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Una lezione che viene da lontano e ci fa capire che, purtroppo, poco è cambiato Stampa

altCi sono persone - soci o non soci di questo nostro microrganismo - che, ringraziando il cielo, hanno ancora il gusto di aprire pagine del passato, di studiare, di segnalare, di riportare alla attenzione episodi antichi ma, in fondo, molto moderni. Una di queste persone è Alberto Zanetti Lorenzetti, nostro segretario, il quale ci ha mandato qualche riga in cui, tra l'altro, scrive:"...solitamente consulto le raccolte di riviste per andare a cercare personaggi, gare, fotografie e via dicendo. Ho sempre trascurato un po' altri aspetti...sono incappato in un articolo di fondo su Bonomelli che mi era sfuggito. È Marco Cassani che si occupa di lui all'indomani della squalifica a vita inflittagli dalla FIDAL nel 1964. Mi è piaciuto molto...". Anche a noi. Avendo qualche annetto di più dell'Alberto nostro, che allora era un bambino, ci era piaciuto a quei tempi, famelici lettori di atletica. Abbiamo deciso di pubblicare questo scritto di Marco Cassani, a quel tempo redattore capo della rivista «Atletica Leggera», quella non federale, lo diciamo per coloro che ignorano gran parte della pubblicistica del nostro sport. Cassani gestiva su ogni numero (la pubblicazione era mensile) un piccolo spazio chiamato «Punti di vista». Questo che abbiamo riscritto ad uso del lettore (se invece volete leggerlo in orginale doppio click sull'immagine) apparve a pagina 3 del numero di dicembre 1964. Commenti? Ce ne sarebbero parecchi, limitiamoci ad almeno uno, chiedendoci: ma è cambiato qualcosa se compariamo il 1964 e il 2018? La nostra risposta è NO. E non parliamo solamente di sport, ma di quello che sta avvenendo in questo Paese che ha perduto la trebisonda. Lo sport non vive in una campana di vetro, in aureo isolamento, ma è una delle tante sovrastrutture della società. Negli ultimi giorni il tema della libertà di stampa ha appassionato coloro che vogliano ancora vivere in una società libera, democratica, pluralistica. Libertà di stampa è il primo comma di una libertà superiore: quella di opinione, di poterla esprimerla, anche con oratoria aggressiva. Bruno Bonomelli di questo era colpevole, come scrive Cassani: «urla e tuona». Ma esprimeva dei concetti, sempre sostenuti dalla solida impalcatura della cultura, della conoscenza, dei numeri. Non raccontava favolette, come ci capita di ascoltare da decenni. E, per di più, sempre le stesse. Se poi uno ha la voce flautata e soporifera, e invece uno urla e tuona, ditemi, incide sulla qualità di quello che dice? Se quello che dice è corretto, sensato, vero, la discriminante la fanno i decibel? E poi, ognuno avrà pure anche il diritto di usare il tono di voce di cui madre natura lo ha dotato. Bruno Bonomelli era condannato per le sue idee che scarnificavano la realtà atletica, ma veniva, subdolamente, condannato per...il suo tono di voce pavarottiano. Ma come sempre, sono le idee che fanno paura, non il tono della voce.

Intanto ringraziamo Zanetti Lorenzetti. Magari ne riparleremo.

Fuori il ribelle!

Il ribelle è stato punito. Volevano fustigarlo sulla pubblica piazza o bruciarlo come eretico, ma la legge lo vieta, quindi lo hanno gettato alle ortiche togliendogli ogni diritto a rivestire cariche federali. Bruno Bonomelli è tanto popolare nell'ambiente atletico che non si può trascurare quanto gli è accaduto. È un attaccabrighe, uno scostumato che urla e tuona una volta al giorno per regola e, se non lo fa, la sera non si addormenta, insomma non è certo un modello di gentilezza. Quando lo incontri ti aspetti sempre che ti investa dando sfogo  alla sua oratoria, amico o nemico che tu sia. Bruno Bonomelli scrive, è regolarmente iscritto all'albo dei giornalisti e alcuni suoi scritti - ad esempio quegli studi statistici che pubblica ogni anno su «Sport Italia» - sono di straordinario valore. Altri, quelli che stampa sull'organo di un partito, sono polemicamente violenti, apertamente critici verso la Federazione e trasportano in un clima di battaglia la passione con la quale  egli ha prodotto tanti studi statistici e storici da far impallidire qualsiasi altro giornalista dell'atletica.

E Bonomelli non si limita a scrivere. Agisce creando società ed atleti, organizzando gare, preparando all'atletica i frutti di tutta la sua esperienza. Da giovane correva i «millecinque» con la maglia del G.U.F. Milano; oggi insegna matematica dalle parti di Brescia e ben sa che in atletica, come altrove, le cifre hanno sempre ragione. Quindi non potete mai dar torto a Bonomelli se non per il suo modo di esprimersi. Alla base sta sempre delle verità.

Ecco spiegato perchè la F.I.D.A.L. non vuole più Bonomelli, lo ha radiato a vita da ogni carica, dimenticando che allontana così uno dei pochi dirigenti attivi che ancora esistono nell'ambiente. La F.I.D.A.L., come noi, dovrebbe conoscerlo bene e sapere cosa c'è sotto la scorza dura dell'uomo. Ma la F.I.D.A.L. non ammette critiche. Alla F.I.D.A.L. ci sono i gnometti cattivi, quelli che si nascondono nel bosco, escono solo al buio, hanno la voce flebile, hanno paura della verità e la nascondono con manipolazioni e bugie. Bruno Bonomelli, tuonante e con quei baffoni, li impauriva tutti!