesi Gallaratese prima dell'arrivo a Bergamo, la città poi d'adozione, chiamato nella Libertas Magrini degli anni d'oro, a comporre con Gianfranco Baraldi, poi diventato amico fraterno per il resto della vita, e Giuseppe Della Minola, un trio delle meraviglie nel mezzofondo popolato negli anni 50/60 da tanti personaggi di spicco. Non gli mancava il talento, e solo un pizzico di ansia da prestazione gli ha negato traguardi più prestigiosi. Ma non erano in molti a saper spaziare ai suoi livelli sull'arco 800-5000, con una punta di 3'47"3 sui 1500 di tutto rispetto, anche per i giorni nostri. E che dire poi delle vittorie nel cross, in testa la doppietta al Campaccio nel ' 59 e '60. Il tutto condito con 5 maglie azzurre, prima della chiusura con la maglia dell'Atletica Bergamo, voluto dal presidente Tombini pensando già al suo futuro da allenatore.

Una carriera, quella di tecnico, piena zeppa di successi, ancor più importanti di quelli della pur brillantissima e longeva carriera d'atleta. Francesco Panetta è stato l'ultimo e il più titolato tra i tanti atleti che sono passati fra le sue mani, dal 1989 sino alla fine. Ma prima c'era stata una sfilza interminabile di ragazzi cresciuti e lanciati dall'instancabile Giorgio, uno che non saltava un giorno al campo: pioggia, neve, o caldo torrido che fossero. Alcuni nomi? Mauro Capponi, l'enfant prodige Mario Brembilla, Giuseppe Ponti, Giulio Roncelli, poi la nidiata d'oro con Pierangelo Testa, Marcello Rapis e soprattutto Aldo Fantoni, talento che ha scritto la nascita dell'epopea della maratona italiana con i vari Bordin, Pizzolato, Poli e Faustini. Per non parlare delle ragazze vincenti degli anni 70/80: Alma Pescalli, Danila Paredi, Maria Vigani, Renata Capitanio, Giovanna Bellini sono cresciute con lui. E come dimenticare le sue esperienze in Nazionale, per anni tecnico di riferimento del mezzofondo azzurro a livello giovanile.

Insieme allo stesso Capponi fu poi tra i fondatori dell'Athletic Club Bergamo, artefice da responsabile tecnico della squadra granata di successi pesanti firmati da Pietro Mennea, Donato Sabia, Riccardo Materazzi e Mariano Scartezzini. Anche il giovane Renato Gotti ha giovato dei suoi insegnamenti, vestendo con lui le prime maglie azzurre. E tanti altri ancora - anche atleti più modesti, ai quali riservava le stesse attenzioni dei big - che solo a elencarli tutti ci vorrebbe un libro.

Lo sport ha sempre animato la sua esistenza. E lo ha tenuto vivo dopo la morte dell'adorata moglie, l'ex quattrocentista Paola Bartolozzi. L'applauso caloroso pochi giorni fa alla festa annuale della sezione bergamasca degli Azzurri d'Italia, di cui era presidente, resta un momento di grande, indimenticabile emozione. Giorgio non c'era, bloccato a letto dal dolore. "Non me la sento di venire" ci aveva detto dispiaciuto "non voglio essere compatito". Forse sapeva che era vicino al commiato e voleva risparmiarci lo strazio di quel momento.

Ciao Giorgio, conoscerti ed averti avuto come maestro, di atletica e di vita, è stato un privilegio che mi porterò sempre nel cuore.

Una foto di Giorgio Gandini in una delle tante piste che ha calpestato nella sua bella carriera di mezzofondista. Nell'altra, dei giorni nostri, duante una premiazione di Marta Zenoni, atleta che sta salendo rapidamente come atleta di grandi mezzi, accompagnato da Gianfranco Baraldi, uno dei migliori mezzofondisti italiani fra gli anni '50 e '60