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Sapreste dire il nome del vincitore della prima corsa campestre dell'umanità? Print
Friday, 23 December 2022 00:00

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Le copertine delle due edizioni dell'opera di Bruno Bonomelli «Corsa campestre, scuola di campioni»

 

Per poter rispondere al quesito del titolo, anzitutto, sarebbe indispensabile conoscere quale fu il primo cross dell’umanità. Ce lo insegnò il maestro Bruno Bonomelli (maestro con emme iniziale rigorosamente minuscola, vista l’orgia di maestri con la consonante pomposamente maiuscola) nel primo capitolo di un libricino stampato a Verona nel marzo del 1966, che aveva intitolato «Corsa campestre scuola di campioni». Il maestro elementare (come sua moglie Rosetta) di Rovato ne era l’autore insieme a Emanuele Carli, un altro dei primi storici dell’atletica italiana (due opere basilari su Dorando Pietri e su Adolfo Consolini), a nostro giudizio troppo trascurato. Il libro ebbe poi una seconda edizione, riveduta e ampliata, nel 1974, con l’aggiunta di un corposo capitolo sulla preparazione alla corsa firmato dal prof. Enrico Arcelli.

Bonomelli fu sempre il divulgatore battagliero delle corse campestri, che la Federatletica nazionale era riuscita perfino, in certi anni (1938-1939), a vietare agli atleti di primo livello, prona com’era alle vetuste teorie del medico Goffredo Sorrentino, propugnatore della inutilità se non della nocività dell’attività atletica invernale. In parole semplici, l’inverno era fatto per riposare non per allenarsi. Non è un caso che la nostra atletica tanto nel cross come nelle gare in pista coperta d’inverno è arrivata buonissima ultima. Tanto per dire: in Inghilterra il primo campionato nazionale di cross si tenne nel 1877, in Francia nel 1889, negli Stati Uniti nel 1890. Noi? Nel 1908. E nel mese di giugno…

Qual fu dunque la prima corsa attraverso i campi dell’umanità e chi ne fu il vincitore? Chi ha curiosità, voglia e tempo, si legga il primo capitolo di quel libro del 1966. La lettura prenderà qualche minuto di più che non l’alzata del pollice del «Mi piace» ma migliorerà la conoscenza storica, e non solo sportiva.

Da Troia ad Ostia…sulla rotta di Enea

La prima corsa a piedi, ricordata e descritta da Omero, cronista eccezionale, con abbondanza di particolari, è la sfida, avvenuta sotto le mura di Troia, fra Antiloco, Ulisse e Aiace d’Oileo, in occasione dei giochi funebri di Patroclo.

Fuori causa fin dalle prime battute è – diremmo oggi – «l’allievo» Antiloco, il più veloce e resistente dei giovinetti Achei. La lotta si restrinse quindi ad un duello fra Ulisse e Aiace. Questi sta per avere la meglio, ma Minerva interviene in aiuto del beniamino Ulisse e fa scivolare Aiace su un mucchio di letame, proprio in vicinanza del palo d’arrivo, mettendolo definitivamente fuori causa.

Ulisse vince così un cratere d’argento, Aiace un toro, mentre Antiloco, invece del prestabilito mezzo talento d’oro, riceve da Achille un premio doppio a consolazione della sconfitta.

La presenza del mucchio di letame dimostra «ad abundantiam» che il terreno non era stato preparato artificiosamente e che quella descritta nel libro XXIII dell’Iliade è una corsa campestre.

Fra tutte le gare atletiche moderne, che la specialistica distingue in corse, salti e lanci, le prime sono le uniche che si svolgono senza l’aiuto di alcuna attrezzatura. Potrebbero, e lo si è già visto nell’antichità, essere disputate da atleti perfettamente nudi.

Esse devono perciò essere ritenute come la simbolizzazione agonistica delle attività motorie dei nostri pelosi antenati; che, spinti da una fame rabbiosa e arretrata, rincorrevano le tenere gazzelle attraverso le praterie e nei sottoboschi, scavalcando, quando ve n’era bisogno, torrentelli e melmose valli, salendo e scendendo con il cuore in gola brevi ed erte scarpate.

Non ci vuole molta fantasia per identificare perciò nella corsa campestre la naturale palestra di ogni attività atletica dell’uomo; precedente ad ogni altro sport o giuoco.

Seguiamo ora passo passo quello che è stato il divenire della corsa campestre in Italia; non certo perché questa prova sportiva abbia avuto i suoi natali nel nostro paese, ma perché ciò ci permetterà di constatare quanto contrastato e difficile sia stato il cammino per l’affermazione di un principio che apparentemente sembrerebbe ovvio.

La notizia del cross arriva in Italia

Siamo nel luglio del 1898: a pagina 89 del supplemento mensile della Gazzetta dello Sport (numero abbinato di giugno-luglio) si può leggere sotto il titolo «Cross Country»:

«La traduzione letterale è corsa attraverso (cross) la campagna (country). Il cross-country fra i ludi sportivi che passarono ultimamente la Manica per attecchire sul continente, è il più geniale ed il più suggestivo, come quello che prepara il giovinetto a diventare marziale precocemente, cioè soldato prima dell’arruolamento, abituandolo a vincere mediante progressivo allenamento pedestre tutte le difficoltà ed accidentalità del terreno; sfidare le intemperie e l’inclemenza del tempo. La stagione agonistica del cross-country s’apre a novembre; in Inghilterra ed in Francia a partire da quell’epoca le associazioni scolastiche ed i club atletici iniziano l’allenamento dei loro corridori in attesa delle grandi gare, aspettate con tanta impazienza; il campionato interscolastico per i primi ed il cross-country nazionale per i secondi.

Tutte le domeniche mattina, con qualsiasi tempo, sotto la pioggia o sulla neve, i ferventi delle corse a piedi, gli aspiranti al campionato, si ritrovano in certi punti adatti, fuori delle città ed in certi luoghi vasti e boschivi, che permettano l’allenamento e che presentino e che presentino qualche ostacolo o accidentalità di terreno, favorevoli a questo genere di sport.

Al comando via dello starter la massa dei corridori si disloca ed i più svelti e nervosi si slanciano in breve alla testa dei compagni, sulle tracce dei ritagli bianchi, rossi, azzurri, gialli, or inabissandosi dentro un burrone, or arrampicandosi sopra un muro come lucertoloni bizzarramente screziati, or sollevando una nuvola di polvere su d’una carrettiera battuta».

Il pezzo, non firmato, prosegue dettando le principali regole per l’organizzazione delle gare e l’allenamento dei corridori; sulla distanza delle competizioni, variabile fra 10 e 16 chilometri.

Infine chiude con l’elencazione dei capi di abbigliamento necessari: maglia fina di lana o di cotone, pantaloni corti al ginocchio fatti di tela, scarpe da corsa, oppure sandali da bagno di mare, calze ad uso scozzese.

Come si vede nulla è sostanzialmente cambiato da settanta anni a questa parte; e se non fosse per quei pantaloni al ginocchio e per quei sandali da bagno di mare, verrebbe la tentazione di includere alla lettera quel pezzo del 1898, evidentemente tradotto da qualche giornale inglese, nel manuale del perfetto crossista o «pratista» come dicono i puristi del 1966.

Comunque il «pezzo» della Gazzetta non scosse l’ambiente peninsulare di fine e principio di secolo.

Non che mancassero in Italia fra il 1898 e il 1904 i cultori delle corse di lunga lena. Basterà infatti ricordare che uomini come il torinese Edoardo Oderio, detto Lampionato, il milanese Giacinto Volpati, grande assertore del professionismo, il romano Pericle Pagliani, si fossero avvicinati notevolmente, nei loro tentativi di primato sulla mezz’ora, ai 9 chilometri.

Ettore Ferri di Bologna, il 22 novembre 1903 sulla pista del velodromo di Genova, nel corso di una eccezionale sfida contro Volpati ed alla presenza di più di diecimila spettatori, aveva addirittura coperto nell’ora km. 17,459. Ciò era avvenuto quindici giorni dopo il trionfale successo del primo Giro di Milano, finito appunto con la vittoria di Ferri su Martinelli e Volpati.

Gli organizzatori di quei tempi preferivano però dedicare la loro attenzione alle gare su strada (classiche la Milano-Monza ed il Gran Premio Lazio), ai giri ed alle traversate di città che attiravano lungo il percorso migliaia di spettatori. Tra l’altro non era ben chiaro che il «cross» fosse una competizione prettamente invernale.

Ma i risultati delle corse campestri che venivano a getto continuo dalla Francia e soprattutto dall’Inghilterra, non potevano non suggestionare anche l’ambiente italiano, aperto allora a tutte le novità sportive.

Last Updated on Friday, 23 December 2022 21:41