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Quarant'anni fa l'atletica perdeva Sandro Calvesi, professore di ostacoli Stampa
Venerdì 20 Novembre 2020 16:01

Il cuore cessò di battere regolarmente proprio il 20 novembre, anno 1980, era un giovedì. Così se ne andava Sandro Calvesi, uno degli uomini, dei tecnici, ancor oggi, più conosciuti e ricordati nel mondo dell'atletica, abbiamo detto «mondo». Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario della scomparsa, desideriamo ricordarlo. Non rifacciamo per l'ennesima volta l'elenco dei successi dei suoi atleti. Abbiamo deciso di affidare il suo ricordo ad un nostro socio che con Calvesi ebbe occasione di collaborare a Brescia. Ne è uscito un ritratto vivo, vero, scaturito da frequentazione assidua.

Grande cura abbiamo cercato di mettere anche nella ricerca della iconografia che ci regali immagini di Sandro Calvesi nei molteplici ruoli della sua vita: l'atleta, l'organizzatore, il dirigente di società. Nel ruolo di tecnico lo abbiamo visto tante volte.

Le foto. La prima qui in alto ci riporta ad un giovane, aveva venti anni, Sandro Calvesi, saltatore in alto; detenne il primato bresciano con 1.75, Roma, il 16 giugno 1933; era tesserato per la Società Ginnastica Bresciana Forza e Costanza. Calvesi risaltò la stessa misura a Brescia il 16 ottobre 1938, ma era tesserato per la milanese G.S.Baracca. Nella immagine sotto a questa: Brescia, Stadio Rigamonti, 29 giugno 1950: verso le 18.30, l'olandese Fanny Blankers-Koen, un mito con le sue quattro vittorie ai Giochi Olimpici 1948, stabilì il nuovo primato mondiale delle 220 yarde in 24"2. Attorno al tavolo della giuria, in piedi da sinistra, tal Dossena; quindi l'elegante Sandro Furlan, giornalista del «Giornale di Brescia»; con il braccio teso indicando i premi, Elio Sangiorgi, redattore capo delle pagine sportive dello stesso giornale; è la volta di Bruno Bonomelli, baffuto; e infine in camincia bianca mezze maniche Sandro Calvesi. Nelle due immagini verticali, sempre il nostro in uno dei ruoli che prediligeva, l'annunciatore, durante le gare da lui organizzate, e indossando la vecchia tuta della Nazionale. A chiudere, Calvesi dirigente consegna un riconoscimento a Giuseppe Italia, già atleta negli anni '50 nel club bresciano, e poi, siamo negli anni '80, allenatore di mezzofondisti, il migliore dei quali fu Mario Zoppi. (Collezione Privata)

 

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Sandro Calvesi, da Cigole, un uomo di genio

Un bel po’ d’anni fa, venti, forse anche di più, il sen. Giulio Andreotti diede alle stampe un volumetto cui impose questo titolo: «Visti da vicino». Era una raccolta di ritratti di persone famose che egli aveva incontrato nella sua lunga – facciamo pure, lunghissima – carriera di politico, presidente del Consiglio, ministro. Mi è venuto in mente questo titolo quando mi son dovuto mettere davanti al PC (una volta si chiamava Olivetti Lettera 22) per scrivere «qualcosa» a ricordo del prof. Sandro Calvesi, il prof. Alessandro, da sempre e per tutti solo Sandro, venuto alla luce a Cigole, Bassa Bresciana che va verso il Po, il 5 settembre del 1913, dunque appena prima che iniziassero a soffiare quei tragici venti di guerra che poi, per quattro anni, mandarono al macello centinaia di migliaia di poveri contadini, braccianti, manovali, molti anche da queste parti.

Cigole, Calvesi. Mi son chiesto: e adesso che scrivo del «professore»? «Il professore» è il titolo del primo capitolo di un bel libro scritto dal dottor Alberto Zanetti Lorenzetti, di Corvione di Gambara, dove ha esercitato la professione di medico per gran parte della sua vita, prendendo il testimone di una ideale staffetta da suo padre, gran gentiluomo. «I colori della Leonessa – Atletica Brescia 1950 - 1990», edito per celebrare i quarant’anni della società che proprio Sandro Calvesi fondò. E io che dico di questo atleta, insegnante, tecnico, santone, sì, perché no? santone, di risonanza mondiale per quelle discipline atletiche che, tanto per rendere la vita più difficile a chi atleta vuol essere, mettono delle barriere da superare: gli ostacoli, dieci, più o meno alti, così decisero quelli che se li inventarono. Figura poliedrica, il Calvesi. Senza dimenticare, altre «facce» altrettanto importanti: il promotore di club sportivi (la sezione atletica della Forza e Costanza Brescia subito dopo la Seconda Guerra, il CSI Brescia, l’Atala Club, e infine l’Atletica Brescia 1950, divenuta poi Assindustria Atletica Brescia all’alba degli anni ’70) e l’organizzatore di eventi atletici, manifestazioni con tanti atleti nazionali e internazionali della fine degli anni ‘40, eventi mai più neppure eguagliati da queste parti.

Ma se mi addentro ancor di più su questo terreno, mi metto a raccontare quello che di Sandro Calvesi conoscono già tutti. E allora devo riparlare di Tokyo ’64 e México ’68, degli incarichi federali, dei raduni al Franciscanum di Brescia e di padre Onorio (che discobolo fu in gioventù), dell’organizzazione dell’incontro «Sei Nazioni» del 1968, della presenza al Campo Scuole (nel sottosuolo del quale faceva festa il PVC della Caffaro, che ancora non hanno rimosso nonostante tutte le chiacchiere) di grandi campioni, Ottoz (poi divenuto suo genero), il francese Drut, il britannico Pascoe, il finnico Briggare, ma anche Franco Sar, di cui plasmò il talento di decatleta, Sar repentinamente scomparso un paio d'anni fa. Che, mi metto a fare l’elenco? Sarebbe banale, e comunque incompleto, tanti sono stati. Una cosa è certa: fu un grande allenatore da campo più che un teorico, guardarlo l’atleta, «vederlo», correggerlo, parlargli, spiegargli il gesto, farglielo ripetere, fino a che la musica, il ritmo non gli entra dentro, come ad un musicista. E stare sempre sul campo. Qualcuno lo definì «insegnante dimostratore». Non a caso, non esiste una summa del pensiero tecnico calvesiano. Esiste, in compenso, un bel libro di atletica in generale che scrisse con Gianni Brera, oracolo dei giornalisti sportivi: «Atletica, culto dell’uomo», oggi quasi introvabile.

Ed ecco allora che mi è venuto in soccorso «visti da vicino». Un piccolo racconto di come li ho visti io, il professore e la signora Gabre, tandem atletico un po' ovunque, non solo in campo. Ho collaborato con loro, per un certo periodo, era tanto tempo fa…Fu nel 1973, io venivo da fuori, da Piacenza, ero appena stato assunto all’AIB, Associazione industriale bresciana, come «secondo» all’Ufficio stampa. Erano tempi di grandi fermenti sociali, gli industriali facevano gli industriali e non i giocolieri della finanza, i sindacati erano sindacati sul serio al servizio dei lavoratori. Le tensioni molte. L’amico che mi aveva spianato la strada verso questo mio primo lavoro, sapeva della mia passione per l’atletica, che in quel momento mi fu utile. La Confindustria, in un tentativo di rinnovamento della sua azione sociale, aveva messo in campo l’iniziativa di Centri Sportivi Aziende Industriali, lo C.S.A.In., e aveva suggerito alle sue strutture territoriali di entrare nello sport. Un nuovo ente di promozione sportiva, come erano il C.S.I, la Libertas, l’U.I.S.P., l’A.I.C.S., e altri, che erano emanazioni dei partiti di allora.

A Brescia, Calvesi aveva sempre avuto buoni rapporti con industriali bresciani che lo avevano aiutato e sostenuto nelle sue iniziative. Vi basti solo un accostamento con il nome del dott. Giuseppe Tassara (azienda Tassara a Breno, Valcamonica, dove si fecero anche dei piccoli meeting di atletica grazie a Calvesi), che fece parte del primo Consiglio direttivo dell’Atletica Brescia nell’aprile del 1950. Giuseppe Tassara era il presidente della A.I.B. ai primi anni ’70. Il 1969 aveva segnato la frattura insanabile fra una parte di tecnici e dirigenti cresciuti con Calvesi, i quali uscirono dalla casa madre e fondarono la Tepa Sport (azienda di Rudiano, scarpe e articoli sportivi, che ebbe i suoi momenti di gloria in quegli anni) che avrebbe poi mutato pelle divenendo Fiat OM. Anni non proprio tranquilli nel nostro sport nella Leonessa...

Arrivai negli uffici industriali, allora in via della Posta, e, oltre al mio specifico lavoro, mi venne chiesto dai miei dirigenti, di affiancare la società sportiva nel lavoro di diffusione di notizie, dei migliori risultati, sulla stampa locale, allora rappresentata solamente dal «Giornale di Brescia», quotidiano, il famoso «bugiardino» nella vulgata popolare. Mi inventai perfino un bollettino periodico, che veniva da me allestito e poi stampato nella piccola tipografia interna dell'Associazione. Quando mi dissero che i miei referenti erano il prof. Calvesi e sua moglie Gabre Gabric ne fui felicissimo, conoscevo, seppur parzialmente, la fama di entrambi. Il rapporto fu subito cordiale, affabile, collaborativo. Ogni sera uscivo dall’ufficio vicino a Piazza Vittoria e passavo a quello di via dei Musei, dove c’era la antica sede dell’Atletica Brescia, per raccogliere informazioni. Talvolta andavo a cena con il professore e sua moglie, e mi immergevo nei bei racconti del professore, piacevolissimo narratore. L’atletica era stata ed era per me una passione dalle tinte forti.

Ma, come ho detto, non erano tempi tranquilli. Le acute tensioni sociali sembrava avessero un prolungamento anche nello sport, almeno a Brescia. Quando le famiglie si dividono quasi mai lo fanno in armonia. Ed era così anche per l’atletica bresciana. Accuse, maldicenze, invidie, gente che si guardava in cagnesco. Chiacchiere, tante chiacchiere, spesso a vanvera. Anche all’interno si crearono cricche e camarille, e la signora Gabre doveva destreggiarsi, da sola, come poteva fra tecnici scontenti e atleti non sempre sereni. E poi un decisivo malinteso: qualcuno si aspettava da me un lavoro burocratico di segreteria (anche perché la persona che esercitava questo ruolo se ne era andata) che non rientrava nei miei compiti e non mi interessava per niente.

Il problema era che il professore insegnava all’ISEF Cattolica, a Milano, se ne andava il lunedì e tornava il venerdì sera. E, al rientro, veniva investito da tutte ‘ste polemichette fastidiose.  Veniva da altre esperienze nella Federazione nazionale che lo avevano visto protagonista di diatribe non soft. Che aveva condiviso con la signora Gabre. Ma dovevano fare la piega: quella società era la «loro», quella che avevano fondato, fatto crescere, portato agli onori nazionali. Diverso per me, finchè si trattava di fare l’addetto stampa, ci stavo, un maggior coinvolgimento non mi interessava. Cercai di spiegarlo al professore, in un colloquio a quattr’occhi, ma non riuscii a farmi capire. Non la prese bene. Arrivammo a un confronto con i dirigenti dell’Associazione industriale, i quali – per mia fortuna – sostennero fino in fondo la mia posizione: ero un loro dipendente, non un impiegato dell’Atletica Brescia. Che già stava un po' sui piedi, in quel momento gli industriali avevano ben altri grattacapi per doversi occupare di bizze sportive.

Le strade si divisero. Restò un rapporto corretto, da parte mia sicuramente di grande stima per quello che Sandro Calvesi aveva rappresentato per l’atletica italiana. Ci sentivamo, mi chiamava, e mi informava quando aveva ospite qualche atleta famoso. Io, nel frattempo, avevo iniziato (era il 1974) una collaborazione fitta e continuativa con il «Giornale di Brescia», altro mal di testa per qualcuno viste le beghe di quei tempi. Talvolta mi invitava a cena e per me era un piacere: lo ascoltavo sempre con grande interesse, lui narrava, era una passerella di aneddoti, personaggi, situazioni. Era un attrattivo affabulatore. Quando, quel giovedì 20 novembre 1980, fui raggiunto, alla redazione sportiva del «Giornale» (che nel frattempo mi aveva assunto in pianta stabile), dalla notizia del suo decesso per infarto (aveva già avuto avvisaglie qualche anno prima), ne fui addolorato. Avevo, comunque, avuto la fortuna di conoscere un grande dell’atletica. Lo avevo visto da vicino.

Quando se ne andò, un brillante scrittore (che non firmò il suo articolo) gli dedicò queste righe dopo aver elencato i successi da lui conseguiti:” Al centro di questi risultati, il tecnico e l’uomo Calvesi, con le sue capacità, i suoi umori, la sua inguaribile passione, le sue attenzioni per il suo delicatissimo materiale umano unito a lui da un filo tanto invisibile quanto incorruttibile…Calvesi aveva il merito, grande, di saper insegnare quanto conosceva, senza una virgola in meno”.

Vi racconto l’ultima. Nel settembre del 2016, a Talence, una affollata appendice della Grande Bordeaux, ebbi l’occasione di parlare di Sandro Calvesi con Guy Drut, eravamo lì per celebrare i 40 anni di vita di un importante meeting, ed ero fortunato ospite a quella cena. Una chiacchiera tira l’altra, dissi a Guy che venivo da Brescia e che avevo conosciuto Calvesi. Spero (mi illudo?) che tutti sappiano cosa sia stato l’atleta Drut, basti questo: secondo ai Giochi Olimpici di Monaco ’72 e campione olimpico, sempre dei 110 metri ad ostacoli, quattro anni dopo a Montréal. Gli si illuminarono gli occhi. Mi scrissi sul primo pezzo di carta (lo conservo) che mi capitò fra le mani alcune delle sue parole:” Sandro è rimasto nel mio cuore e nella mia testa. A Monaco, dopo l’arrivo, lo incontrai e, d’istinto, mi tolsi la maglia con cui avevo corso e avevo sfiorato la vittoria e la diedi a lui. Nessuno la meritava più di lui”. Ed era la maglia di una medaglia d'argento, poi venne l'oro.

Definirlo in una parola? Questa usò Guy Drut: “Geniale, fu un uomo geniale”.

Quest’uomo geniale veniva da Cigole, Bassa Bresciana.

Ultimo aggiornamento Venerdì 20 Novembre 2020 23:46