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Quel 12 settembre 1979, alle ore 15.15, sulla pista dello Estadio Nacional di Ciudad de México... PDF Print E-mail
Wednesday, 11 September 2013 11:08

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Coerenti con gli scopi della nostra organizzazione, diamo la parola ai numeri. In silenzio. Per ricordare Pietro Paolo Mennea in questo 12 settembre 2013, a pochi mesi dalla scomparsa del campione olimpico e a 34 anni dal suo primato del mondo sui 200 metri (19.72), pubblichiamo una ricerca di grande valore storico: la ricostruzione della sua completa carriera sportiva. L'autore principale è l'arch. Giuseppe "Pino" Mappa, fiorentino, compilatore di liste mondiali di atletica, che ha ricevuto collaborazione da Gustavo Pallicca.

Mennea corse la finale dei 200 metri sulla pista dell'Estadio Nacional di Ciudad de México (così era denominato, oppure anche Estadio Universitario, comunque nessuno lo chiamava Estadio Olímpico, men che meno i folcroristici tassisti messicani...ne sa qualcosa chi c'era, e chi non c'era...allo stadio...) alle 15,15 di quel 12 settembre 1979, a bordo campo il presidente della Federazione italiana Primo Nebiolo e il prof. Carlo Vittori, forse anche qualcun altro della FIDAL.

Quel 19.72, dopo 34 anni, è ancora la nona prestazione mondiale di ogni tempo, nonchè primato d'Europa. Gli appassionati di compilazioni possono visitare questo indirizzo https://www.iaaf.org/records/toplists/sprints/200-metres/outdoor/men/senior dove troveranno le liste "ogni tempo" dei 200 metri, con tutte le prestazioni sotto i 20.07 secondi e gli atleti fino a 20.27: in totale 532 prestazioni e 202 atleti (sono 70 quelli che hanno un primato personale fino a 20.07, per un totale di 400 risultati). Si tratta del sito della Federazione internazionale (IAAF).

Chi ha interesse a ripercorrere la straordinaria carriera di Mennea, si affidi al prezioso documento di Pino Mappa. / You can read the complete career of Pietro Mennea in this document compiled by the Italian statistician Pino Mappa.

La terra ti sia lieve, Pietro Paolo.

Last Updated on Friday, 20 September 2013 12:56
 
Revisione Liste Storiche: nuovo aggiornamento/Italian historical rankings, a new update (1941-42-44) PDF Print E-mail
Friday, 30 August 2013 15:17

Segnaliamo un nuovo aggiornamento (anni 1941, 1942 & 1944) delle Liste storiche, curate da Marco Martini, nella Sezione "Momenti di Storia, Liste storiche 1908-1945, uomini". In aggiunta alla versione pubblicata sul sito, anche una versione in formato PDF/A new update of the Italian historical rankings is now available (PDF format also) for the years 1941, 1942 and 1944. Click on the link "Momenti di storia", here up.

Last Updated on Friday, 30 August 2013 16:10
 
Liste giapponesi e mondiali "ogni tempo" compilate da Tatsumi Senda e Yoshimasa Noguchi PDF Print E-mail
Tuesday, 27 August 2013 13:49

Qualcuno dei nostri lettori ricorderà il nome di Tatsumi Senda, l'amico giapponese che tradusse nell'idioma del suo Paese la storia dell'incontro Italia - Giappone del 1936 preparata da Marco Martini, contributo che abbiamo pubblicato sul nostro sito in italiano, inglese e giapponese (e i contatti con il nostro sito dalla tera del Sol Levante sono volati a quasi il 33 per cento contro il neppure 38 dei sapientissimi italici!). Tatsumi, in stretta collaborazione con Yoshimasa Noguchi, altro "samurai" della compilazione di risultati atletici, ha appena sfornato un tomo di 340 pagine, formato A4 orizzontale, che comprende le liste giapponesi di tutti i tempi con profondità 300 atleti e 100 performances, elaborate da Noguchi, e lo stesso lavoro per le liste mondiali, compilate da Senda, il tutto aggiornato al 31 dicembre 2012. Essendo destinato agli appassionati di atletica di quel Paese, il lavoro è, ovviamente, in giapponese!

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L'amico Tatsumi, riconoscente per lo spazio e l'abbondante materiale che il nostro sito ha dedicato a quel lontano incontro Italia - Giappone del 1936, ha voluto ricambiare con un gesto di amicizia nei confronti dei soci ASAI: chi è interessato al lavoro dei due compilatori giapponesi può richiederlo e riceverlo al solo costo di spedizione (10 Euro).

Chi vuole, prenda contatti con Tatsumi Senda a questo indirizzo: 3-4-33 Shioe, Amagasaki, Hyogo 661-0976 - JAPAN.

All Time Japaneses Lists (300 performers and 100 performances) & All Time World Lists (same depth), compiled by Yoshimasa Noguchi & Tatsumi Senda (in Japanese language). For contact, Tatsumi Senda, see above for his address.

Last Updated on Wednesday, 28 August 2013 11:05
 
Io la penso così.........L'opinione di Giorgio Reineri (4) PDF Print E-mail
Thursday, 22 August 2013 17:29

Il nostro socio Giorgio Reineri chiude con un commento finale il suo spazio-opinione sul nostro sito in occasione dei Campionati mondiali di atletica a Mosca. Opinione, e, come tale, condivisibile o meno. Prima e durante i mondiali abbiamo provato a lanciare una proposta: la lettera aperta di Luciano Barra al presidente della IAAF, lettera che conteneva molti spunti, e le "opinioni" di Reineri. Nessuno ha niente da dire? aggiungere? criticare? o come sempre la risposta alla discussione è lasciata al mugugno, al brontolio indistinto dove non si riesce mai a capire cosa vogliono coloro che stanno, a qualsiasi titolo, dentro l'atletica? Storia vecchia e risaputa. E non è un caso che siamo finiti dove stiamo: in fondo al gruppo. In silenzio.

Cinque giorni son passati da quando lo stadio Luzhniki di Mosca ha chiuso i battenti, per non riaprirli forse mai più. In nome del calcio-trionfante e della speculazione-rampante, l’antico impianto, costruito a metà degli anni Cinquanta e rimodernato a metà di quelli Novanta, dovrebbe esser abbattuto per lasciar posto ad una mostruosa costruzione da centomila spettatori (contro i cinquantamila di oggi). Così, si dice, pretenderebbe la FIFA, che a Mosca celebrerà i riti pallonari del 2018; e così pare vadano reclamando alcuni furbi costruttori moscoviti, che non vedono l’ora di far la cresta su di un budget che varia tra dai 10 ai 28 miliardi di rubli (230-690 milioni di euro). A rischio sparizione non c’è soltanto un bel po’ di storia sportiva russo-sovietica – in quello stadio si tennero le Universiadi 1973 e i Giochi Olimpici 1980 oltre a concerti e spettacoli: tra gli altri, i Rolling Stones, Madonna e la rock star Viktor Tsoi – ma anche uno dei più bei parchi d’Europa, affacciato sulla Moscova e dominato dalla mole gotico-stalinista dell’Università Lomonosov, prossimo ad essere cementato per uso alberghiero-commerciale.
Così, la nostalgia che abbiamo avvertito al calar del sipario sui XIV campionati del mondo di atletica si è rinnovata nel momento in cui ci lasciavamo alle spalle quell’oasi di verde e maestose architetture. Perchè proprio nell’immensità silenziosa del parco aveva avuto una svolta – or sono giusto quarant’anni – la nostra professione di cronisti: cercare di scrutare, oltre le imposizioni del regime, la realtà del comunismo sovietico.
Ma è davvero cambiata la Russia? Un amico d’anta’n – Igor Ter Ovanesian – ci ha detto categorico: “Un tempo avevamo gli zar, poi abbiamo avuto il segretario del partito comunista e adesso abbiamo Putin. Ma sotto la superficie luccicante di oggi, sotto il rombare delle Rolls Royce, delle Ferrari, delle Porsche e delle Mercedes, tutto è rimasto come prima. Il commercio della anime morte continua, indisturbato ed eterno”.
Igor Ter Ovanesian - il principe Igor degli anni Sessanta, ex primatista del mondo di salto in lungo e per cinque edizioni protagonista olimpico di questa specialità – e’ oggi un artista che ha fatto della pittura rifugio e diletto. Ma è ancora un sommo competente di atletica, con un occhio svelto a leggere il talento e a valutare il valore dei campioni. Ebbene, in chiusura dei campionati proprio Ter Ovanesian ci ha detto d’essersi divertito e di aver apprezzato la manifestazione. Nessun record, ha commentato, ma i salti in lungo di Menkov, il triplo di Tamgho, l’asta di Isinbaeva, l’alto di Bondarenko luccicavano come fossero stati altrettanto primati.
Come contraddire un antico saggio quale è il principe Igor? Sarebbe pura presunzione sostenere una tesi contraria: i giochi mondiali sono stati degni del loro nome, e anche alcune competizioni non sfavillanti in termini cronometrici hanno garantito lo spettacolo. O forse che le volate di Mo  Farah non lo furono? E la rivelazione della keniana Sum sugli 800 metri non ha di grazia rappresentato una perfetta sintesi dell’atletica? Eleganza di passo, agilità di movimenti, giudizio tattico e una grazia speciale, che discendeva pure dalla statuaria bellezza della signorina.
I nove giorni di gare hanno, a giudizio di questo ex cronista, offerto spunti di gioiosa ricreazione e di autentico piacere per i millanta gusti dei quasi 400mila spettatori dello stadio. Ma, a sentire commenti, hanno pure appagato il desiderio di spettacolo di chi, lontano, s’era affidato alle immagini televisive. Insomma, anche in un anno post-olimpico, per definizione mai troppo brillante, l’atletica è riuscita a farsi apprezzare.
Il problema, per chi dirige il carrozzone, è di non lasciar svanire quell’apprezzamento ma riuscire a raccogliere qualche nuova adesione, così da rinvigorire questa religione laica dell’uomo.
Ci sono, tuttavia, zone grigie. O zone dove, addirittura, la luce atletica pare essersi spenta. Si prendano gli Stati Uniti: oltre ad esser stati superati, in numero di medaglie d’oro, dalla Russia (6 a 7), per la prima volta i suoi velocisti hanno subito un pesante cappotto, più pesante addirittura di quello di Monaco ’72. Tra gli uomini e tra le donne, una debacle, ove si escluda Justin Gatlin. Mai era successo, difatti, che gli sprinter Usa ottenessero meno medaglie dei mezzofondisti: ottocentisti e millecinquecentisti di entrambi i sessi, difatti, sono stati assai più brillanti dei colleghi centisti e duecentisti. Ma non si creda che questo sia un caso. È, invece, il risultato della sparizione dell’atletica in larghe parti dell’America, e soprattutto della sua sparizione dai mezzi di comunicazione: televisione e stampa scritta. Sui quotidiani Usa si parla di atletica soltanto in due occasioni: per redigere “obituaries”, cioè i necrologi di campioni defunti, o per casi di doping, ultimo quello di Tyson Gay. Tutto ciò - l’atletica considerata attività di sopravvissuti - ha fatto sì che questa disciplina venga sempre più spesso depennata dalle attività sportive dei colleges. Dovendo tagliare i budget, le università hanno tagliato l’atletica, eliminando le borse di studio che un tempo erano riservate a migliaia di giovani corridori, saltatori, lanciatori. E questi, considerati i costi proibitivi della frequenza universitaria, si sono rivolti al football e al basket (e, in minima parte, ora anche al calcio). Si è così andata inaridendo la principale, anzi la unica, fonte di reclutamento negli Stati Uniti: da qui, il dominio giamaicano e la debacle americana.
Somiglia a quella degli Usa, la debacle italiana. Somiglia, ma non è certo la stessa cosa perchè  l’America, considerata la ricchezza delle sue etnie, potrà ancora avere sussulti; l’Italia, invece, nessuno.
Da noi, lo sport è moribondo. Tutto lo sport, non soltanto l’atletica o il nuoto. Anche il calcio è in rianimazione, sopravvivendo soltanto grazie all’ossigeno straniero. Ma se il calcio fruisce di una pubblicità a tempo pieno – 24 ore su 24 – l’atletica mette a stento assieme 24 minuti il trimestre. Via dalla tivù, via dai giornali, essa è ormai sconosciuta ai giovani. I quali, già pigri del loro, figurarsi se penseranno mai d’affrontare le fatiche, i sacrifici, le incertezze dell’agonismo professionale.
Non c’è dunque da stupire che l’Italia abbia fatto, a Mosca, la parte dell’intrusa. Assente dalla maggioranza delle gare; e quando presente si era lì soltanto per fare numero, riempiendo le corsie. O, certo, l’Italia non è l’unico paese europeo in agonia: Spagna, Romania, Bulgaria, Finlandia ci tengono la mano. La Svizzera segue, e non lontane sono Norvegia e Svezia, tutti paesi di antica nobiltà atletica.
Occorerebbe una grande opera missionaria, per ridare a questi popoli la loro originaria religione. Non serve, a questo punto, andare in paesi lontani, in posti sperduti, a diffondere il verbo atletico. È imperativo, perchè l’atletica sopravviva, che si rieduchi la gioventù europea.
A chi l’arduo compito?
L’impressione è che non ci siano missionari all’altezza, e che soprattutto il blocco calcistico fatto dalla commistione tra interessi miliardari e informazione televisiva sia così potente, e imbattibile, da bloccare ogni inversione di tendenza. Proprio come avviene, a parti rovesciate, negli Stati Uniti: dove football, baseball, basket e hockey tengono il calcio fuori dai grandi circuiti di informazione-spettacolo.    

 

 

   

Last Updated on Thursday, 22 August 2013 17:49
 
Io la penso così.........L'opinione di Giorgio Reineri (3) PDF Print E-mail
Friday, 16 August 2013 16:29

Giorgio Reineri scrive per noi.....

Accadono cose stravaganti in questi XIV Campionati del mondo moscoviti. Così stravaganti da lasciarci a bocca spalancata, proprio come quella che Bohdan Bondarenko mostrava al pubblico prima di ogni suo salto. Oddio, il giovanotto ucraino – che compirà 24 anni il prossimo 30 agosto – di salti non è che ne abbia fatti molti, giovedì sera: quattro, difatti, gli erano bastati per arrivare al titolo mondiale e al nuovo primato delle competizione (m.2,41), sottratto a Javier Sotomayor. Ciò che, invece, non riusciva a Bondarenko era di cancellare il grande cubano dalla sommità della classifica, ma i tre tentativi a m. 2,46 non avevano avuto nulla di velleitario nè erano apparsi un gioco scenico: presto, anche quella vetta sarà conquistata.
La competizione di salto in alto maschile è stata, difatti, la più spettacolare della storia atletica. Mai tre atleti avevano superato assieme m. 2,38, come riuscito a Essa Barshim, Derek Drouin e Bohdan Bondarenko. Anzi, no: nello scrivere la riga che precede abbiamo commesso un’inesattezza. Non se ne stupisca il lettore, che ben conosce come gli scribi siano propensi all’errore. E tuttavia, nel caso specifico, più che di errore si dovrebbe discorrere di interpretazione:  in effetti, l’ucraino mai superò l’asticella posta a quell’altura, avendo deciso ch’essa non valeva lo sforzo e meglio era passare direttamente a m. 2,41.
A memoria di cronista mai s’era veduto, sulla pedana del salto in alto, un azzardo così alto. Perchè il qatarino (di origine sudanese) Barshim i 2,38 li aveva superati al primo tentativo, e al secondo li sorvolava pure il canadese Drouin. Ora, tutto il peso della competizione stava sulle gambe di camoscio dell’ucraino: che mostrasse lui le carte che possedeva.
Pensavamo, nel registrare la decisione, che la follia abita spesso le menti atletiche. E, in particolare, quelle dei saltatori. Essi sono fatti di speciale pasta, forse perchè hanno ali più che gambe. Sognano di volare, e in effetti volano: da Valery Brumel a Javier Sotomayor, passando per quel visionario geniale che fu l’ingegnere Dick Fosbury, nessuno si è mai sottratto agli imprevedibili ghiribizzi dell’estro. E se questa è da considerarsi la prima indicazione del talento di un saltatore, ebbene Bohdan Bondarenko dev’esserne zeppo come una matrioshka.
Si provi a svuotarla, quella matrioshka ucraina. E si scoprirá che la appena estratta ne contiene ancora un’altra, minuscola fin che si vuole ma ancora ricca di sorprese. Una miniera tanto ricca da offrire brividi e godimento estetico, insomma tutto ciò che l’aficionado cerca nelle esibizioni atletiche.
L’intera competizione di salto in alto è stata percorsa da brividi, ancor prima che Bondarenko facesse la sua comparsa a m. 2,29. In pedana stavano difatti uomini costruiti con speciale tessuto elastico: dal russo Ukhov, il campione olimpico, alla medaglia d’argento di Londra, l’americano Erik Kynard; e neppure da disprezzare erano il bahamense Donald Thomas, l’altro russo Alexsandr Shustov e il britannico Robert Grabarz. Ciascuno di loro avebbe potuto esser un degno campione, non gli fosse toccato di volare contro le ali di Barshim, Drouin e Bondarenko.
Erano decenni che non si godeva così. L’ultima volta, in effetti, era stato ai Campionati del mondo di Stoccarda, dove Sotomayor s’era staccato dalla compagnia superando i m.2,40 mentre il polacco Partyka e l’inglese Smith rimanevano bloccati a m. 2,37. Ma giovedi notte, col sole che calava dietro le guglie dell’Università Lomonosov – uno dei sette palazzi “stalinisti” di Mosca – Bohdan Bondarenko ci risvegliava quegli antichi ricordi aggiungendoci del suo: il balzo, al secondo tentativo a m. 2,41, era davvero il volo d’un candido airone.
Bondarenko è difatti un giunco di m. 1,97, innervato splendidamente. I suoi muscoli, quando lavorano, sfrigolano come seta mentre le articolazioni sono delicatissimi elastici. Così delicati, che i suoi ginocchi hanno già dovuto subire l’offesa dei ferri chirurgici, e pure le giunture dell’inguine hanno patito l’accumularsi delle fatiche tanto da tenerlo bloccato a lungo, lo scorso inverno. Ma Bondarenko, che fu campione mondiale juniores nel 2008 con m. 2,26; e poi vincitore dell’Universiade nel 2011 e settimo lo scorso anno a Londra con m. 2,29 (stessa misura di Barshim, medaglia di bronzo), deve possedere anche eccezionali capacità di recupero. E, difatti, dopo un esordio internazionale a Doha, eccolo già approdare a m. 2,41 lo scorso luglio a Losanna.
Insomma, in una certa misura si era preparati a qualcosa di notevole. Lo aveva garantito Victor Bondarenko, ex decathleta, che del giovanotto è padre e allenatore. Lo sapevano i suoi compagni della Facoltà di sport dell’Università di Kharkiv, la città dove è nato e dove vive, e pure molti tra il milione e passa dei suoi concittadini. I quali erano numerosi sulle gradinate dello stadio Luzhniki, aggregati ad un gruppo di ucraini entusiasti e inesausti nella loro passione di aficionados.
Non tutti gli aficionados, però, sono di questi giorni entusiasti. A noi capita spesso di pensare ai pochi italiani che ancora sentono affezione per quest’antichissima religione, la prima che l’uomo abbia praticato per poter davvero diventare “sapiens sapiens”. Ci verrebbe da scrivere, anzi, che in Italia non c’è più religione, e sono del tutto spariti i suoi celebranti. Non è cosa di questi giorni, perchè sono anni che si procede in un vorticoso declino che non pare trovare il fondo. O, forse, il fondo lo si è toccato qui, dove la sparizione dell’Italia a livello internazionale si è purtroppo compiuta. Non gettiamo la colpa sulle spalle larghe della sfortuna (caso Greco) né su quelle degli attuali dirigenti: il nuovo governo federale, da pochi mesi in carica, che avrebbe potuto fare? Ecco: l’unica cosa che avrebbe dovuto fare, e che purtroppo non ha fatto, era di dire chiaro e tondo che si stava nella melma.
Come venirne fuori? Ci vorranno anni di forsennato lavoro che potrebbero anche servire a nulla. Si tratta, difatti, di invertire una rotta nelle abitudini della gioventù, che ora ignorano l’atletica, e cercare di riportare qualche ragazzo e qualche ragazza sulle piste atletiche. Servirebbe una santa alleanza con chi ha in mano l’informazione: televisiva e non. Insomma, servirebbe l’impossibile: almeno per l’Italia di questi anni di disgrazia.    

Last Updated on Thursday, 22 August 2013 17:18
 
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