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Lee Evans, spirito libero sempre e ovunque, dentro e fuori la pista di atletica Print

Una serie di eventi concatenati in questi ultimi due giorni (19 e 20 maggio) ci invita a intrattenere i nostri lettori su fatti, personaggi, risultati, di una cinquantina di anni fa. Sperando che quel pelandrone del redattore di questo sito domani sia disponibile - oggi aveva un giorno di libertà - vi racconterà, a modo suo, delle cronachette (come le chiamava Leonardo Sciascia). Noi cerchiamo di «tamponare» la notizia di oggi: è morto Lee Evans. Chi fu costui? Ragazzi, se lo sapete avete fatto solamente il vostro dovere basilare; se non lo sapete, non avete che da spendere una manciata di eurospiccioli e comperarvi un libro di storia dei Giochi Olimpici, andare alle pagine che parlano della edizione messicana del 1968 e documentarvi. Dice: ma queste Evans par straniero? Che c'azzecca con l'atletica italiana? C'azzecca, c'azzecca. Vedrete. A domani, o postdomani. Intanto leggetevi le poche righe che il «New Yort Times» gli ha dedicato a firma di Robert D. McFadden.

"Lee Evans, the Black American runner who won two gold medals at the racially charged 1968 Summer Olympic Games in Mexico City and at a presentation ceremony wore a Black Panther-style beret and raised his fist to protest racism in the United States, died on Wednesday. He was 74.

His death was announced by USA Track and Field, which did not say where he died or cite the cause.

The newspaper The Mercury News in San Jose, Calif., where Evans grew up, quoted friends of his as saying that he had died in a hospital in Nigeria after suffering a stroke. Evans was an assistant track coach at a sports academy there run by the Nigerian soccer star Segun Odegbami and had coached African track teams for many years. The paper quoted Odegbami as saying that Evans collapsed last week while having dinner with him and other friends."