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Giuliano Gelmi riavvolge il nastro e alla moviola ci racconta le Universiadi 1955 Stampa
Martedì 24 Maggio 2022 00:00

Per essere precisi: quella manifestazione universitaria internazionale non si chiamava ancora Universiade. Prenderà questa denominazione due anni più tardi, nel 1957, edizione assegnata a Parigi Colombes. Nel 1955, a San Sebastián, Spagna, si chiamava ancora Settimana F.I.S.U., Fédération Internationale des Sports Universitaires; aveva preso questo nome nel 1949 con la edizione ospitata a Merano. L'importanza di cambiare i nomi...per non cambiare niente. Sembra di sentire, adattato da noi, Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, duca di Querceta, marchese di Donnafugata (vedere, e magari rileggere, «Il Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Noi invece siamo chiamati qui a leggere il vivido racconto di Giuliano Gelmi, mezzofondista veloce (800 - 1500) degli anni '50. Di lui abbiamo già avuto modo di scrivere, nel contesto proprio della stagione 1955. Il signor Giuliano è il depositario di tanti ricordi, ha una vasta collezione di fotografie, si coglie nelle righe da lui scritte l'amore per quella attività sportiva lontana nel tempo ma vicina nel cuore. E del suo vissuto spesso ci fa partecipi. Il che ci onora e ci arricchisce.

Stavolta ci racconta della trasferta a San Sebastián, che da quelle parti - Comunità Basca - chiamano anche Donostia. Bella città accoccolata attorno alla splendida Playa de la Concha, perchè proprio una conchiglia pare. Regione di robusti appetiti, se siete inappetenti state lontani, non fa per voi. Terra tormentata, spesso bagnata di sangue in passato (e speriamo sia davvero passato), ma anche terra di straordinari cuochi conosciuti urbi et orbi, il capostipite Juan Mari Arzak, persona deliziosa di una simpatia contagiosa, che fu ambasciatore della cucina donostiarra. La taverna la aprirono nonni o bisnonni di Juan Mari nel 1897, dunque, caro Giuliano, quando tu arrivasti  lassù, nel Nord, Arzak esisteva già. Chissà, magari con i tuoi amici universitari ci sei pure stato a bere un sidro basco, o un txakoli, vino bianco di grande acidità e di pochi gradi, per cui se ne beve... e poi pasa lo que pasa, come dicono da quelle parti.

Ma parlavamo d'atletica, e all'atletica torniamo, per lasciare spazio a quanto ha scritto per noi Giuliano Gelmi, atleta, studente alla Alma Ticinensis Universitas. Lo ringraziamo della simpatia, diremmo stima, di cui ci gratifica. Caro amico, continua pure a scavare nella tua lucidissima memoria, per noi i tuoi ricordi sono doni preziosi.

Spirito di squadra è anche far da paravento ad un compagno col mal di pancia

Quando trovo l’appiglio giusto mi si apre un libercolo pieno di aneddoti e di ricordi di carattere variopinto: sportivo, affettivo, amichevole, che mi meraviglia e che, allo stesso tempo, mi rende compiaciuto della mia memoria. Racconto oggi una storia vera che più vera di così non si può e che risale all' estate 1955. Erano in calendario internazionale i campionati universitari che noi definivamo impropriamente campionati mondiali che si svolgevano ogni due anni e che nel 1953 si erano tenuti a Dortmund, ai quali io e Bagatta avevamo creduto e sperato di poter partecipare. Aspettativa delusa, forse  giustamente. In quella estate ero fra i primi nazionali della classifica tanto dei 1500 quanto degli 800 metri,  correvo per il CUS Pavia, dove frequentavo la Facoltà di chimica. In base ai miei risultati fui convocato per la partecipazione ai  campionati F.I.S.U. che si tenevano a San Sebastián.

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Ecco la squadra di atletica sulla scalinata del convento che ospitava noi, ma anche i tennisti, fra i quali spiccava la romana Silvana Lazzarino, la miglior giocatrice italiana prima di Lea Pericoli, e la squadra di pallacanestro con uno dei più alti (si va da 2.02 a 2.04, secondo chi scrive) cestisti nazionali del momento, Antonio "Nino" Calebotta, nato a Spalato, che all'epoca giocava nella Virtus Bologna, quell'anno campione d'Italia; alla squadra bolognese Calebotta ha dedicato la parte più importante della sua lunga carriera. Fu grande protagonista anche ai Giochi Olimpici di Roma '60 (Italia alla fine quarta), famosi i suoi canestri «in gancio». È morto nel 2002.

In questa foto, sono riuscito a identificare quasi tutti, con qualche comprensibile incertezza: accovacciati da sinistra, Gianfranco Fantuzzi, Giovanni Lievore, Angelo Tagliapietra, Giulio Latini (forse, non sono sicuro), Wolfango Montanari; in seconda fila: Mario Paoletti, Sergio D’Asnasch, Valerio Colatore, un ostacolista (dovrebbe essere Ezio Nardelli, ndr), poi ci sono io, Franco Canattieri, Piero Monguzzi; fra quelli sopra ricordo il romano Giuseppe "Peppino" Cuccotti (allenatore responsabile, fu ottimo triplista per i suoi tempi, fine anni '30-inizio anni '40), Mario Colarossi e poi altri accompagnatori. La divisa era quella classica italiana: giacca blu, pantaloni grigi, scarpe nere, cravatta scura e camicia bianca. Eravamo belli ed eleganti! Per la partenza il ritrovo era stato fissato alla stazione ferroviaria di Genova dove un treno in sosta ci aspettava.

In attesa della partenza, vivemmo una situazione imbarazzante. Franco Canattieri, saltatore in lungo, originario della provincia di Parma, accasato alla rampante società piacentina Calzaturificio Diana, accusò dolori lancinanti al ventre, evidentemente si trattava di una colica intestinale bella e buona. Ci preoccupammo perché il  povero piangeva dai dolori; purtroppo trattandosi di un treno in sosta i servizi igienici erano bloccati. Allora, pur di alleviare la sofferenza di Canattieri, ci organizzammo: ci mettemmo fra due binari e creammo un  «cerchio umano» intorno a lui, cercando di nasconderlo agli eventuali spettatori che potevano passare in quello sconveniente momento. Il risultato fu eccellente, quasi da applausi. Poi finalmente il treno  ebbe l’autorizzazione di partire alla volta di San Sebastián.

Una bellissima città sul golfo di Biscaglia nella zona basca dei Pirenei. Il convento che ci ospitava era accettabile; ci trovammo con brasiliani, tedeschi, inglesi, giapponesi e ovviamente spagnoli: una esperienza veramente interessante. Unico aspetto negativo: il vitto, che non era del tutto soddisfacente per noi italiani. Per fortuna, qualcuno che ne sapeva più di noi suggerì, guarda caso, un ristorante italiano. I brasiliani tenevano allegra la comitiva, la  cittadinanza manifestava compiacimento e gradimento per l'evento sportivo; passeggiando sul lungomare eravamo osservati e oggetto di manifesta bella accoglienza.

Fui protagonista di un simpatico siparietto. Salutando una fanciulla, capii che la simpatia poteva  essere reciproca e nonostante la lingua (basca non spagnola) ci si poteva intendere; cercai di  essere gentile, non invadente, persona perbene. E così conobbi Maria del Carmen, una graziosa  fanciulla, educata, dai modi gentili : c’erano le condizioni per l’inizio di un "qualche cosa". Maria del  Carmen venne allo stadio ad assistere alla manifestazione che per la cittadina era un avvenimento  importante. Ci frequentammo in quei giorni, nel limite del possibile, ma poi arrivò il momento della partenza: unabbraccio, un bacio, lo scambio degli indirizzi, e qualche vana promessa. Però fu molto bello, da non poter dimenticare. Tanto che ancora me lo ricordo, uno degli incontri platonici che ti  rimangono nel cuore. L’atletica mi ha lasciato anche questa emozione, ne sono orgoglioso, e un poco rammaricato.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 25 Maggio 2022 06:38