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Albano e Ferruccio Albanese, “eredi” del ginnasiarca Gregorio Draghicchio (1) Stampa

Se pensavate di esservi liberati di Alberto Zanetti Lorenzetti, allora vi siete sbagliati. Dopo le belle storie personali della famiglia Legat, di Augusto, o Auguste alla francese, Maccario e dell'estroverso marciatore Donato Pavesi, eccolo scavare le vite di padre e figlio, Ferruccio e Albano Albanese, prodotti di quello sport giuliano-dalmata in cui l'amico Alberto è ormai solidamente ferrato dopo ricerche oltre che ventennali e la pubblicazione di due fondamentali lavori storici sullo sport di quelle terre. Liberarci di lui? Il cielo ci fulmini, ne avessimo, non tanti, altri cinque o sei come lui mangeremmo gli gnocchi in testa a tutte le paludate e professorali congreghe cultural-sportive. Noi abbiamo Alberto, teniamocelo stretto. E intanto leggiamo la prima parte (saranno due in tutto) di questo suo nuovo scritto sulla famigliola Albanese, di Parenzo, che ha lasciato orme pesanti nello sport italico.

Rassegna fotografica. Nelle prime due immagini Albano impegnato nelle sue specialità preferite:110 ostacoli e salto in alto. In basso a sinistra, con la maglia nella Nazionale in occasione dell'incontro Italia-Svizzera a Firenze il 4 luglio 1948. Nell'ultima a colori, Albano e Marcella Skabar nel 2003 a Trieste durante un convegno organizzato nella sede della Associazione Atleti Azzurri d'Italia: in primo piano la piccola maglia confezionata dalla madre di Albano in onore del ginnasiarca Gregorio Draghicchio

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Albano Albanese è stato uno dei principali personaggi dell’atletica giuliano-dalmata che visse il dramma dell’esodo. Era nato a Parenzo il 20 dicembre 1921 e rivelò le sue doti atletiche fra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta proponendosi come un’ottima promessa del vivaio istriano (assieme a Egidio Pribetti di Pola, Ovidio Bernes di Visignano e ai gemelli Pellarini di Capodistria) approdando a guerra finita alla «Giovinezza» di Trieste dove ebbe modo di affinarsi nelle gare in pista e nei concorsi. Eccelleva nei 110 ostacoli e nell’alto, specialità che gli portarono 11 titoli italiani (nove nelle barriere alte e due nel salto in alto), 14 maglie azzurre fra il 1947 e il 1954 e un quarto posto agli Europei di Bruxelles dove, nella gara ad ostacoli, mancò per un solo decimo il bronzo. Vinse ai Giochi internazionali universitari disputati a Parigi nel 1947, edizione che fu caratterizzata da violente polemiche che portarono ad un incidente diplomatico per l’annunciata presenza di atleti della Federazione universitaria triestina, una organizzazione facente capo all’UCEF, allora definito il “CONI jugoslavo di Trieste”. Il tutto si risolse grazie all’intervento dell’ambasciata italiana che ottenne il ritiro della delegazione filo-titina.

Ho conosciuto Albano in una giornata di caldo da record nel giugno 2003 a un convegno organizzato a Trieste dalla locale Associazione nazionale atleti azzurri d’Italia, diretta per 32 anni dalla giavellottista Marcella Skabar (sei presenze in Nazionale fra il 1957 e il 1962), ed al quale erano presenti anche la “penna” storica del canottaggio italiano Ferruccio Calegari ed esponenti del mondo sportivo e giornalistico giuliano. Non potevamo non parlare di Brescia, dove aveva vissuto – provenendo dalla «Giovinezza Sportiva» di Trieste – una breve ma intensa stagione, quella del 1950, ricordando che con Armando Filiput  la neonata società di Sandro Calvesi (Atletica Brescia1950, di cui abbiamo ricordato i settant'anni di vita proprio pochi giorni fa) presentava il meglio dell’ostacolismo nazionale, accennando poi alla doppietta ai Campionati nazionali – dove si era aggiudicato il titolo dei 110 ostacoli e del salto in alto – e l’amarezza della «medaglia di legno» (chiamano così il quarto posto) ai Campionati d’Europa, disputati nello stadio Heysel di Bruxelles, dove erano presenti due storici e statistici che hanno ispirato il nostro coinvolgimento in atletica, Roberto Quercetani e Bruno Bonomelli. A fine stagione Albano avrebbe ceduto al richiamo delle sirene di Gallarate, che già avevano ammaliato Tonino Siddi e che avrebbero accalappiato poco dopo anche Filiput, creando un club di enorme capacità agonistica.

Di carattere molto estroverso, con una abbronzatura che metteva ancora più in evidenza la vitiligine della pelle, spesso era protagonista di vicende che davano sfogo alla sua esuberanza. Soffriva di reumatismi che curava uscendo in mare con l’imbarcazione dell’amico fraterno Ottavio Missoni (che nella pesca – a detta di Albano – era meno bravo della moglie Rosita), indossando una muta per fare immersioni che definiva di gran beneficio. Ci hanno raccontato di sue incursioni a seriose riunioni con alla mano razioni di fritto misto di mare.

Ma torniamo al nostro convegno. In quell’occasione non arrivò con materiale commestibile, ma con un cimelio che Marcella avrebbe più che volentieri esposto nella sua mostra permanente allestita nello stadio Nereo Rocco: una microscopica maglietta confezionata per lui dalla mamma con ricamata la scritta “G. Draghicchio – Parenzo”. Il nome fa riferimento al parentino Gregorio Draghicchio, il ginnasiarca, cioè uno dei padri della ginnastica non solo triestina, ma addirittura italiana che fu eccellente istruttore, divulgatore di tecnica, risultati e statistiche attraverso pubblicazioni, e colonna della ginnastica dai sentimenti irredentistici che lo portarono ad assaggiare le imperial-regie galere. Il prof. Gregorio aveva lasciato anche un gran bel ricordo a Milano dove era andato a insegnare ai ragazzi dalla canotta blu della Pro Patria, quelli che si presentavano al grido di “zan zan le belle rane”, motto di battaglia ripreso anche da Enzo Jannacci in una delle sue inconfondibili canzoni comico-surreali.

Draghicchio lasciò Milano poco tempo dopo l’attentato a Umberto I al Concorso ginnastico di Monza (aveva avuto un colloquio con il sovrano qualche attimo prima che Bresci riuscisse nell’intento regicida), tornando nella sua Parenzo dove trasformò il sodalizio di canottaggio “Adriaco” nella “Forza e Valore”, vera e propria società di ginnastica. Morì improvvisamente a soli 51 anni. Atleti e dirigenti vollero che il suo nome fosse aggiunto a quello del sodalizio che divenne “S.G. Forza e Valore Draghicchio”, evento che ci riporta alla piccola maglietta.

Sono passati ormai dieci anni da quando, il 5 dicembre 2010, Albano ci ha lasciato.

(segue)