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Volodymyr Holubnichy, uno dei più grandi marciatori di sempre, si è fermato Stampa

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Alle 14 del 16 agosto, ora di Kyïv, se ne è andato Volodymyr Holubnichy, uno dei più grandi marciatori di ogni tempo. La telegrafica notizia ci è arrivata poco dopo per email dal nostro caro amico Alex Kolenko, che per alcuni anni ha lavorato, con competenza e abnegazione, al Dipartimento Competizioni della Federatletica mondiale.

Volodymyr Stepanovych Holubnichy era nato in Ukraina, nella città di Sumy, il 2 giugno 1936, aveva quindi compiuto da poco 85 anni. Nacque in un periodo tremendo della vita del suo Paese. Nel 1932 e '33 Stalin, per punire il popolo ukraino che odiava profondamente, varò una politica agraria che ridusse alla fame molte regioni dell'Unione, non solo l'Ukraina, provocando milioni di morti, gli storici parlano di almeno cinque, di cui quattro solo ukraini. Fu un vero e proprio atto di genocidio, da paragonarsi a quello degli ebrei nei campi di sterminio nazisti. Si hanno testimonianze di atti di cannibalismo. Gli ukraini hanno chiamato questa tragedia della bestialità umana «Holodomor», ossia sterminio per fame. L'Ukraina è sempre stata definita «il granaio d'Europa»...

Nel 1936, quando ancora gli effetti di questo stermino erano evidenti e in pieno periodo (37-38) di purghe staliniste, nacque Volodymyr, il quale dovette anche subire per due anni (41-43) l'occupazione delle truppe naziste, arrivate fino a Sumy sull'onda dell'Operazione Barbarossa. Le truppe nazi massacrarono oltre centomila ukraini, in gran parte ebrei, nella tristemente famosa località di Babi Yar, un lungo e stretto burrone vicino alla città. Nonostante tutto il giovanetto Volodymyr (noi usiamo la scrittura ukraina, come ci ha insegnato Kolenko) crebbe di sana e robusta costituzione, proporzionato, circa 180 centimetri per 77-78 chilogrammi, un uomo forte insomma.

Abbiamo trovato le prime «orme» sportive del giovanotto nel 1953, aveva diciassette anni: 45:29.2 sui 10000 metri in pista; come raffronto: Pino Dordoni l'anno prima aveva marciato in 46:02.2. Che fosse predestinato ad una grande carriera lo si capì ancor meglio nel 1955, quando a Kyiv, il 23 settembre, stabilì -1ora 30:02.8 - la miglior prestazione mondiale sui 20 km (non era primato mondiale, non esisteva ancora la assurda pensata di riconoscere come primati veri e proprii risultati fatti su strada). Volodja aveva diciannove anni.  La 20 km era stata giusto introdotta  per la prima volta nel programma olimpico dei Giochi di Melbourne '56, ma lui non potette andare: una brutta infezione al fegato, forse eredità delle schifezze che aveva dovuto ingurgitare da ragazzino, lo mise in pericolo di vita. Ci vollero un paio d'anni per riprendersi, ma nel 1958 strabiliò tutti marciando, in pista, in 1:27:05. Fece ancora meglio nel 1959, sempre in pista, a Odessa: 1:26:13.2, tempo però mai riconosciuto per qualche stranezza burocratica. Forte di questi risultati in patria, avrebbe dunque marciato sulle strade romane nei Giochi del 1960, lungo le quali raccolse l'alloro della vittoria, non senza fatica, contrastato da due che parlavano inglese: l'australiano Freeman e il britannico Stan Vickers, campione europeo due anni prima a Stoccolma.

Dopo i Giochi Olimpici romani, la carriera di Volodja segna tanti altri successi e medaglie. Campionati d'Europa a Belgrado 1962: terzo; in quelli del '66 a Budapest secondo; fino a vincere il titolo continentale nel '74 a Roma, la sua città portafortuna; all'epoca aveva già compiuto 38 anni. In mezzo, il tempo è scandito dalle Olimpiadi. Tokyo 1964: terzo dopo il britannico Ken Matthews e il tedesco est Lindner; Ciudad de Mèxico 1968, primo, al termine di un finale incredibile. Brevemente ve lo raccontiamo: l'ukraino entra primo nello stadio, dietro di lui il connazionale Nikolay Smaga, sembra doppietta sicura. Improvvisamente entra un messicano, José Pedraza, che i suoi connazionali chiamavano «El Sargento Pedraza», quindi notissimo fra la gente. Il sergente inizia una volata...da far impallidire Tommie Smith, il grande velocista americano, supera Smaga e va ad avvicinarsi a Holubnichy, che mette in salvo la vittoria per un secondo e sei decimi. Le tribune ribollono, i messicani sono scatenati, furiosi, il Sargento contribuisce con una sceneggiata come se lui fosse stato il defraudato. E i giudici? Beh, quelli...si erano calato il sombrero sugli occhi e stavano facendo la siesta. Tre note: Holubnichy e Smaga si erano sempre allenati con lo stesso coach, Vasyl Polyakov; el Sargento Pedraza conquistò la prima medaglia olimpica (in atletica) per il suo Paese; un italiano solo in gara, Pasquale Busca, dodicesimo. Quarta Olimpiade, München 1972: Volodymyr secondo incastrato fra quattro tedeschi di Pankow, vinse Peter Frenkel, quinto ancora Smaga, ottavo Vittorio Visini. Montreál '76, il congedo: finì settimo, fra due italiani, Armando Zambaldo e Visini. Un soddisfazione: fu ancora il migliore dei sovietici.

Abbiamo posto la domanda a Sandro Damilano: chi sono stati i migliori «ventisti» di sempre? "L'ukraino il più grande di tutti, per medaglie e longevità agonistica sempre ad alto livello. Subito dopo metto l'ecuadoriano Jefferson Perez e mio fratello Maurizio. Altri grandi ma più staccati nel giudizio il messicano Daniel Bautista, il tedesco Reimann, il sovietico Michail Ščennikov, lo spagnolo Francisco Fernández, pur con la riserva per i grossi problemi che ha avuto".

Chiudiamo con una considerazione tutta nostra. Pensate le contraddizioni della vita: dall'essere vicini a morire di fame per scellerata scelta di un dittatore a ricevere alcune delle più alte onorificienze dell'URSS, di quello stesso Paese: l'Ordine della Bandiera Rossa del Lavoro, la Medaglia al Valor Civile dell'Unione Sovietica e la Medaglia al Valore del Lavoro. La terra ti sia lieve insieme a tutte le tue medaglie, Volodja.