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Franco Sar: «sport è lotta senza perdere amore per la vita e per gli altri uomini» Stampa

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Siamo onorati di pubblicare questo ricordo che Fabio Monti ha scritto per il nostro sito. Fabio, figlio dell'indimenticabile Carlo Monti, ha speso la vita nel mondo del giornalismo, prima alla «Gazzetta dello Sport» e poi al «Corriere della Sera». Fabio, tra l'altro, è stato coautore del bel libro sulla vita di Franco Arese, scrivendo la terza parte, quella dedicata all'imprenditore e dirigente sportivo. Ringraziamo Fabio per questo suo contributo, sperando di averlo ancora spesso nella nostra piccola comunità atletica, con commenti e ricordi storici.

   Sar: tre lettere, un cognome facile da ricordare (più ancora del nome, Franco) per il miglior decathleta italiano, sesto ai Giochi olimpici di Roma (5-6 settembre 1960, 7.195 punti), nelle dieci gare teatro della meravigliosa sfida fra lo statunitense Rafer Johnson e il rappresentante di Taiwan, Yang  Chuan-Kwang. Prima di compiere gli 85 anni (era nato il 21 dicembre 1933) e nonostante fosse in gran forma, all’improvviso ha avuto fretta di chiudere il decathlon della vita e ha preso congedo, senza salutare, all’alba del 1° ottobre. Ha giocato d’anticipo, lui che amava arrivare in ritardo. Ma Sar ha lasciato un segno profondo nell’atletica italiana, anche se il suo esempio non sempre è stato compreso.

   Innanzitutto è stato un campione vero, allievo prediletto del professor Sandro Calvesi, e a Tokyo 1964 avrebbe potuto fare meglio rispetto allo storico sesto posto di quattro anni prima, se un infortunio alla caviglia, prima della partenza per il Giappone, non ne avesse messo in dubbio la partecipazione. La forza di volontà alla fine lo aveva spinto a gareggiare comunque e ad arrivare tredicesimo. Ma la grandezza di Sar come decathleta è tutta nelle parole scritte sul «Corriere dello Sport», da Alfredo Berra, dopo la prima giornata del decathlon di Roma, conclusa addirittura al quarto posto: «Non sapevamo che dopo i tre colossi Johnson, Yang e Kutznyetsov un decathleta azzurro potesse essere quarto al mondo. Franco Sar è l’atleta di cui si parla. Un uomo che in questa Olimpiade sta ottenendo risultati veramente sbalorditivi. Il ventisettenne operaio sardo malgrado sforzi, sacrifici, rinunce possibili solo a un autentico dilettante innamorato del suo sport, non potrà salire sul podio del vincitore, ma meriterebbe di essere collocato dopo Berruti nella scala dei valori dei nostri azzurri. Chi avrebbe osato sperare tanto?» E di quella gara, Sar ricordava: «Quello è stato un momento di assoluta e insuperabile gioia. Ho ammirato due campioni che si sono dati strenua battaglia; due amici che per quaranta ore non si sono scambiati uno sguardo; che si sono sfidati senza pietà e che alla fine, nel momento della massima fatica, si sono riconosciuti. Questo è lo sport: passione, dolore, lotta senza perdere l’amore per la vita e per gli altri uomini».

  Questa passione infinita per l’atletica aveva portato Sar a iniziare una nuova carriera, una volta chiusa l’avventura agonistica, come direttore tecnico e motore organizzativo della Snia, allora targata Lilion, con la quale aveva gareggiato nell’ultima parte della sua carriera. Dal 1965, nel nuovo incarico, ispirato ancora da Calvesi («la tua strada è quella») e con un punto di riferimento decisivo in Romolo Giani, uno degli inventori del new deal nebioliano, Sar aveva saputo unire la caparbietà friulana e il rigore dei sardi. Era nato ad Arborea, ex Mussolinia, ora in provincia di Oristano, ma da famiglia friulana, e il tutto è stato spiegato da Vanni Loriga: «Fu proposto a tanti coloni di trasferirsi nella zona del comune di Terralba, dove erano appena stati bonificati terreni paludosi. Alla famiglia Sar, che proveniva da Basiliano (già Pasian Schiavonesco perché popolata da possenti lavoratori provenienti dalla mitteleuropea Schiavonia), venne assegnato un lotto di 12 ettari collocato sulla Strada 14, a pochi metri dal mare in cui il giovine Franco si dedicò al nuoto. Suonava anche il clarino nella banda diretta da Don Scotto. Dimostrò infine attitudine alle prove atletiche, soprattutto nel salto in alto e nel lancio del disco. Si trasferì alla Monteponi di Iglesias dove fu assunto come tornitore» e da dove tutto è iniziato. Da d.t. della SNIA, Sar ha costruito una stagione di grandi campioni, da Simeon, il nuovo Consolini, a Preatoni fino ai quattrocentisti (Fusi, Trachelio è Bello) e a Paola Pigni. E di grandi idee, a cominciare dalla Notturna di Milano (dal 1967 al 1971) fino al meeting di Lignano Sabbiadoro.

   La passione per l’atletica ha portato Sar a non fermarsi nemmeno quando la Snia ha abbandonato lo sport. Così aveva inventato una nuova società, «Atletica 2000», salvo ripartire un’altra volta con «Abc progetto Azzurri», con mezzi economici modesti, ma con un entusiasmo in costante aumento. E nonostante avesse traguardato gli 80 anni, per lui la cosa più bella del mondo era andare in campo ad allenare i ragazzi, anche in inverno, almeno cinque giorni alla settimana, in cerca di nuovi talenti. E anche sui campi della Brianza, dopo la trasformazione dell’Arena di Milano in un parco giochi. Sabato 6 ottobre sarebbe andato a Rieti, ai campionati cadetti, anche per vedere una sua giovanissima velocissima, che «penso diventerà fortissima, anche se non voglio sbilanciarmi». Stavolta ha dovuto fermarsi prima.

La foto ci riporta al campo di atletica di Brescia nella primavera del 1960, come dice il titolo per un raduno tecnico di ostacolisti. Ma non poteva mancare Franco Sar, che a Brescia ormai era di casa e preparava lì la sua prima Olimpiade. Il prof. Sandro Calvesi è al centro in atteggiamento di scrivere qualcosa, Franco Sar è accanto a lui, a destra, si riconosce anche il triestino Nereo Svara, che fu l'unico dei tre ostacolisti (gli altri erano Giovanni Cornacchia e Paolo Zamboni) che raggiunse la semifinale, quarto nella prima, in 14.3.