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Ricordiamo Bruno Bonomelli nel giorno della sua nascita, centodieci anni fa Stampa
Mercoledì 28 Ottobre 2020 16:54

Centodieci anni fa nasceva Bruno Bonomelli, che alcuni di noi (non abbiamo l'ardire di prendere impegno per tutti) che facciamo parte di questa piccola enclave di sopravvissuti riconosciamo come nostro Maestro e ispiratore. Risentiamo le sue lezioni-non lezioni, ci ha insegnato l'atletica stando giù dalla cattedra, mai sopra. Ci ha trasmesso la voglia di polemizzare, lottare, mandare a quel paese i vaniloquenti tromboni dello sport, che anche nell'atletica non sono mai mancati. Ha cercato di farci entrare nel cirivreddo (cervello, secondo l'affascinante linguaggio camilleriano) che «l'atletica è progresso e chi non crede nell'idea di progresso non può amare l'atletica». E così la mistifica, la insozza: è di oggi un'altra avvilente notizia che ci racconta della squalifica del campione mondiale 2019 dei 100 metri e staffetta Christian Coleman che, pare, abbia giocato al gatto e al topo con le regole dei controlli contro il doping. Due anni di squalifica, titoli perduti, medaglie da riassegnare, compilazioni che non valgono più un fico marcio.

Per anni il maestro elementare (come sua moglie Rosetta Nulli) ha pubblicato, di sua sacchetta (tasca), libretti di compilazioni di dati che ancor oggi sono di una arcaica eleganza, oltre che di una utilità inarrivabile per quei rimasugli di pensionati che ancora hanno a cuore la conservazione della memoria di questo nostro bellissimo sport. La sua generosa produzione statistico-compilatoria venne prima dell'organismo internazionale etichettato come A.T.F.S., per non parlare della immobile federazione italiana che arrivò a partorire un Annuario solo nel 1961. Ci sono, esistono eccome, i testi dei suoi polemici interventi nei soporiferi congressi annuali della F.I.D.A.L. per perorare la causa della pubblicazione di un compendio annuale. E invocava il paragone, lui uomo di cultura vasta e assimilata,  con le compilazioni degli antichi filosofi greci. Le statistiche BiBis (ci ha chiesto qualcuno, in altra occasione, cosa sta a significare: semplice, due volte B, Bruno e Bonomelli) le faceva sul serio, analizzando i dati secondo i dettami della statistica vera, tracciando grafici, traendone suggerimenti e indicazioni, non vane e inutili elencazioni di numeri che non dicono niente a nessuno, tantomeno a chi dovrebbe lavorare per il progresso dell'atletica.

Focoso, dall'oratoria ciceroniana, aggressivo, di tanto in tanto cercava di allungare qualche sganassone a ominicchi e quaquaraquà che non sopportava, ovviamente ricambiato. Brillante, ospitale nella sua bella casa sui Ronchi di Brescia, attorno ad una tavola, era affabulatore travolgente, capace di coniugare l'atletica con la storia, la filosofia con la tecnica della corsa, talvolta era difficile seguirlo. Creò club di atleti con caratteristiche organizzative quasi britanniche. Aprire i faldoni della sua collezione e scoprire le comunicazioni agli atleti, le convocazioni circostanziate, il rispetto dei risultati di ognuno, il dettaglio delle notizie, i ritagli di giornali doverosamente conservati: esempi neppur oggi lontanamente imitati. Dirigente (spesso squalificato dagli occhiuti dirigenti federal-fidalini), allenatore, studioso, giornalista, comunista-non comunista, fuori dal centralismo democratico di allora, generoso, sì generoso. Al contrario di tanti pidocchi che mettono sotto chiave i loro documenti, occultandoli alla ricerca, egli ha sempre aperto i suoi archivi a chi ne aveva bisogno. Le parole più belle ce le disse anni fa Marco Martini, che a casa Bonomelli trascorse, a più riprese, mesi fra le sue carte, tante e preziose:"Sono stati alcuni dei periodi più belli della mia vita. Pensa che riuscì perfino a farmi bere del vino rosso, a me che non ne avevo mai toccato una goccia. Finii che barcollavo pur seduto sulla sedia, allegrotto e  inesorabilmente ciucco". Marco rimane il più diretto e qualificato erede di Bruno.

E già che ci siamo ricordiamo che oggi, 28 ottobre, ricorrre anche il giorno genetliaco del nostro socio Albertino Bargnani, pure lui bresciano, che Bonomelli plasmò come atleta di mezzofondo e fondo e di corsa campestre, la «religione atletica» che ho ha sempre ispirato. Un aneddoto per chiudere, quasi un sigillo sulla personalità di Bonomelli. Durante una riunione nazionale, in questo momento non sappiamo dire in quale città, è in svolgimento la gara sui cinquemila metri. Bargnani piano piano si stacca e scivola in fondo al gruppo. Dalla tribuna, imperiosa si alza una voce che sentenzia senza scampo, in dialetto bresciano:"Albertino, ma curet anche te?". Di facile intuizione: Albertino ma corri pure tu??? Un sarcasmo che stroncherebbe anche il più temprato degli atleti.

Ricordiamo Bruno Bonomelli così, oggi con profondo rispetto e con un grande debito di riconoscenza.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 11 Novembre 2020 10:56