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Ritrovare nello sport le radici della sua originaria dimensione ludica PDF Print E-mail

Abbiamo letto un commento di Stefano Bartezzaghi a proposito del congedo (non congedo? ci interessa poco) di Francesco Totti dalla "sua" Roma che riteniamo molto azzeccato. Siamo a pagina 34 del numero 23 del 4 giugno del settimanale "L'Espresso" www.lespresso.it. Scrive l'autore:

Nell'addio alla maglia e alla fascia di capitamo romanista di Francesco Totti, che ha colpito e commosso le platee televisive di domenica 28 maggio, si è notato un aspetto che forse spiega molto del suo personaggio. Sappiamo che non ha deciso lui di lasciare, ma la società non gli ha proposto un nuovo contratto per quella che si chiama «scelta tecnica». È il professionismo: la logica che, cruda e inevitabile, impone il ritiro allo sportivo che non ha più l'età per prevalere, almeno ai livelli massimi, così come dovrebbe suggerirlo al comico che non fa più ridere, all'attore che non affascina più, allo scrittore rimasto senza idee, all'entertainer che ha perso la sua presa sul pubblico.

La parola chiave della lettera letta da Totti allo Stadio Olimpico era però diversa da «professionismo»; anzi era contraria. «Gioco»: non professione, ma diletto. Non: uomo troppo vecchio per giocare; ma: bambino diventato uomo. Possiamo leggere quei passaggi come concessioni a una retorica facile e popolare: il bambino, la mamma, il gioco, il sogno. Ma non sono gli unici ingredienti, perchè poi, se pensiamo alla figura di Totti per come l'abbiamo conosciuta in tutti questi anni, si vede che la dimensione del gioco non è mai stata soffocata da quella divistica dello sport. Insomma, ci si è sempre divertito. Persino un grandissimo giocatore gioca, se sa farlo.

Non abbiamo chiesto autorizzazione né a Bartezzaghi né a "L'Espresso" per riprodurre questo commento sul nostro povero sitarello. Speriamo non prendano cappello. A noi le non molte parole dell'autore sono piaciute molto e, crediamo, dovrebbero far riflettere tutti quelli che dentro lo sport hanno qualche ruolo: giocatori-atleti, allenatori, dirigenti, arbitri e giudici, giornalisti e scrivani. Davvero: la "dimensione divistica" ci ha "rotto". Ritroviamo, tutti, le radici di questo grande fenomeno umano che si chiama sport, radici culturali, religiose, etiche. Magari chiediamo aiuto al nostro amico Marco Martini, che è uno che se ne intende. E, soprattutto, divertiamoci.