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È morto a Brescia Enzo "Franco" Volpi, uno dei migliori fondisti italiani fra gli anni '50 e '60 Stampa
altQui a fianco: da sinistra, Antonio Ambu, Franco Volpi e Luigi Conti nella Pineta di Viareggio in occasione dei Campionati italiani di corsa campestre del 1964. Vinse Ambu, secondo Conti, terzo il bresciano Albertino Bargnani, allievo di Bonomelli, e quarto Franco Volpi.
 
 
  Sotto: Antonio Ambu seguito da Franco Volpi sul percorso del "Campaccio", nella edizione 1962 vinta, per la seconda volta, dal bresciano.
Le foto sono tratte dal libro "Corsa campestre, scuola di campioni" di Bruno Bonomelli e Enrico Arcelli.
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Per tutti, nel mondo dell'atletica bresciana e fra i tanti amici che aveva, era "Poiana", nome di un uccello rapace tipico dell'Europa. Enzo Volpi era un atleta che seppe librarsi alto proprio come i rapaci, sempre nella massima libertà, insofferente ad ogni tipo di costrizione e di inquadramento da caserma, come avrebbero voluto i "federali" dell'epoca, e di tutte le epoche...

Enzo Volpi è mancato la sera del 14 marzo, a Brescia. Era nato nella città della Leonessa il 16 agosto del 1936. Enzo all'anagrafe ma per tutti "Franco", non lo abbiamo mai sentire chiamare Enzo. Chi lo ha conosciuto ne ricorda la gioia di vivere, la spensieratezza, il cameratismo, era un giocherellone sempre pronto allo scherzo con i suoi compagni: era un eterno ragazzo che prendeva la vita con allegria. Famose le sue "mattate": durante le corse podistiche nelle montagne bresciane raccontava (pura verità) che si fermava a raccogliere erbe, asparagi selvatici, funghi, lui conoscitore della natura come pochi ne abbiamo incontrati. E nonostante le soste, vinceva le gare, arrivando al traguardo con un bel mazzo di asparagi di montagna. E non è che gli altri fossere delle "pippe".

Uno sport vissuto in allegria quello di Franco Volpi , fatto soprattutto di corsa in libertà, sulle strade, nei campi, nelle montagne. Pista poca, lo stretto indispensabile. Un keniota ante litteram, nato nella terra compresa fra il fiume Oglio e le sponde del lago di Garda. Non parliamo dei cosiddetti raduni collegiali, che evitava come la peste, con gran dispitto della Federatletica. E per questa sua libertà pagò. Infatti i "federali" lo colpirono nel peggiore dei modi: lo esclusero dai Giochi Olimpici di Roma '60, una partecipazione che avrebbe ampiamente meritato.

Aveva vinto il titolo italiano dei 10000 metri nel 1959, stabilendo il nuovo primato italiano, 30:05.8. Meglio dire: rivinto, perche' la prima maglia tricolore l'aveva indossata nel 1956, sulla stessa distanza. Grande attraverso i prati, soprattutto. Il cross era il suo regno. Elenchiamo i suoi piazzamenti ai Campionati italiani di corsa campestre: quarto nel 1956, campione italiano nel '57, a Bergamo, davanti all'atleta di casa, Franco Baraldi, terzo nel '58, ancora campione italiano nel '60 con quasi 30 secondi di vantaggio su Luigi Conti che ai Giochi Olimpici fu iscritto nei 5000 e fece il primato italiano in batteria, mentre Franco rimase a Brescia...a raccoliere funghi, grazie alla FIDAL, straordinario! La lista continua con i secondi posti del 1962 e del 1963, il quarto del 1964, il terzo del '68, il quinto del '70.

E ancora: secondo alla "Cinque Mulini" nel 1962 alle spalle di un "tale" di nome Michel Jazy; e ben quattro terzi nel '57, '58, '60 e '63. Vincitore della prima edizione del "Campaccio" nel 1957, gara che vincerà nuovamente nel 1962. Parliamo degli anni di Baraldi, di Giorgio Gandini, di Conti, di Francesco Perrone, del nascente Antonio Ambu, di Antonelli, Lavelli, Sommaggio, Francesco Bianchi, Silvio De Florentis.

Franco "Poiana" Volpi incarnò, insieme all'altro fondista bresciano Albertino Bargnani, il prototipo del corridore come lo pensava, vedeva e plasmava Bruno Bonomelli.

Noi che ti abbiamo conosciuto di ricordiamo con devota amicizia.