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L'oro della medaglia olimpica non sbiadisce mai: Ugo Frigerio PDF Stampa E-mail

Era il 13 luglio 1924. Quel giorno...Prima di raccontarvi, brevemente, quel giorno, meglio chiarire che stiamo facendo un passo indietro nel tempo, meglio nel calendario: tutti d'accordo che il 13 viene prima del 21? Lo diciamo a scanso di puntualizzazioni, chiarimenti, e via cantando. Il motivo. Domenica scorsa, abbiamo ricordato il 21 luglio 1952, giorno nel quale Pino Dordoni, l'atleta che più di ogni altro ha onorato la spesso bistrattata disciplina della marcia (le ultime decisioni della I.A.A.F. sono tangibile ennesima prova della sudditanza ai capricci del Comitato Olimpico che, da sempre, odia queste prove), donò all'Italia un nuova medaglia d'oro. Poi però ci siamo anche detti: se non sbiadisce l'oro conquistato da Pino, non sbiadisce neppure quello degli altri. Breve, elementare ricerchina, e abbiamo messo in fila le date dei successi olimpici degli atleti italiani. E ne è venuto fuori che, calendario alla mano, il primo giorno, diciamo così, utile per andare in gioielleria fu il 13 luglio 1924. Non sarà neppure superfluo aggiungere che faremo la stessa cosa per tutti i nostri campioni olimpici.

Dunque, era il 13 luglio 1924. Quel giorno...Sapete che cosa facciamo? Piuttosto che far scrivere uno scolaretto, lasciamo che quel che accadde ve lo racconti il diretto interessato, che si presentava così:«Sono un autentico milanese della città di Sant'Ambrogio...la città che fu culla e roccaforte degli Sforza e dei Visconti. E per essere più esatto dirò anche che venni al mondo nella cara e bella Milano il 16 settembre dell'anno 1901. Mio padre, Enrico, e Giuseppina Gussetti mia madre erano fruttivendoli a domicilio, e tenevano negozio in Via Tivoli». Carta d'identità di Ugo Frigerio, cui dobbiamo aggiungere la data della sua scomparsa, il 7 luglio 1968, a Garda, sulla sponda veronese del lago Benaco, paese da cui si prende la strada per salire a Costermano che diede i natali ad Adolfo Consolini. Stiamo trascrivendo brani dal libro «Marciando nel nome dell'Italia», scritto di suo pugno dal signor Ugo nel 1934.

Il suo racconto di quei Giochi Olimpici, gli ottavi dalla rinascita, nello Stadio di Colombes, circondario di Parigi, inizia così:

"Le Olimpiadi si aprirono il giorno 5 luglio, e la prima giornata fu dedicata alla cerimonia per l'apertura dei giuochi: giuramento e sfilata degli atleti. Mi scelsero alfiere della squadra italiana, ed ebbi l'onore di rappresentare tutta la Patria nel simbolico nostro tricolore...Quella che ci riguarda è la settima giornata, che cadde precisamente il giorno undici, in venerdì...meno male che restò scongiurato il pericolo di un «tredici», in cotal giorno della settimana.

"La prima gara cui presi parte, che era soltanto una eliminatoria, e alla quale si può attribuire fino ad un certo punto un carattere decisivo, venne rinviata di due giorni per una serie di incidenti clamorosi. La gara era la classica prova sui 10 mila metri di marcia, e i concorrenti furono divisi in due batterie> la prima si svolse il giorno 9, e si distinsero bravamente Pavesi e Bosatra che si classificarono per la finale. Pure nella stessa giornata doveva seguire la seconda, nella quale dovevo incontrarmi coi più gagliardi marciatori del mondo, che la...sorte aveva riservato alla seconda batteria. Ma quel giorno, anzi quella sera avvennero cose da «Mille e una notte», che mandarono a monte ogni cosa, impedendo lo svolgimento dell'eliminatoria...

"Il marciatore austriaco Kuhnet, velocissimo anche se non invidiabile nello stile, aveva preso il primo posto e marciava ad una velocità oraria di circa 14 cilometri (fantastica!), quando un autorevolissimo personaggio in tenuta da chirurgo in sala operatoria, gli si avvicinò e gli battè una mano sulla spalla. L'originale medico, che era un commissario giudice di marcia, avvertì il suo cliente che era incorso purtroppo nella squalifica, dichiarando di averlo sorpreso in un passo di corsa.

"Kuhnet fa il diavolo a quattro, il pubblico fischia e urla: tutto tempo e fiato sprecati. Il marciatore è condannato: deve ritirarsi. Il giudice olimpico è sacro e inappellabile.

"Per questo...falso passo, La Federazione austriaca fece i suoi doverosi e giusti passi, reclamando la riammissione dell'atleta escluso; e pare che l'avesse anche ottenuta. Ma il giudice non si scompose, e fu irremovibile; prima minacciò, poi rassegnò le sue dimissioni dalla carica. Con lui furono lealmente solidali tutti i suoi colleghi. L'affare prese una cattiva piega...e si dovette nominare una nuova giuria.

"Finalmente, dopo due giorni di serrato dibattito in seno al Consiglio Direttivo Olimpionico, i marciatori della seconda batteria sui diecimila metri possono partire; e nel loro rango figura naturalmente anche Kuhnet, riammesso al posto d'onore.

"Oltre al velocissimo Kuhnet ho a che fare col sudafricano Mac Caster, che per poco non ha fatto crollare il record del mondo sulla distanza. Posso però serenamente contare sulla certezza di non dar noie al...chirurgo mentre è in sala d'operazione, e questo è già qualcosa. Con me sono pure Valente, Pavesi e Bosatra. Al campionissimo Mac Caster fa seguito la brillante pariglia Schwab-Goodwin, svizzero il primo e inglese il secondo.

"Il sud-africano, chiuso come in una guaina nella sua maglia verde, attacca; e per i primi tre giri egli ha una trentina di metri di vantaggio sul mio gruppo. questo distacco iniziale, di nessuna importanza tecnica e tanto meno strategica, deve aver diversamente impressionato personalità italiane, come sarebbe a dire l'on. Lando Ferretti e Arnaldo Fraccaroli. Li sapevo entrambi, con altri ottimi connazionali sul luogo del grande duello; spettatori appassionati, sinceri, affezionati. Incontrandomi anzi l'on. Lando Ferretti con lo sguardo, proprio quando forse pensava, rammaricandosi, al mio svantaggio nei primi giri, subii l'impressione che volsse chiedermi, con quegli occhi dubitosi: - Dio mio, che accade? - Lo tranquillizai subito, accelerando. Alla fine del terzo giro Mac Caster era ingoiato dal mio gruppo.

"Goodwin, che mi sta appena innanzi, sfoggia uno stile poco eccellente...ho una sete d'inferno...il sud-africano non mi dà requie un secondo...al decimo giro, stufo di essere caricato, scatto quasi rabbiosamente, ma sorrido tosto alla folla che m'indirizza una ovazione poderosa quanto spontanea...L'inglese Clarke invece mi attaccò audace e baldanzoso, e al sesto chilometro riuscì a passarmi. Lo lasciai smaniere un pochino...quindi lo assaltai deciso...il traguardo era mio...

"Nella finale ebbi nuovamente a lottare, oltre che coi nominati leoni della marcia, anche con Pavesi, Clermont (francese) e Hinckle americano degli Stati Uniti, che per coraggio e ...voracità sono strettissimi parenti dei primi.

"Il combattimento fu realmente accanito, e ognuno fece tutto quanto potè per conquistare la maggior gloria. Ma molti ebbero troppa fretta...Il senso della misura in rapporto all'energia è innegabilmente una magnifica formula...Passiamo al mio arrivo che fu davvero trionfale per lo spettacolo che offrì tutto l'immenso pubblico che affollava il maestoso stadio, sorto ad applaudire con fanatico entusiasmo. Dico con sincerità che, a osservare dal mezzo del campo quel favoloso vivaio umano plaudente con tanta convinzione e fracasso, mi veniva il capogiro e anche una gran voglia di piangere. Appena arrivato levai il braccio per fare il saluto romano; e Lunghi, la «vecchia gloria» dell'atletismo nostro, mi abbracciò per primo...ma il nostro bel tricolore non ascende. Al giudice inglese di marcia, presidente della giuria...salta in mente d'incolpar me d'aver corso «per ben trentacinque centimetri» come disse tutto angosciato il povero «Guerin Sportivo». E precisamente (ah, che disdetta!) nell'atto di immergere la mia spugna in un secchiello del prato. Meno male che la mattina seguente un giornale francese, riferendosi alla ridicola baggianata, scrisse:«La accusa fa ridere gli iniziati ai misteri della marcia, che piace solo nello stile unico e inimitabile di Ugo Frigerio».

"Scendono intanto le tenebre e ogni cosa copre il manto della notturna pace di Colombes."