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Una maratona dal social-comunismo al fascismo: il figliol prodigo Donato Zanesi Print

In questa seconda puntata (abbiamo pubblicato la prima non molti giorni orsono) Sergio Giuntini ci racconta la trama della novella scritta da Nino Salvaneschi nel 1921, novella inserita in una raccolta, un libretto di 180 pagine, dal titolo “Il knock-out di Rirette. Novelle sportive”. Nino Salvaneschi, chi era costui? Nacque a Pavia nel 1886, morì a Torino nel 1968; partecipò alla Prima Guerra Mondiale in Marina, fu tra i primi a pilotare i tristemente famosi Mas, porigni pilotati che servivano per affondare le navi nemiche. Nel Dopoguerra divenne convinto pacifista. Una tragedia lo colpì nel pieno della vita: nel 1923, a 37 anni, perse completamente la vista a causa di una incurabile malattia agli occhi. Questa condanna lo condusse a una fede profonda e vissuta, che tradusse in molti scritti. Di Salvaneschi qualcuno ha detto che fu «scrittore insolito e originale». Ne è testimonianza la novella «Il vincitore della Maratona» che egli dedica a Gustavo Verona, uno dei giornalisti che hanno lasciato una orma profonda nella storia del giornalismo sportivo italiano, redattore capo (in effetti direttore) de «La Stampa Sportiva» dal 1905 al 1924. Il settimanale illustrato torinese, pubblicato a partire dal 1902 come supplemento a «La Stampa», era, in formato più piccolo il fratello gemello del francese «La vie au grand air», tanto che talvolta retortage e fotografie erano le stesse. Il settimanale sportivo torinese chiuse i battenti a metà degli anni '20, Gustavo Verona aveva già lasciato la sua gestione editoriale.

Adesso tocca a Sergio.

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Copertina del libro originale del 1921 che raccoglie le novelle sportive scritte da Nino Salvaneschi (Collezione privata)

All’interno di questa tesa cornice storica, nella sua novella Salvaneschi (peraltro un po’ approssimativo sull’esatta lunghezza della maratona) inscenava, come detto, il solenne pentimento del maratoneta Zanesi, così da elevarlo a metafora dell’irreversibile disfatta del “biennio rosso” social-comunista:

La Casa degli atleti era al completo. Da ogni parte d’Italia, corridori, saltatori, discoboli, sprinters, hurdlers, maratoneti, lanciatori di disco e di giavellotto, erano arrivati a ondate, riempiendo le sale di quella severa scuola fiamminga, colla loro giovinezza ardente. I dialetti d’Italia si incrociavano pittorescamente nelle notizie di allenamento più varie. Gli ultimi arrivati erano i più curiosi di sapere le migliori performances dei campioni e degli avversari più noti: gli svedesi e gli americani sopra tutto. - E Paddock, in quanto i cento metri? - 10”4/5. - E Thomsom, come fa i 110 ostacoli? - in 15”4/5. - E Hill? - È in forma? Forse nei 1500. Li copre in 4’ e qualcosa. - E il finlandese Lemminkainen? - Va bene. Ma c’è l’inglese Strebb. Zanesi si piazzerà decimo nella Maratona. Le domande e le risposte, si controbattevano fredde, rapide, incalzanti, come in un assalto di scherma. Stile sportivo: stile veloce. Nel cortiletto, intanto, vicino alle sale del massaggio, una ventina di atleti continuavano a cantare sino a sgolarsi l’inno dell’”Internazionale”: “Alla riscossa, bandiera rossa trionferà”. Erano gli stessi campioni che avevano fatta la loro solenne entrata nella Casa degli Atleti, al canto dell’inno rivoluzionario, e che alla vigilia della grande inaugurazione dell’Olimpiade, non avevano voluto sfilare insieme ai compagni, dietro la bandiera d’Italia, e per omaggio al Re del Belgio. - Ma che bandiera d’Italia e Re del Belgio! - Non ci sono bandiere, perché c’è quella rossa! - Non ci son più re, perché il popolo è sovrano! - Non ci sono più bandiere di altri paesi, perché c’è l’Internazionale! Qualcuno aveva tentato di reagire. Croci, il giovane sprinter gallaratese aveva detto infatti: - Ma infine siamo tutti qui a difendere il nome e la bandiera della Patria. Allora l’anarchico Zanesi, si era avanzato di un passo e aveva detto gravemente: - La Patria è dove si mangia! Donato Zanesi era stato un valoroso in fanteria, “Cinquantaduesimo”. Brigata Alpina “Peppino Garibaldi”. Mostrine verdi e fazzoletto rosso. Ferito e decorato, aveva fatto la guerra senza darle importanza. Come una Maratona in grande. Ritornato in patria, dalla Francia, era stato uno di quei tanti che le correnti socialistiche e bolsceviche, avevan travolto. - La guerra è stata tutto un trucco dei capitalisti -. La bandiera è buona per i mangiapane a tradimento. Questo il suo Vangelo come cittadino. Come uomo di sport, era un magnifico corridore di fondo. Aveva compiuto in allenamento i 42 chilometri e 750 metri della Maratona in 2 ore e 44’. Campione d’Italia, non voleva saperne d’indossare la maglia tricolore. Così il cittadino e il corridore erano in grave conflitto tra loro poiché il corridore doveva difendere alle Olimpiadi l’onore sportivo di una Patria e di una bandiera, che il cittadino non ammetteva. E forse per questo correva sempre con la maglia rossa. Ma l’anarchico non aveva ancora capito che una vittoria non può essere comunista”.

Con questa sua ultima affermazione: «Una vittoria non può essere comunista», Salvaneschi esternava apertamente la propria partigianeria politica. L’avversione per quelli che, allora, venivan definiti tentativi di fare in Italia come in Russia. Tant’è, sin lì anarchico e internazionalista tutto d’un pezzo, Zanesi si rimangerà tutto il suo sovversivismo una volta entrato da vincitore nello stadio. Il colpo di scena riparatore e a lieto fine riservatoci dalla novella:

Ecco lo stadio! La folla diventa marea. Ondate di pubblico  si erano rovesciate sulla strada, lasciando appena libero il piccolo sentiero per i due corridori. Ecco l’entrata allo stadio […], un applauso delirante accolse allora i due campioni. La musica intonò una fanfara di guerra. E gli applausi della folla si accordarono ritmicamente colle trombe e coi tamburi. - “Vive l’Italie” “Macaroni! Macaroni! Macaroni!” era per lui, dunque! Ah lo avrebbe preparato il piatto di macaroni per l’inglese! Il giorno prima, nessuno si era accorto dell’Italia! Diede un’occhiata al suo rivale. Vacillava. Pallidissimo, aveva un passo d’ubriaco. Guardò il traguardo lontano tre quarti di giro di pista. Allora, chiamando a raccolta le forze del suo cuore, l’italiano chiuse gli occhi e mordendosi le labbra, in uno sforzo poderoso staccò l’inglese, che vinto si afflosciò a terra, come un mucchio di stracci, rinunciando alla prova. Sentiva nelle orecchie il frastuono di tutta la folla, e le trombe acute di quella fanfara. Vide suo padre, sua madre a casa, che attendevano la notizia insperata, i suoi amici, il suo club, la sua Brescia […]. Pensò alla casa e all’amore; in una parola alla Patria… E tagliò il traguardo, velocissimo, le braccia alte, quasi a presentare la vittoria al cielo, gridando per la prima volta in vita sua: - Viva l’Italia! Due ore, 35’46”! Allora in una tempesta di applausi, al suono grave della Marcia Reale, la bandiera italiana si issò lentamente sull’alto pennone dello stadio, più alta di tutte quelle che la circondavano. L’anarchico, ancora tutto vibrante per la corsa magnifica, fissava la bandiera tricolore, che il suo sforzo poderoso di due ore 35’46” aveva fatto alzare lassù. E gli parve che il cielo fosse troppo piccolo per contenere tanta gioia. Si guardava intorno. Per l’ampio stadio, la folla immobile, ritta in omaggio della vittoria procurata da lui, e da lui solo, salutava la bandiera trionfante del suo Paese. L’anarchico si sentì le lacrime agli occhi. Guardò a terra, commosso sull’erba, vicino a lui, vide un campione svedese dei lanci di giavellotto intento a massaggiarsi le gambe. Come mai non si alzava costui? Perché stava così sdraiato? Non aveva salutato lui il giorno prima la vittoria del disco? Gli assestò un pugno formidabile sulla testa, e gli disse secco, in tono che non ammetteva repliche: - Ohè! Alzati. Saluta la bandiera del mio Paese”.

Utilizzando pedagogicamente la parabola del “figliol prodigo” Zanesi, la sua nemesi che da trionfatore lo portò come Frigerio a inneggiare alla “madre” Italia, Salvaneschi sanciva retoricamente, patriotticamente, l’aprirsi della nuova era storica dominata dal fascismo mussoliniano. Una forza ideologicamente erede dei valori esaltati dal Futurismo, che nello sport investì molto sia a livello simbolico che materiale. Atletica leggera inclusa, ma compressa all’interno della rigida camicia di forza di un regime totalitario.

(parte seconda - fine)