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Indietro nel tempo: Sergio D'Asnasch ci racconta "King Alfred" Rizzo Print

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Due rari documenti. A sinistra una foto scattata da Bruno Bonomelli sul prato dell'Arena di Milano con tre protagonisti del mezzofondo italiano: Alfredo Rizzo, Gianfranco Baraldi e, di spalle, il tecnico Carlo Venini. L'altra immagine ci rimanda all'opuscolo di fine anno della Atletica Riccardi, anno 1959 - 1960; da questa pubblicazione abbiamo ripreso l'articolo di Sergio D'Asnasch che vi proproniamo qui di seguito.

Fu il primo atleta della Atletica Riccardi, milanesissima, anno di fondazione 1946, a vestire la maglia azzurra e fu anche il primo, sempre sotto il colore della inconfondibile maglia sociale verde , a partecipare ai Giochi Olimpici. Era il 1956, novembre, lontanissimi dalla Madunina, a Sydney, DownUnder. Sergio D'Asnasch, di lui parliamo, velocista, quell'anno aveva corso i 100 in 10.6 e i 200 in 21.8. L'Italia poteva schierare anche un bella staffetta, che contava su Galbiati, Ghiselli, Gnocchi, Lombardo, la Federazione decise di mandarla laggiù, e sfiorò la medaglia: quarto il nostro quartetto con pari tempo (manuale), 40.3, a quello dei tedeschi; i tempi elettrici, conosciuti in seguito attraverso ricerche di storici del nostro sport, diedero 40.34 per i "crucchi" e 40.43 per gli "spaghettari". Come sempre servivano quattro titolari più due riserve, così furono aggiunti D'Asnasch e Colarossi. Il nostro corse i 200, superò la batteria, la quarta, secondo dietro a un grande sprinter come Andy Stanfield, argento in finale dopo il "torello del Texas" Bobby Morrow. Ai "quarti" (il terzo) affondò: sesto e ultimo. Nella vita extra blocchi di partenza Sergio D'Asnasch ha esercitato la professione di giornalista prevalentemente alla agenzia nazionale A.N.S.A.; sposò Luciana Veschi, nuotatrice, e poi brillante regista alla R.A.I., che le affidò per 15 anni la regia della "Domenica Sportiva". Coloro hanno avuto modo di conoscerla la ricordano come persona rigorosa e professionista serissima. Alcuni dei nostri soci hanno avuto molte occasioni di collaborare con lei alle grandi manifestazioni di atletica.

Riferito, a scottadito, qualche cenno su D'Asnasch, passiamo a raccontare dell'atleta del quale, qualche giorno fa, abbiamo ricordato lo speciale compleanno: Alfredo Rizzo, atleta che ha scritto parecchie belle pagine delle vicende del nostro mezzofondo. Abbiamo avuto da un amico che possiede parecchi documenti d'epoca copia di un articolo pubblicato nell'opuscolo che, per tanti anni, ha dato conto dell'attività degli atleti dell'Atletica Riccardi. Stagione 1959 - 1960, copertina dedicata ad Alfredo, all'interno  uno scritto è firmato proprio da Sergio D'Asnasch. Alfredo e Sergio erano grandi amici. Un valore che condividono fin dal titolo.

Amici e Atleti, di Sergio D'Asnasch

Questo è Alfredo Rizzo: grande amico, grande atleta, grande matto. Si può mettere in dubbio? Chi ne parla, credo lo conosca meglio di chiunque altro, perchè con lui nato all'atletica in quella repubblica anarchica che i professori di educazione fisica chiamano «Campo Sportivo Giuriati», con lui vissuto all'interno di molti stadi e fuori. Entrambi abbiamo cominciato a fare atletica nella maniera più consona al nostro carattere, campionati studenteschi, difesa dei colori della scuola. Ovvero: un paio di giorni di oneste e giustificatissime vacanze. Per Alfredo, correre era un po' una comica. I suoi polmoni e le sue gambe gli permettevano di fare una fatica ben relativa: poteva infilare, di primo acchito, risultati che ad altri costavano mesi di imballatura. L'allenamento arrivava perciò a considerarlo, al massimo, un diversivo alla vita quotidiana, una cosa seria no: credo che per lui avrebbe voluto dire cadere un po' nella banalità.

Eppure, io a volte penso: nel '52, si vincevano i 1500 alle Olimpiadi finlandesi con 3'45"; il 3'49" di Beccali era un mito irraggiungibile per i nostri mezzofondisti di allora e chi scendeva sotto i 4' era incensato come un eroe, potendo vincere il titolo nazionale con mezzo rettilineo di vantaggio. Se ad Alfredo fosse allora nata in mente l'idea che l'atletica potesse essere presa anche sul serio, nessun traguardo gli sarebbe stato precluso. Basta pensare a cosa sarebbe stato sparato allora il suo record attuale, che è del resto ben lungi del limite delle sue possibilità.

È però giusto dire che, sia pure si parli di pochi anni fa, erano tempi diversi per il nostro sport. Finito era da tempo l'aureo periodo volontaristico prebellico, ed ancora il grande padre CONI non aveva cominciato a strizzare l'occhio benevolo ai diseredati figli «dilettanti». L'efficienza dello «sport nella scuola» aveva ben poco «comfort» da offrire, oltre al paio di giorni di vacanza: nessuno aveva mai visto una tuta, ed un paio di scarpette chiodate erano strumenti da elite. Spartanamente, il professore di educazione fisica apostrofava la turba:«Avete tutti una canottiera bianca?...Bene qualla sarà la maglia ufficiale della scuola!». Ed anche nelle società si combatteva all'arma bianca. Ancora nessuno aveva inventato i lauti pascoli delle Fiamme Oro. Un paio di scarpette erano usate da molti piedi. Ottenerne un vecchio paio per un «giovane leone» era un alto e sudatissimo riconoscimento.

Che Alfredo considerasse correre i millecinque unicamente come un hobby da gentleman non era pertanto cosa da giudicare sacrilega. Certo, rimane sempre il fatto che il mio amico aveva un bel cranio! Cosa normalissima era per lui venire a gareggiare, dopo aver passato la notte a soffiare in un tubo di ottone, da lui chiamato pomposamente «cornetta», insieme ad altri «five» dalla faccia tinta di carbone, che «facevano tanto Luisiana».

Una primavera poi, erano riusciti a catechizzarlo alquanto e a fargli fare alcuni allenamenti. Sennonchè alla vigilia delle gare scomparve e, dopo ampie ricerche, dovettero andarlo a ripescare nella vasca che aveva messo su alla Fiera di Milano per le dimostrazioni subacquee, ed in cui Alfredo aveva pensato bene di farsi ingaggiare a bagnomaia.

Questo era il mio amico Alfredo Rizzo, detto «King Alfred»: polmoni, gambe e testa...da campione! Quello che vedete in maglia azzurrza, mentre nell'olimpo scandinavo sta facendo il babau agli dei del mezzofondo appartiene ad un altro capitolo: Alfredo Rizzo, ovvero «della metamorfosi».Insieme al «King», i protagonisti di questo capitolo sono altri due miei amici: Renato Tammaro e Gianni Caldana. Ambedue hanno in comune una dote elevata al massimo grado. Quella cioè, di saper ottenere tutto da un atleta. Un tempo pensavo fosse ipnotismo, ma poi mi sono persuaso che loro amano con tanta forza l'atletica, da essere capaci di elettrizzare di tale passione chiunque entri nel loro campo magnetico. Tammaro riuscì, un giorno, a farmi finire i 1500 di un decathlon, persuadendomi a rientrare in pista ogni qual volta ne uscivo per sbracarmi a boccheggiare sul prato. Caldana, recuperatomi con una gamba scassata, mi convinse che ero in grado di andare alle Olimpiadi, ed infatti ci andai.

Alfredo, forza della natura, era riuscito a resistere agli attacchi separati di questi due profeti. Quando però questi due si unirono fu la fine per la carriera di «King Alfred», suonatore di «New Orleans», ed il principio per quella del campione italiano dei 1500 Alfredo Rizzo.