Mondiali Militari 1951: storia di un corazziere che amava molto la pastasciutta |
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Mercoledì 02 Novembre 2022 00:00 |

Questa fotografia fu scattata a Brescia il 1° novembre del 1949. In quella data si disputò una riunione internazionale organizzata da Sandro Calvesi. Beppone Tosi svetta su tutti con la sua stazza, sotto di lui Consolini, il quale vinse con un bel tiro di 53,70 (ventitreesima gara della stagione), Tosi fu secondo con 51,78 (ventiquattresima gara dell'anno per lui). Venivano da una competizione a Valdagno e, il 4 novembre, avrebbero gareggiato a Bergamo: sempre primo Dolfo e secondo Beppone. Si riconoscono anche la campionessa olimpica (quattro ori l'anno prima a Londra) Fanny Blankers-Koen (sulla sinistra, un po' piegata) e, davanti a lei, Gabre Gabric, con un nastro bianco nei capelli. La ragazza con folta capigliatura, ultima dietro al gruppo è la bresciana Marisa Rossi, che quel giorno stabilì il primato personale e provinciale con 12"1 sugli 80 metri ad ostacoli
Ritroviamo attraverso le tante storie che vorremmo raccontarvi il sentiero che era partito dai Campionati Internazionali Militari dell'anno 1951, rassegna degli atleti che, a diverso titolo, erano considerati «stellati», i quali avevano esibito la loro bravura allo stadio romano delle Terme, l'unico che allora funzionava nella Capitale. Ci siamo occupati nelle settimane passate di due vincitori italiani in quella occasione: il velocista calabrese Gesualdo Penna e il martellista reggiano Ruggero Castagnetti, con l'aggiunta del modenese Silvano Giovanetti, secondo nella gara inventata dai forzuti fabbri irlandesi. Ce ne restano due: il discobolo Giuseppe Tosi e l'astista Giulio Chiesa, che pure vinsero il titolo mondiale militare. Iniziamo con «Beppone», l'omone formato Obelix che resta sempre una delle più belle figure della storia dell'atletica italiana, per carriera sportiva ma soprattutto per umanità e simpatia. Un giornalista che lo intervistò per la rivista «Corriere Militare» raccontò, dopo averlo visto mangiare, che "mangiava razioni di pasta inverosimili". Fra poco ci, e vi, affideremo a quanto scrisse il nostro socio fondatore Marco Martini, in un libro dedicato alle figure dei due Dioscuri del lancio del disco, Consolini e Tosi: «I campioni della simpatia», mai titolo fu più azzeccato. Il più estroverso dei due sicuramente il novarese di Borgo Ticino dove nacque il 25 maggio 1916. Un gran pezzo d'uomo Beppone: 120 chilogrammi distribuiti su 1,92 d'alterzza, un torace da 120 centimetri, scarpe numero 48. La storia cha andiamo a raccontarvi è una parte sicuramente meno conosciuta di Tosi: atleta negli stadi di atletica, corazziere nella vita. Detto questo lasciamo scivolare fluenti le parole di Martini.
L’aspirante corazziere
"Estroverso, aveva bisogno di comunicare, e in una delle tante sere trascorse all'osteria con gli amici davanti a un buon bicchiere di Grignolino, esternò i suoi sogni di lasciare il borgo natio; udì tutto un conoscente «particolare». Questi era un corazziere in pensione, tornato a Borgo Ticino a coltivare la terra. Il pensionato gli consigliò di fare domanda per svolgere il servizio militare nei Carabinieri, e che da quel trampolino di lancio poi, grazie al suo fisicaccio, sarebbe potuto passare nello squadrone dei Carabinieri a cavallo deputati a fare speciale guardia al Re: i Corazzieri. Seguì il consiglio e dopo un po’ fu chiamato a Torino per la visita medica che superò, venendo poi chiamato a iniziare la sua vita di allievo carabiniere esattamente il 1° aprile 1935. Svolto l’apprendistato da recluta, Giuseppe venne poi trasferito a Roma allo squadrone dei Carabinieri a cavallo, sito in via Legnano. Non trascorse molto tempo che, nel maggio del 1936, riuscì a coronare il suo sogno con il trasferimento nella caserma dei Corazzieri, in via XX Settembre; qui pensò inizialmente solo a fare il suo dovere, e nel 1937, terminato il periodo da allievo, divenne ufficialmente un corazziere.
“(…) sulle prime Giuseppe si dedicò a scherma e pallacanestro…fu notato dal maresciallo Angelo Bovi, fratello di quel Carlo che avviò al disco Consolini…Bovi chiese di poter reclutare Tosi nella squadra di basket della S.S. Parioli…e così il futuro grande discobolo vestì la maglia azzurra di quella società nel team di pallacanestro.
“L’allenatore della squadra di atletica della Parioli, Renato Magini, si accorse delle potenzialità di lanciatore di quel ragazzone…e insistette per poterlo avere a disposizione sui campi di atletica. Lo avviò al getto del peso. Tosi fece il suo esordio agonistico il 29 aprile 1939…Magini lo avviò anche al lancio del martello (prima gara l’11 giugno) ma non al disco, specialità in cui Tosi scese in pedana solo per esigenze di squadra…”. Tirò due volte: il 30 luglio a Roma (38.42) e il 20 agosto a Pisa (38.12), sempre per il Campionato a squadre della Gioventù Italiana del Littorio. Magini rimarrà la guida di Giuseppe per tutta la carriera, con le «incursioni tecniche» di Oberweger, ovviamente. “Sui due grandi campioni (Consolini e Tosi, n.d.r.) ha aleggiato sempre, sia da rivale quando ancora gareggiava, sia da commissario tecnico della Nazionale, sempre disponibile a sostenerli e aiutarli, la figura poliedrica di Giorgio Oberweger…”, scrisse Martini.
Il corazziere
Il quale Martini titolò proprio così l’ultima parte della biografia di Tosi sul libro «I campioni della simpatia».
“C’è un capitolo della carriera agonistica di Tosi che è completamente separato dalla vicenda comune vissuta insieme al discobolo di Costermano, ed è quello che riguarda le competizioni militari. Due furono le facce di questa esperienza vissuta da Peppone. Una riguarda l’aspetto interno al Corpo dei Corazzieri, con le partite di basket, pallavolo, le gare a squadre di palla a sfratto, gli inizi e gli allenamenti da lanciatore condivisi con altri atleti-corazzieri…L’altra faccia riguarda le competizioni militari internazionali, che fiorirono come mai prima nel dopo-guerra, svolgendo un ruolo assai importante nell’ambito della ripresa di pacifiche relazioni internazionali dopo il conflitto mondiale. Tutto ebbe inizio grazie alle autorità militari statunitensi che nel 1944, sia per concedere un po’ di svago a ragazzi rimasti per lunghi mesi sotto pressione, sia per amalgamare meglio truppe assai eterogenee quali quelle alleate, organizzarono tornei sportivi interni ai vari contingenti che si concludevano poi con campionati interforze. Nel 1944 i Giochi Interalleati, per quanto riguarda l’atletica si disputarono il 15 e 16 luglio a Roma, e nel 1945 il 26 agosto a Francoforte sul Meno. Mentre la manifestazione del 1944 si svolse a livello puramente individuale, quella del 1945 fu trasformata in scontro tra due blocchi dell’intera presenza alleata in Africa ed Europa, che furano denominati European Theater of Operations (ETO) e Mediterranean Theater of Operations (MTO). Come sempre quando si prova a sconfiggere un avversario, si tentano tutte le vie. L’orgoglio di squadra del gruppo meridionale (MTO) dell’intero scacchiere, per rinforzarsi reclutò il miglior milite italiano, Tosi. I due schieramenti si fronteggiarono con tre atleti contro tre per ogni singola gara, e Tosi vinse con 48,51 sconfiggendo i cinque avversari. Beppone fu prelevato a Roma da un aereo militare e accompagnato a Francoforte dall’allenatore in capo della squadra di atletica MTO, Richard Bahme. In una intervista rilasciata in età avanzata, il velocista-ostacolista Harrison Dillard, che prese anche lui parte ai Giochi Interalleati del 1945 si ricordava ancora che “c’era pure un discobolo italiano, grande e grosso, che credo fosse il primatista del mondo”. Non lo era, ma fa lo stesso: era grande e grosso.
“Il successo dell’esperienza sportiva interalleata post-bellica fornì l’idea per il varo di un organismo sportivo militare duraturo, e non solo temporaneo. Sotto l’egida del Consiglio Sportivo delle Forze Alleate, sorto nel maggio del 1946, nel 1946-47 furono organizzate alcune manifestazioni internazionali militari con la partecipazione anche di rappresentanti di nazioni dell’Europa comunista, ma poi i nascenti problemi politici li indussero a farsi da parte, e il CSFA cessò di vivere. Più tardi però, cogliendo l’opportunità giunta durante gare di schermidori con le stellette, cinque sole nazione europee (Belgio, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Olanda) presero il coraggio a quattro mani e fondarono a Nizza il Conseil International du Sport Militaire (CISM). Era il 18 febbraio 1948, e il 4 settembre dello stesso anno, a Bruxelles, si disputò la prima edizione dei Campionati CISM di atletica leggera.
“La prima intenzione delle alte sfere di questo organismo, con il fine di estendere quanto più possibile pacifiche relazioni nell’intero pianeta, fu quella di coinvolgere altre nazioni. A questo scopo ai Campionati CISM di atletica leggera, pur non essendo l’Italia ancora membro del CISM, fu invitato un atleta italiano (accompagnato da dirigenti con cui iniziarono trattative). La scelta cadde ancora una volta su Tosi. Nel 1950 i Paesi membri erano già dieci (Belgio, Danimarca, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Olanda, Svezia, Turchia), e nel 1951 fecero il loro ingresso, tra gli altri, anche gli Stati Uniti. Peppone fu un fedelissimo di questa manifestazione, a cui teneva moltissimo, e fino a quando gareggiò non mancò mai all’appuntamento (dal 1949 al 1954), vincendo sempre con margini di vantaggio vistosi, come mostra lo specchietto riassuntivo:
1949 |
Bordeaux, FRA |
primo |
51,97 |
1950 |
Pau, FRA |
primo |
51,21 |
1951 |
Roma, ITA |
primo |
49,83 |
1952 |
Copenhagen, DEN |
primo |
49,82 |
1953 |
Bruxelles, BEL |
primo |
49,76 |
1954 |
Tilburg, NED |
primo |
51,17 |
Lasciamo il testo di Martini e aggiungiamo qualche nota relativa all'anno 1951. La gara dei mondiali militari ebbe questo risultato: Tosi 49,83 (altra fonte 49,88), Savidge (Inghilterra) 43,36, Burton (Stati Uniti) 43,14, Fikkert (Paesi Bassi) 42,32, Kitziger (Belgio) 41,56, Turan 40,90. Nettissima la supremazia del nostro, come si vede. Pochissimi giorni dopo il successo militare, egli si aggiudicò, a Milano, il quinto (e ultimo) titolo nazionale: 50,27 per lui, 50,08 per Consolini. A questi due successi vanno aggiunti il titolo di campione inglese, in luglio a Londra con il suo miglior risultato dell'anno, 53,58, e la vittoria, ad Alessandria d'Egitto, il 9 agosto, nella prima edizione (ufficiale) dei Giochi del Mediterraneo, che dominò con un normale 48,49, davanti al greco Nykolaos Syllas. Una nota su questo greco (1.76 di statura!): sesto ai Giochi Olimpici 1936, settimo a quelli di Londra 1948, nono a quelli di Helsinki 1952, subito dietro Tosi, ottavo, per quattro centimetri. |
Ultimo aggiornamento Lunedì 07 Novembre 2022 18:00 |
Gesualdo Penna, poderoso centista, futuro medico: uno scritto di Bruno Bonomelli |
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Lunedì 24 Ottobre 2022 08:19 |

Giurin-giurello, sappiate che non abbiamo copiato il titolo da un articolo di Bruno Bonomelli del 1949 sul velocista calabrese Gesualdo Penna, di cui abbiamo scritto qualcosa recentemente, titolando «Mastro Don Gesualdo…ecc ecc». Confessiamo però che, peccando di scarsa fantasia, ci è venuto di riflesso chiamare l’atleta con riferimento al suo nome di battesimo come il protagonista del famoso romanzo di Giovanni Verga. Il suo Gesualdo di cognome faceva Motta. Noi siamo stati un po’ banali, lo ammettiamo. Pazienza, non vinceremo il Nobel della letteratura, d’altra parte neppure lo scrittore siciliano lo vinse. Facciamocene una ragione.
La invalsa abitudine di sfogliare vecchie carte per cercare di dare un senso a questo sito ci ha fatto inciampare in un ritaglio di giornale con questo titolo «Don Gesualdo laureando in medicina poderoso centista in continuo progresso». Soggetto dell’articolo il velocista di Reggio Calabria, autore quel tal Bruno Bonomelli cui noi ci ispiriamo, giornale «Sport Italia» numero 28 del 12 luglio 1949. Lo riproduciamo tal quale, apprezzando la verve dell’autore che scriveva chiaro, lineare e con un tocco di ironia. Aggiungiamo solo a proposito della misurazione del vento cui fa cenno Bonomelli che di nefandezze su questo tema, in atletica, ne sono state commesse tante, troppe, in tutte le epoche. Anche oggi che pare tutto supertecnologico.
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“Con la facile vittoria conquistata dagli azzurri a Zurigo (non dimenticando che la Svizzera ha una popolazione inferiore alla Lombardia) possiamo considerare chiuso il primo periodo di attività atletica in Italia. Logico quindi che si esaminino ora i risultati che ne sono scaturiti per trarre qualche prima conclusione.
“Nella velocità è apparso quest’anno sull’orizzonte atletico il calabrese Gesualdo Penna, laureando in medicina. Già in aprile egli era stato accreditato di un 10”9, che però aveva lasciato molto scettici. Non che egli fosse uno sconosciuto, ché nel 1948 il futuro medico aveva già corso la distanza nello stesso tempo; ma gli è che nel settore delle corse di scatto le meteore sono assai frequenti. Si sapeva poi che Don Gesualdo, come viene scherzosamente chiamato dagli amici, non era costante nella preparazione, tanto è vero che avendo iniziato a correre nel 1942, aveva poi abbandonato lo sport, facendo una timida riapparizione nel 1947 (11”4). Si attendeva dunque una conferma: essa venne e a Firenze lo studente reggino si fregiava non solo del titolo universitario, ma altresì faceva fermare le lancette del cronometro sul 10”7. I tecnici tentennarono, e pretesero una nuova prova e questa volta in quella Milano che ha fama di avere mossieri e cronometristi cattivissimi. E sull’Arena il 12 giugno si appuntarono gli occhi di tutti.
“Nuovo sbalordimento generale: gli inesorabili sentenziarono 10”5. Ma c’era il vento, si disse, e non si tennero in gran conto le sette partenze false ed il fatto he fra i battuti, ed al terzo posto per giunta, c’era quel Perucconi che dopotutto ha un primato personale di 10”6 ed è più giovane di un anno (Penna è nato a Reggio Calabria il 2-5-1924).
“A proposito poi del vento, ci sia dato osservare che non riusciamo a capire il perché in Italia i tempi delle corse in rettilineo non siano suffragati dal bollettino sulla velocità vento, così come prescrive il regolamento internazionale. Se putacaso Penna avesse corso la distanza in 10”4, come si sarebbe potuto non omologare l’uguagliamento del primato di Mariani senza dimostrare che il vento aveva una velocità superiore ai km 7,200 orari? Bagnando forse l’indice colla saliva?
“Ma Penna non ascolta queste disquisizioni e a Bologna vince le prove veloci del campionato di II Serie (22”0-10”9). La via della nazionale gli si spalanca. Fa una corsettina a Messina, sostiene un paio di esami, ed una settimana dopo a Zurigo non si impressiona, lui laureando, di essere ridiventato matricola internazionale e si digerisce anche Montanari. Il nuovo asso ha una costituzione fisica poderosa (altezza m.1,77, peso kg 68, torace medio cm. 96) ed una potenza veramente esplosiva. Ma le sue attuali partenze non sono che un vorticoso mulinello di braccia e di gambe slanciate in tutte le direzioni, condite da zaffate di terra e di polvere rossa. Occorre quindi che la sua partenza venga disciplinata da precise norme stilistiche e questo è il compito che si assunto Oberweger e che verrà certamente portato a termine negli allenamenti collegiali a Perugia. Vedrete che a fine agosto ed ai primi di settembre, quando egli incontrerà gli americani a Torino, il primato di Mariani subirà un rude assalto. Anche se i maligni dicono che Gesualdo ha le gambe storte”. |
Ultimo aggiornamento Lunedì 24 Ottobre 2022 19:42 |
Ai tempi del Brambilla e del Poggioli, quando cominciavano a volare i primi martelli |
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Venerdì 21 Ottobre 2022 00:00 |

A destra: siamo ai Giochi Olimpici di Amsterdam 1928; posano il vincitore del lancio del martello, l'irlandese emigrato negli Stati Uniti Pat O'Callaghan, giocatore di rugby che aveva scoperto l'atletica da pochi mesi, e il tarchiato modenese Armando Poggioli, quarto a meno di settanta centimetri dal terzo. A fianco, un disegno scozzese di epoca vittoriana, che riproduce probabilmente un eroe della saga dei Fenians che lancia il martello da fabbro durante una festa popolare. Si noti la testa dell'attrezzo di forma sferica
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Qualche giorno fa abbiamo cercato di intrattenervi sulle storie personali di due atleti che hanno avuto un ruolo nella narrazione del lancio del martello nel nostro Paese. Bella specialità fatta di forza, agilità, equilibrio, esercizio per uomini forti ma non solo forti, ma di grande coordinazione muscolare. Una delle prove dell’atletica leggera che affonda le sue origini in terre come l’Irlanda, le varie Nazioni inglesi, i Paesi nordici, dove si praticava con altri esercizi di forza (il lancio della pietra o del tronco d’albero) durante le feste popolari. Chiunque abbia sfogliato qualche libro di storia non può aver scordato il frequente dipinto che ritrae il barbuto e forzuto re Enrico VIII d’Inghilterra nell’atto di gettare uno strano artefatto formato da un manico sormontato da una palla di ferro. Era un antenato del martello che si sarebbe poi lanciato sui campi sportivi ed è arrivato, rivisto ed aggiornato, fino ai giorni nostri. Un cammino non facile, perché è un esercizio che non è andato mai a genio ai padroni del vapore sportivo. Spesso si è cercato di farlo fuori, con la scusa, non del tutto infondata, che è pericoloso, altre volte lo si è relegato fuori dallo stadio principale per salvaguardare il sacro manto erboso; ultimamente questo manto tende sempre più ad essere sintetico, e così, secondo noi, il lancio del martello verrà bandito per sempre dagli stadi principali. Noi proponiamo di far lanciare il martello all’interno degli edifici degli assessorati allo Sport, e anche all’interno degli eleganti uffici che ospitano tante inutili strutture sportive. Terroristi? Forse. Dimenticavamo: con la scusa della protezione, c’è anche chi ha fatto dei begli affari costruendo delle vere e proprie cattedrali attorno alla pedana del lancio, imponendole in tutti gli stadi per poter concedere l’omologazione.
Torniamo a casa nostra. Mentre ci occupavamo di Silvano Giovanetti (sì, amici premurosi che volevate farci le pulci: Giovanetti, una sola «enne» non due) ci siamo imbattuti in uno scritto di tal Bruno Bonomelli, maestro elementare bresciano (che è il titolo cui teneva di più), nel quale ci raccontava una bella favola, del tipo «c’erano una volta in un Paese chiamato Italia degli uomini grandi e grossi che lanciavano una strana cosa chiamata martello…». Su una pubblicazione di quei tempi – 1958 – si chiamava «Sport Italia» e veniva stampata dalla società SISAL, quella del Totocalcio, l’orco Bonomelli si era conquistato un grande spazio per parlare di atletica. Incredibile ma vero: sulla rivista del calcio che attraverso il concorso Totocalcio sosteneva tutto lo sport italiano e dava anche una bella fetta di quattrini al nostro vorace Stato. Alla fine di ogni stagione atletica, Bonomelli stendeva i bilanci dell’atletica leggera italiana, disciplina per disciplina, corredando la parte scritta con grafici, analisi statistiche, ecco, appunto, queste erano statistiche non compilazioni.
Il 24 giugno 1958 su «Sport Italia» apparve il bilancio del lancio del martello. In questa occasione, oltre alle liste e ai grafici, Bonomelli raccontò aneddoti e personaggi. Riproduciamo il testo.
«Quei pochi che in Italia si occupavano anteguerra (n.d.r. della Prima guerra mondiale) di atletismo, conoscevano il lancio del martello dai risultati ottenuti all’estero che ogni tanto si leggevano sulle gazzette sportive, e fra quei pochi ve n’era qualcuno che lo conosceva per averlo visto alle Olimpiadi di Londra e di Stoccolma. Nessuno però credette che fosse un esercizio che potesse appassionare i nostri atleti; anzi sembrò ai più una branca dell’atletismo di un esotismo tale che non avrebbe mai trovato fra noi i cultori».
“Così scrive Emilio Brambilla in quel volume edito da Corticelli e pubblicato a Milano nel 1929 e che noi abbiamo già citato varie volte. Quando però il lettore avrà dato uno sguardo alla cronologia ufficiosa del primato del mondo non potrà non accorgersi che invece il lancio del martello è il padre di tutti i lanci moderni. Nel 1860 si disputavano infatti competizioni e con un regolamento che non si discosta di molto da quello odierno.
“Nel 1891 il lanciatore venne fatto prigioniero di un circolo del diametro di 7 piedi; fermo restando i due principi: a) peso dell’attrezzo non minore di 16 libbre; b) lunghezza totale dell’attrezzo (palla più filo) non superiore a 4 piedi.
“Ed eccoci al 1920. Emilio Brambilla, allora membro della F.I.S.A., pensò di inserire nei campionati nazionali il lancio del martello. Non trovò però nei colleghi né entusiasmo né consensi. Cosicché egli, per poter realizzare la propria idea, dovette non solo pensare a trovare l’attrezzo – il che era allora assai difficile – ma dovette provvedere anche alla dotazione dei premi. La gara ebbe luogo sul campo dello Sport Club Italia, alla Baggina, e venne vinta da Berardi, vecchio e noto ginnasta della Fortitudo di Bologna, che lanciò l’attrezzo come Dio volle, precedendo altri tre atleti. Fu quella di Berardi la prima misura che si iscrive nell’albo d’oro dei primati italiani. Oggi il Berardi è Presidente dell’Automobile Club di Bologna”.
Nella graduatoria di fine anno 1920 oltre ai cinque del Campionato italiano della Federazione Sport Atletici compare il nome di Armando Poggioli, di cui vi abbiamo già detto qualcosa, il quale, congedato, riprese l’attività sportiva e si impegnò soprattutto nel martello. Forse avremo occasione di riparlarne. |
Ultimo aggiornamento Venerdì 21 Ottobre 2022 19:57 |
Mondiali Militari 1951: Castagnetti e Giovanetti si prendono a martellate |
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Domenica 16 Ottobre 2022 00:00 |

Le due immagini che corredano questo testo sono prese dal volume «Atletica a Reggio Emilia-100 anni di storia», autore Gianni Galeotti. Nella foto a sinistra il podio dei Campionati Internazionale Militari del 1951; Silvano Giovanetti, Ruggero Castagnetti, il vincitore, e il francese Laurans. A destra, Beppone Tosi e Ruggero Castagnetti: il corazziere vinse sei titoli militari consecutivi di lancio del disco fra il 1949 e il 1954
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“Emilia sdraiata fra i campi e sui prati” canta Francesco Guccini fin dal 1990, in quello splendido omaggio musicale a questa regione così varia, variegata e variopinta. Ci sono estensioni di quei campi e di quei prati che gli uomini, fossero discendenti dei Liguri, degli Etruschi o dei Galli, avevano l’abitudine di prendere a martellate, in senso figurato. Forse in origine era un martellone come quello del nerboruto fabbro Cûchulainn, chiamato «il fabbro dell’Ulster», eroe nei Giochi Gaelici Oenach Tailten, di cui scrisse il nostro Marco Martini in un prezioso libricino artigianale intitolato «L’atletica leggera nell’antica Irlanda».
Ci sono stati alcuni decenni in cui nell’area geografica, quella meravigliosa terra piatta padana che nella calura estiva evoca certe visioni sognanti e rarefatte di Vincent van Gogh, habitat (dove probabilmente si installarono i Boi, una gente di origine gallica) che include le propaggini contadine di Mantova, Reggio Emilia, Modena, Carpi, Formigine, Brescello, Correggio, crebbero giovanottoni che piroettavano su un cerchio di cemento e, al finale di saltelli e di vorticosi giri (allora erano tre, poi divennero quattro con l’evoluzione della tecnica elaborata dai grandi lanciatori sovietici), rilasciavano la palla di ferro attaccata ad un filo pure di metallo. Indiscusso capostipite di quella razza chiamata «martellisti» fu Armando Poggioli, nato a Modena nel 1888, il quale, come s’usava nello sport a quei tempi, primi anni del Novecento, si esercitò in numerose e diverse discipline: fu marciatore, nuotatore, ginnasta, podista, sollevatore di pesi e lottatore. Noi dell’atletica lo conosciamo soprattutto come lanciatore di martello. «Uomo forte e semplice», come lo descrisse il prof. Nando Ponzoni, galantuomo emiliano, che di lanciatori di martello ne ha allenati decine.
Adesso riannodiamo il filo che avevamo dovuto interrompere nei giorni scorsi per occuparci di tristezze. Torniamo ai Campionati Internazionali Militari che si svolsero allo Stadio delle Terme, a Roma, nell’ottobre 1951. Delle quattro vittorie degli «stellati» nostri (stellette militari, non stelle della guida gastronomica Michelin, da cui ormai siamo perseguitati) una venne dal lancio del martello. Che, anzi, ci regalò addirittura una doppietta. Vittoria di Ruggero Castagnetti, secondo Silvano Giovanetti: il primo di Reggio Emilia, il secondo di Carpi, terra padana.
Ruggero Castagnetti, nacque nel 1920. Era poco più che un ragazzo, quando nel 1937, vinse i campionati provinciali di getto del peso: 11,16. Lo abbiamo ritrovato negli stessi Campionati nell’anno 1940: primo nel peso con 11,14 e nel disco con 36,56. Più o meno a quell’epoca, Ruggero era allievo alle Fiamme Gialle, e i suoi lanci del disco non erano male. Il 18 giugno 1939, allo Stadio Mussolini di Torino, Campionato nazionale a squadre di Prima Divisione (cronaca sul bollettino federale firmato nientemeno che dal dott. Bruno Zauli), lo vide il finanziere Carlo Bovi, laziale di Velletri trasferito per servizio a Verona, dove disciplinò la innata forza del giovane Adolfo Consolini. Il maresciallo lo osservò sulla pedana del disco; il diciannovenne Ruggero fu terzo con 33,45, dopo Oscar Cereali (37,24) e Carnielli (35,00). Bovi vide in Ruggero un potenziale ottimo lanciatore di martello e lo indirizzò a questa specialità. E i risultati non mancarono: nel settembre del 1941 vinse due titoli ai Campionati della Gioventù Italiana del Littorio, peso con 12,76 (decima misura nazionale dell’anno) e il martello con 46,52, quarto nella graduatoria dopo Taddia, Giovanni Oretti, di Capodistria, e Vladimiro Superina, di Fiume. Nello stesso anno, venne inquadrato professionalmente nella carriera di finanziere. Ebbe una bella stagione nel 1942: vestì la maglia azzurra e nella riunione internazionale di Berlino superò i 50 metri: 50,88 era la terza misura italiana di sempre dopo Michele Venanzetti (primo italico a buttare la palla con filo oltre i 50 metri) e Taddia. Ma c’era la stramaledetta guerra: mobilitato, venne destinato a Vólos, in Grecia, la città che aveva dato i natali al grande pittore italiano Giorgio De Chirico. Fatto prigioniero dai nazisti, Ruggero fu deportato in un campo di concentramento vicino ad Amburgo, da dove fu liberato dagli inglesi.
Nel 1945, chiusa la macelleria della guerra, riprese l’attività sportiva a Reggio Emilia; finì la stagione al secondo posto, ebbe davanti solo Taddia. L’anno dopo ritornò alle Fiamme Gialle. Una carriera lunghissima la sua, supportata da un fisico eccezionale, non grosso ma potente. Dal 1941 fino al 1955 fu sempre fra i primi dieci in Italia (eccezione il 1944, in campo di prigionia non erano appassionati di lancio del martello…, e il 1954, quando fu solo 23esimo). Nel 1956 chiuse ancora al tredicesimo posto; nel ’58 era lì vicino ai 50: 49,34. Sei volte in Nazionale, non vinse mai il titolo italiano, la sua carriera cozzò contro quella dell’Adone ferrarese, di Bondeno, Teseo Taddia, che era suo coetaneo. Le sue soddisfazioni più belle furono i quattro titoli mondiali militari consecutivi: 1950-51-52-53. Nella edizione del 1951 fu anche sesto nel lancio del disco con 39,69 (41,65 il suo migliore quall'anno). Il suo lancio più lungo 51,16, in una riunione nazionale a Torino, il 3 settembre 1949, la sua miglior annata. Passione per lo sport tutto, gareggiò nello sci, nel canottaggio, nel tiro a segno. Ma la montagna era il suo grande amore:”…scalò tutte le cime del Monte Rosa, raggiungendo otto volte la più alta, i 4560 metri della Punta Gnifetti…”. Lo raccontò il nostro socio Gianni Galeotti nel libro «Atletica a Reggio Emilia-100 anni di storia». Ruggero Castagnetti ha chiuso la sua vita a Varese, nell’agosto del 2007.
Silvano Giovanetti ce lo facciamo raccontare dal prof. Nando Ponzoni, autore del libro «Sessant’anni di lancio del martello a Modena», edizione 1985 che ampliava quella del 1974 «Appunti per la storia del lancio del martello a Modena», e che si apriva con una presentazione di Luciano Fracchia, socio fondatore del nostro Archivio. Nando e Luciano erano grandi amici.
Scrisse Ponzoni:” Silvano Giovanetti, nato a Carpi il 22 maggio del 1929, iniziò a praticare l’atletica leggera anche per merito del signor Nicolini, appassionato dirigente della Società sportiva «La Patria», che lo sollecitò ad iscriversi e a partecipare all’attività del sodalizio sportivo locale. Nel 1947 Giovanetti si accostava all’atletica dedicandosi al lancio del peso e del disco; l’anno successivo fu avviato al lancio del martello, specialità per la quale dimostrava una spiccata attitudine; l’allenava il signor Battini, il quale si avvaleva della consulenza del bravissimo Armando Poggioli, impiegato presso la manifattura tabacchi di Carpi. I progressi furono inizialmente rapidi e Giovanetti vinse i titoli nazionali di categoria; nel 1950, con metri 47,90 si classificò al settimo posto della graduatoria nazionale della specialità”.
Aggiungiamo al testo di Ponzoni qualche nota frutto della consultazione di vecchie e malandate carte di quegli anni. 1947: mentre Giovanetti iniziava, nelle liste italiane di fine anno compariva il nome di un atleta che era salito sul podio (secondo) ai primi Campionati d’Europa, Torino 1934: Fernando Vandelli, altro modenese, classe 1907, ancora capace di un lancio di 42,44, a quarant’anni. Il Battini citato nel testo di Ponzoni dovrebbe essere Igino (o Iginio?), pure lui martellista. 1949: a Carpi c’era una vera e propria nidiata di giovani che tiravano il martello. Allora le categorie non erano determinate dall’età, ma dalla destrezza nello specifico esercizio sportivo: c’erano tre Serie, e gli atleti erano suddivisi in esse. Prendiamo la graduatoria dei Terza Serie: terzo Danilo Baracchi (40,46), quarto Silvano Giovanetti (39,93), sesto Jaures Bonaretti (38,04), settimo Battini (37,94). In testa, ben lontano, un gigante fiorentino dell’A.S.S.I. Giglio Rosso Firenze, Avio Lucioli (47,59), poi il milanese Adolfo Sacchi (41,40). Gli emiliani di Carpi trionfarono anche a Trento, in settembre, ai Campionati di Terza Serie: primo Giovanetti 38,71, secondo Bonaretti 38,04, terzo Baracchi 37,72. Nel 1950, salì di categoria e vinse il titolo dei Seconda: 47,90, a Torino, settimo della stagione.
“L’ascesa dell’atleta carpigiano – citiamo ancora Ponzoni – continuò negli anni successivi ed i suoi risultati tecnici lo classificarono nei primissimi posti della graduatoria nazionale di specialità…(dal 1956 in poi) nei tre anni che seguirono Giovanetti non ebbe competitori e fu sempre primo nella graduatoria nazionale; conquistò il titolo di campione italiano a Bologna nel 1957…l’anno successivo migliorò tre volte il record italiano…”. Raccontiamolo in po’ più in dettaglio questo 1958. Quell’anno era tesserato per il G.S. Calzaturificio Diana Piacenza, e proprio in questa città iniziò la stagione: 54,70 il 19 aprile. La settimana dopo, stessa pedana, perse da Lucioli (passato intanto al Fiat Torino), al terzo posto quello che, in futuro, sarà il successore del carpigiano, Manlio Cristin, nato a Tempio, provincia di Sassari, ma tesserato per il C.R.D.A. della Marina Militare di La Spezia. Durante la stagione Giovanetti le buscherà altre volte da Lucioli (5 a 2 nei confronti diretti). Se per caso non credete che il lancio del martello fosse un affare quasi privato di modenesi e carpigiani, leggete questa. Fase regionale del Campionato di società a Parma, il 10 maggio: primo e secondo Giovanetti e Tavernari modenesi, terzo Zampieri ferrarese, quarto Serafino Ansaloni modenese, quinto Nadalini carpigiano, sesto Pollastri modenese, settimo Luciano Ansaloni modenese, ottavo Oddone Mora carpigiano, nono Fini modenese. E se non vi basta: undicesimo, con 26,47, Alieto Rontini, Edera Forlì, che entrerà nel Consiglio nazionale della Federazione, essendo presidente Gianni Gola.
“Era d’estate…”, canterà Sergio Endrigo qualche anno dopo. 1950: d’estate, pieno luglio, il nostro omone si presenta a Forlì, al Campo Scuole, dove si gareggia per i Campionati regionali, «giornata calda, leggero vento» informa la «rosea». Al terzo lancio Silvano centrò il primato e aggiunse una manciata di centimetri a quello del suo predecessore: 59,50 il nuovo, 59,17 il vecchio. Torino fu la sede del sedicesimo confronto fra le squadre nazionali di Italia e Svizzera, primo nel 1928, allo stadio di Colombes, si trattò di un triangolare con i francesi. Il 26 luglio sulle pagine de «L’Unità» Bruno Bonomelli presentò l’evento e scrisse:”…si vorrà vedere se Giovanetti è superiore o meno a Lucioli; e se tutti e due si decidono una buona volta a valicare l’arco dei 60 metri”. E fu la volta buona. Ancora «Bibis» il giorno dopo:” Giovanetti, forse un po’ sbilanciato, con tiri di una sorprendente velocità, portava l’attrezzo a metri 60,40 né il carpigiano perdeva la carica nervosa…Il secondo tentativo egli lo ha fatto inviando l’attrezzo quasi sull’impronta lasciata dal primo, ma un po’ più in là (m. 60,86). Ringalluzzito dal duplice successo, Giovanetti gira sempre più velocemente, ma si ha l’impressione che l’uscita dell’attrezzo avvenga un po’ in anticipo sul dovuto. Ecco la sua serie completa: 60,40; 60,86; 60,39; 58,33; 60,57; 58,54”. Stavolta Lucioli restò a due metri (58,64).
Purtroppo poca gloria ai Campionati d’Europa, a Stoccolma: qualificazione fissata a 55 metri, egli si fermò a 54,45, penultimo. Gli anni a venire furono di medio cabotaggio, non superò più i 60 metri, ma continuò il suo impegno in pedana, e fino al 1968 fu sempre fra i primi dieci in Italia. Fu ancora quarto ai Campionati assoluti nel 1965. Giovanetti si trasferì a Reggio Emilia, dove avviò una attività commerciale. E in quella città continuò ad occuparsi di atletica, come dirigente e come tecnico. Concluse la sua vita terrena il 4 novembre 2016. |
Ultimo aggiornamento Lunedì 31 Ottobre 2022 10:18 |
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