1953 - 2023, son passati settanta anni, com'era l'atletica italiana a quel tempo? |
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Wednesday, 04 January 2023 18:10 |
Ma come eravamo settant’anni fa? Ci siamo dovuti occupare dell’anno 1953 cercando notizie per differenti piccole ricerche, che poi proponiamo in questo spazio. La nostra base è stata, da un lato, la collezione di «Atletica», quindicinale della Federazione italiana, e, dall’altro, i quadernoni – proprio «oni» viste le dimensioni – di ritagli di giornali e articoli raccolti e annotati con meticolosa attenzione, e talvolta caustici commenti, da Bruno Bonomelli, documentazione di grande utilità per questo tipo di lavori retro. Visto anche che siano all’inizio del 2023, ci siamo allora proposti di conoscere più da vicino l’atletica italiana di settant’anni fa, anno che non fu molto impegnativo sul piano internazionale: i Giochi Olimpici di Helsinki erano alle spalle, i Campionati d’Europa si sarebbero celebrati l’anno dopo a Berna. All’epoca erano i soli due veri grandi eventi per il nostro sport. Si tennero invece, entrambi in agosto, i Campionati internazionali militari a Bruxelles, e la Settimana F.I.S.U. (così si chiamavano allora i Campionati universitari) a Dortmund.
Iniziamo la narrazione di quell’anno lontano sette decadi attraverso le fonti che abbiamo citato. Un lavoro che ci accompagnerà, di tanto in tanto, lungo tutto il corrente anno. Saremo grati a quanti vorranno integrare i nostri articoli con foto, documenti, ricordi di quel tempo. Al fine di evitare malintesi, chiariamo che non pubblichiamo sul nostro sito articoli che vengano da persone che non siano soci. Eventualmente, nel caso di materiale interessante, sarà rielaborato e contestualizzato dalla nostra redazione, citando la fonte.
Cominciamo dalla lettura del primo numero di «Atletica», che porta la data del 15 gennaio, Anno XIX (fu editata per la prima volta nel 1933). Direttore responsabile Giovanni Guabello, redattore capo Pasquale Stassano. Lo stampava la tipografia La Fiaccola, che teneva bottega al numero 70 di Borgo Pio, storica strada a ridosso del Vaticano, la cui edificazione è certificata da una Bolla Papale del 1565 di Pio IV, che ne fece iniziare la costruzione e per questo porta il nome di Borgo Pio.
Pezzo di apertura la pubblicazione integrale di una intervista concessa dal presidente della F.I.D.A.L., Bruno Zauli, al «Corriere dello Sport», e che era apparsa sul quotidiano romano qualche giorno prima. Il titolo dato dal foglio federale fu «Orientamenti tecnici – Allenamenti collegiali». Zauli esordì con questa affermazione: “In linea di principio non sono e non sono stato mai favorevole agli allenamenti collegiali. Cioè ritengo che gli atleti non debbano mai essere allontanati dal loro ambiente naturale, dagli usi e costumi della loro vita, tanto sportiva, quanto sociale, che va dal vitto al campo di esercitazione, dalla casa alle più diverse espressioni di abitudine e di conforto della propria giornata e della propria attività, compresa quella atletica. Tuttavia debbo ammettere e riconoscere che in taluni casi non si può fare a meno degli allenamenti collegiali. Quando si producono tali necessità non c’è che da ridurre il periodo collegiale al minor tempo possibile…”. L’intervistatore gli chiede a che necessità si riferisce. Risposta degna di monsieur de la Palisse: si tratta delle staffette nazionali:” O si ha la fortuna di poter prendere in blocco una squadra di Società – evenienza tanto difficile da rasentare l’impossibile – e vestirla di azzurro, oppure bisogna raccogliere dai vari centri i migliori staffettisti e affiatarli in un sufficiente periodo di allenamento…”. Staffette ma non solo, il resto della intervista ribalta completamente il postulato iniziale: ridurli al minimo, nossignori, degli allenamenti collegiali non si può fare a meno. Vuoi perché l’atleta non ha le condizioni per allenarsi nel suo paese, non ha impianti, oppure non ha un tecnico preparato che lo segue; eppoi ci sono i giovani sparsi in tutta Italia che abbisognano di “un controllo e di una ricognizione dei frutti che ogni stagione produce…”. Ergo: i raduni servono.
La prima pagina venne riempita con l’Ordine del giorno dell’ottavo Congresso nazionale della Federazione, in calendario domenica 15 febbraio nella sede del C.O.N.I. al Foro Italico. Si legge anche la prima parte di un altro lungo articolo, a firma Guido Vianello, sulla validità del Gran Premio dei Giovani, giunto alla quarta edizione. Vale la pena ricordare che in quegli anni non esisteva ancora la categoria juniores, mentre invece, nel 1951, era stata varata la legge sullo sport nella scuola e istituiti i Campionati studenteschi, che furono la vera fucina dell’atletica italiana per molti anni.
Giriamo pagina, la seconda: lasciamo perdere, completamente illeggibile, riservata al Gruppo Giudici Gare e riempita con centinaia di nomi di persone passate da una mansione ad un’altra, da Aspirante ad Effettivo, e via elencando. Si deve però mettere in conto che le quattro paginette federali servivano prevalentemente da bollettino per comunicare con le società per far conoscere decisioni, regolamenti, convocazioni, approvazione gare, insomma tutta la parte burocratica.
La terza pagina si apre con il titolo «Notiziario estero», e porta la firma prestigiosa di R.L. Quercetani (Roberto Luigi, lo sapete vero?), una collaborazione fra il sommo statistico e la Federazione, rapporto che durerà praticamente fino alla scomparsa dello scrittore fiorentino nel maggio del 2019. In questo spazio egli parlava dell’attività sudamericana, della tournée del primatista del mondo di salto triplo (16,22 ai Giochi di Helsinki) Adhemar Ferreira da Silva in Giappone; quindi largo spazio all’atletica del Continente australe, Nuova Zelanda e Australia; infine, fari sulla corsa campestre negli Stati Uniti, in particolare su quella universitaria, il cui campionato, a East Lansing, nel Michigan, fu vinto da uno studente italo-americano, Charlie Capozzoli. Due colonne riservate ai Comunicati federali con i passaggi di serie, che allora erano tre, passaggi che venivano sanciti automaticamente dai risultati conseguiti dagli atleti, i bravi nella Prima Serie e gli altri a decrescere. A chiusura, al piede, una tabella sull’attività femminile dal 1938 al 1952, con le medie delle prime dieci per ogni specialità. Salta subito agli occhi che dal ’38 al ’50 l’atletica delle donne rimase come pietrificata. Non poteva essere diversamente con cinque anni di scellerata guerra voluta dal regime fascista. Qualche segno di ripresa nel 1952.
A parte i «continua dalla pagina…», la quarta presenta finalmente una notizia di atletica-atletica. In un colonnino titola:” A San Paolo buona prova di Peppicelli». È l’esito della partecipazione di Giacomo Peppicelli alla Corrida de São Silvestre, affollatissima corsa su strada che si corre, l’ultima notte dell’anno, fin dal 1925, nel cuore della città paulista, idea poi imitata in ogni borgo, sobborgo e quartiere in ogni angolo del mondo. Il piccolo fondista umbro, nato a Moiano di Città della Pieve, ottenne un buon sesto posto, vinse lo jugoslavo Franjo Mihalić, che ripeterà il successo due anni dopo. Qualche mese prima, inizio ottobre, a Zagabria, nell’incontro Jugoslavia-Italia, aveva rifilato un pesante distacco a Peppicelli, due minuti sui 10 mila metri (29’48”6 contro 31’47”2). Franjo non era uno qualunque: in Italia vinse tre volte la «Cinque Mulini», stesso bottino al «Giro al Sas» a Trento, fu medaglia d’argento nella maratona olimpica a Melbourne ’56 alle spalle del francese Mimoun. Si è spento nel 2015, a quasi 95 anni. Peppicelli fece un’altra gara in quella trasferta, sempre a San Paolo, il giorno della Epifania, stavolta in pista: fu secondo dopo il giapponese Onishi, tempo 15’22”3, non male visto il periodo della stagione. |
Last Updated on Wednesday, 04 January 2023 18:52 |
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Anno Nuovo 2023: prendiamo quello di buono che verrà, senza illuderci troppo |
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Sunday, 01 January 2023 00:00 |

"Assieme ci auguriamo l'arrivo di un anno sopportabile". È la frase più bella che abbiamo ricevuto. Quell'aggettivo, «sopportabile», è leggero come una piuma per il nostro animo. In una società che fa sfoggio di un lessico imbarbarito, con un uso smodato, incompresibile, di un assurdo numero di punti esclamativi solo per dire semplicemente «auguri», quell'aggettivo è una preziosa rarità, un ossequio alla straordinaria poesia della lingua italiana. Quella frase è entrata nella nostra posta elettronica in arrivo dal nostro amico (e socio neofita) Marino, geologo, allenatore di pallacanestro, atleta dei 400 metri ad ostacoli, autore di documentatissime raccolte di dati sui club nei quali ha militato, ricerche originali che gli hanno richiesto tempo e impegno, come deve essere per chi fa ricerca. La facciamo nostra per invitare tutti coloro che ci seguono alla moderazione, a non lasciarsi andare a facili entusiasmi solo perchè chiamiamo il 2023 Nuovo Anno. Difficile immaginarsi qualcosa di nuovo guardando la follia del mondo. La follia di chi fa della guerra uno strumento per risolvere controversie. La follia di chi vuole riportare in auge immonde ideologie che speravamo sepolte per sempre. La follia di uno sport che sta sforzandosi di imitare il peggio dell'affarismo, dell'imbroglio; troppo spesso abbiamo dovuto fare i conti con ominicchi disonesti, prezzolati e comperati.
Allora cerchiamo un po' di serenità, e perchè no?, anche di speranza, immergendo lo sguardo nella foto scattata da un amico di Gargnano, Franco, che ama queste montagne gardesane, dove l'Archivio Storico dell'atletica Italiana «Bruno Bonomelli» tiene dimora ormai da parecchi anni, ospitato in una accogliente struttura privata, a Navazzo, mezza collina. Franco queste montagne, questi sentieri, li conosce centimetro per centimentro, pietra per pietra, albero dopo albero. Ha scattato questa foto pochi giorni fa, alla Malga Denervo, sul Monte Devervo, 1.463 metri, el Dènerf, come lo chiamano da quelle parti. L'augurio, in questo giorno 1 del 2023, è che il rossoarancio che domina la foto, sia foriero di positivi annunci per ciascuno di noi. Non si diceva una volta "rosso di sera, bel tempo si spera"?
Anche l'amico Gennaro, preferisce Rino, napoletano, ultimo del 2022 ad essere entrato a far parte della nostra famigliola del corri-salta-lancia, ci ha inviato qualcosa su cui riflettere, almeno oggi, prima di tornare alla quotidiana disattenzione. È una poesia di Johann Wolfgang von Goethe. La dedichiamo a tutti.
A noi che siamo
tra il vecchio e il nuovo,
la sorte dona
queste ore liete;
e il passato impone
d'aver fiducia
a guardare avanti
e a guardare indietro. |
Last Updated on Monday, 02 January 2023 08:51 |
Edmondo Ballotta e Giulio Chiesa, duello per quasi un decennio a colpi di pertica |
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Friday, 30 December 2022 00:00 |

Queste due foto si collocano nell'anno 1954 e ai Campionati italiani assoluti allo Stadio Comunale di Firenze: quella a sinistra documenta il salto di metri 4,26, che valse a Edmondo Ballotta il nuovo primato italiano e il secondo titolo nazionale (a destra con la maglia tricolore). Sono riprese dal libro di C.E. Baldini «Storia dell'atletica leggera piacentina»
Alcune annotazioni imprecise ricevute sul nostro spazio Facebook ci suggeriscono di tornare su un argomento cui abbiamo dato spazio recentemente: il salto con l’asta in Italia negli anni ’50, protagonisti Edmondo Ballotta e Giulio Chiesa. Chiariamo: ‘sto Facebook – del quale parecchi di noi non sono propriamente dei tifosi mentre qualcuno sembra non poterne più far a meno – diventa spesso una palestra nella quale chiunque si ritiene autorizzato ad entrare liberamente senza chiedere permesso, raccontando – non richiesto – le sue storielle, confidando solo sulla sua non sempre lucida memoria, parlando di sé stesso. A noi piace sentir raccontare episodi dei tempi andati da chi ne è stato protagonista: le testimonianze sono una parte fondamentale del nostro modesto lavoro. E ringraziamo chi – potremmo fare qualche nome – ci fa avere dettagli, fotografie, ricordi. La caratteristica per noi è che devono essere precisi, altrimenti se noi li pubblicassimo acriticamente, verremmo meno allo scopo che ci siamo dati quasi ventinove anni fa nel mettere in piedi questo Archivio storico dell’atletica italiana. Nessuno se ne abbia a male se, d’ora in poi, rimuoveremo dallo spazio cosiddetto «social» commenti e annotazioni non corretti o poco attinenti agli argomenti da noi trattati.
Abbiamo impiegato parte dei giorni natalizi – anche per sfuggire al non sgradevole «supplizio» della tavola – in qualche ricerca sull’atleta piacentino Edmondo Ballotta, collegandolo a quanto abbiamo riportato sul primo 4,20 di Giulio Chiesa (1951). Ballotta era originario di Caorso, non lontano da Piacenza, direzione Cremona, località che qualcuno ricorderà per la costruzione, anni ’70, di una centrale nucleare nella quale fu inghiottita una voragine di miliardi pubblici per poi abbandonarla, anni ’90, a seguito dell’esito di un referendum fra i cittadini: non è mai entrata in funzione, ma ancor oggi se ne possono «ammirare» le fatiscenti strutture. «Mondo», come lo chiamavano tutti, veniva da stirpe sportiva, ultimogenito di una famiglia di atleti: suo padre Alfredo aveva detenuto i primati piacentini degli 800, 1500 e 5000 metri nel 1908-1909; il fratello Luigi nel 1941 quello dei 200 metri con 23”2; l’altro, Carlo, tenne il record dell’asta con 3,20, dal 1939 al 1942, prima che entrasse in scena Edmondo. Il quale, proprio nel 1942, allora ragazzino di 12 anni, saltò 2,60, vincendo la fase provinciale del Gran Premio dei Giovani.
Saltiamo a piè pari tutti gli anni intermedi, perché è del 1954 che vogliamo occuparci, anno nel quale Edmondo ritornò a gareggiare per una società di Piacenza: il G.S. Calzaturificio Diana, sovvenzionato dal cav. Aldo Albonetti, che l’anno prima aveva già fatto rientrare, da Bologna, il campione olimpico Pino Dordoni. Ballotta aveva militato nella Stella Azzurra Parma, solido club atletico. L’annuncio del ritorno a casa dell’astista venne data dal quotidiano «Libertà» nella edizione del 14 febbraio; due giorni dopo la stessa notizia apparve anche sul bolognese «Stadio». Il 5 marzo, sempre il giornale piacentino, pubblicò un colonnino con una fotina di Edmondo e di suo padre Alfredo, imbacuccati per il freddo, nello stabilimento di legnami di proprietà della famiglia: lì dentro erano state costruite attrezzature per consentire all’atleta di allenarsi, un impianto indoor casalingo ante litteram insomma. Nella stessa notizia si diceva anche che Edmondo era “stato affidato alle attenzioni tecniche dell’allenatore federale Calvesi di Brescia”. Ancor più carina la notiziola che il foglio rosa (la carta veniva prodotta nella Cartiera di Toscolano, sul lago di Garda) pubblicò il 14 marzo sotto il curioso titolo «Corri-doio»:” Edmondo Ballotta, il simpatico astista piacentino, è stato visto in questi giorni in allenamento al «Rigamonti» di Brescia, attorniato da una squadra di aspiranti ai quattro metri. E fin qui nulla di strano. Ciò che invece ha colpito una comitiva di studenti milanesi in gita, affacciatasi alla porta dello stadio, è stato «l’ambiente» nel quale il lavoro del saltatore si svolgeva. Poco discosto dai ritti stava infatti accasciato un gruppo di ragazzi in tuta e, mentre alcuni ritmavano il tempo, di un fox, uno, identificato poi per il fratello minore di Tonino Siddi, suonava la chitarra, mentre un altro cantava. Intanto l’allenatore correggeva l’astista. Il tutto faceva molto Volodalen: non vi erano muschio né uccelletti, ma musica allegra che ricreava lo spirito e distendeva i nervi. Non è stato accertato se la scena osservata faccia parte del normale metodo di allenamento bresciano. È dato invece per sicuro che Ballotta è piuttosto grasso e che l’allenatore gli somministra una buona dose di cultura fisica e di progressivi di velocità”. Per quelli a digiuno di atletica chiariamo che Volodalen era, ed è, una località svedese, resa famosa per i metodi di allenamento praticati nella natura da un ex tuffatore, Gösta Olander, che assistette alcune generazioni di fondisti – atletica e sci di fondo – che dominarono la scena internazionale negli anni ’40 – ’50 – ‘60 e anche dopo, e dove si allenarono anche parecchi italiani, Franco Arese e Franco Fava, per citarne due.
Nella città della Leonessa, Ballotta fece il debutto stagionale, il 4 aprile: 4 metri, “nettamente superati – scrisse la «rosea» - facevano prevedere il valicamento dei 4,12, non vi è riuscito per un soffio…”. Edmondo tornò in pedana nella sua Piacenza per la seconda edizione del Trofeo Diana (19 aprile, lunedì di Pasqua): 3,60, 3,80, ancora 4 metri, tutti alla prima prova; rinunciò ai 4,10 per tentare direttamente 4,22 del nuovo primato nazionale, “che fallì tuttavia di pochissimo” scrisse Gian Maria Dossena sulla «Gazzetta». E Renato Morino gli fece eco su «Tuttosport»” …è in forma, non ancora al massimo, certo, ma già in grado di ambire a qualcosa di notevole…l’appuntamento con il record è solo rimandato”.
Ed eccoci al primo faccia a faccia dell’anno: Giulio e Edmondo si trovarono il 16 maggio a Modena, riunione nazionale per il Trofeo Arata: impattarono, primo il finanziere, 4 metri per entrambi, due ore in pedana con un freddo boia. Sette giorni dopo, il 23, allo stadio Comunale di Bologna, fase regionale del Campionato di società, Ballotta “si è confermato in brillantissime condizioni superando agevolmente i metri 4,10 e fallendo di pochissimo il record italiano a 4,22. Alla seconda prova aveva ormai completamente superato l’asticella e soltanto l’avambraccio la sfiorava nella fase discendente”.
Visto il suo stato di forma, Ballotta – con un bel gruppo di altri azzurri – venne mandato dalla F.I.D.A.L. alla importante riunione, con molti dei migliori europei, organizzata dalla Federazione francese allo stadio di Colombes, era il 30 maggio. «Tuttosport» spedì allo Stadio Olimpico del 1924 il suo inviato Renato Morino, il quale, in un lungo articolo che iniziava «di spalla» (in alto a destra, nel gergo giornalistico) in prima pagina, riferì anzitutto del nuovo primato del mondo di Emil Zatopek sui cinquemila metri, l’unico record del grande cecoslovacco su questa distanza: 13’57”2, che aggiornava il precedente (anno 1942) dello svedese Gunder Hägg, un «cliente» di quel Volodalen di cui abbiamo detto. Queste le parole del giornalista torinese dedicate a Ballotta:” …il miglior azzurro è stato Ballotta…il piacentino ha finalmente raggiunto quel traguardo che da due anni «Tuttosport» gli aveva pronosticato: i metri 4,20 nell’asta, eguagliando così il primato nazionale di Chiesa. Ballotta è in forma come mai è stato, tanto che non esitiamo a dire che prima della fine dell’anno raggiungerà i metri 4,30. Ben guidato da Calvesi, Ballotta ha condotto una gara tatticamente giusta iniziando a saltare i metri 3,80 (superati alla prima prova) e rinunciando ai 3,95. Superando, poi, i 4 metri alla prima prova alla pari col cecoslovacco Krejkar. Ballotta si è trovato al comando della gara ai 4,10, che egli superò di slancio al primo tentativo. A questo punto Krejkar era eliminato e non rimaneva a contendere il titolo all’azzurro che il negro Sillon, che avendo superato i 4 metri solo alla seconda prova, si trovava in svantaggio per numero di falli. Anche i metri 4,15 Ballotta li superò alla prima prova e Sillon solo alla terza. Ai 4,20 l’azzurro superò la misura al secondo tentativo e Sillon al terzo; poi entrambi, visibilmente stanchi, tentarono invano di andare oltre. Ballotta risultò così nettamente primo”. Victor Sillon fu un atleta di grande prestigio in Francia dal 1948 al 1960. Era originario della Martinica, territorio francese dell’Oltremare, quindi più che negro, come scrisse Morino, era morettino; nacque a Fort-de-France nel 1927. Dopo una prima esperienza a Bordeaux, vestì sempre i colori del prestigioso Racing Club de France, fondato nel 1882, maglia a strisce orizzontali bianche e azzurre, primo vincitore del campionato francese di rugby (1892, arbitro Pierre de Coubertin). Victor era atleta talentuoso, con primati personali di 15”4 sui 110 ostacoli, 1,90 in alto, 14,66 nel triplo, e concluse la sua carriera di astista con 4,41. Prese parte a tre edizioni dei Giochi Olimpici (1948-56-60), fu quarto ai Campionati d’Europa del 1950, fece parte della Nazionale dei «galletti» 54 volte. È mancato giusto un anno fa (14 dicembre) all’età di 93 anni.
Questo invece il commento di Pasquale Stassano, redattore capo del bollettino quindicinale della nostra Federazione:” Valga l’esempio di Ballotta giunto ai 4,20 del primato italiano con una successione di salti che hanno messo in risalto la generosità dell’atleta impegnato nel suo orgoglio sino al limite della forza e della volontà. Ballotta non si è lasciato impressionare dal francese Sillon, primatista di Francia e quotatissimo astista di valore mondiale, ed ha saputo reagire alla sfortuna che lo ha privato di una prima prova valida ai 4,20 con una «grinta» che è uno dei segni di riconoscimento dei grandi campioni”.
Il 6 giugno Ballotta tornò in pedana a Parma, fase regionale del Campionato di società: 4 metri; il 17 a Carpi: 3,80, come il modenese Carlo Rinaldi. Il 21 partecipò ad una manifestazione benefico-sportiva a Piacenza (si veda la nota nella tabella dei primati, n.d.r.) e confermò il 4,20 di Parigi, ma si trattò di una esibizione e quindi il risultato non fu valido per l’omologazione. Competizioni a raffica: il 27 a Milano, semifinale del CdS, un altro 4,10, davanti a Mario Romeo, primatista negli anni ’40 e ’50 fino all’avvento di Chiesa. Finale (10 luglio) sempre del CdS allo Stadio Olimpico romano: Ballotta “ha sorvolato facilmente i 4,10, ha lasciato Chiesa a 4 metri; non è riuscito per un soffio, a sera, a superare i 4,22…ma non poteva fare meglio, reduce com’era da tre giorni consecutivi di esami all’università…”. Trionfo dell’atletica piacentina: sulla copertina del settimanale «Sport Illustrato» del 15 luglio Pino Dordoni ed Edmondo Ballotta, insieme con Armando Filiput, si dividono lo spazio. Lo stesso settimanale del 22 luglio per la serie «Campioni dello Sport» dedica a «Mondo» l’intera copertina e sulla foto spicca il verde della maglia del Calzaturificio Diana Piacenza. Era un gran momento per Aldo Albonetti, Antenore Negri, Giovanni Veneziani, Mario Vermi, i giornalisti Vincenzo Bertolini e Gaetano Cravedi, gli atleti avevano tifosi al seguito come adesso le squadre di calcio, fatte le debite proporzioni.
La «compagnia degli acrobati» si trasferì a Torino (25 luglio) per il triangolare Italia-Svizzera-Austria: stavolta fu Chiesa che lasciò dietro Ballotta, 4,15 a 4,10. Il 1° agosto, all’Arena di Milano, nacque la Coppa dell’Industria per iniziativa di cinque grandi aziende nazionali (Fiat e Lancia Torino, Redaelli e Pirelli Milano, Lanerossi Schio) e del Calzaturificio Diana Piacenza, che colosso non era ma aveva alcuni campioni da mettere in vetrina. E fu proprio un piacentino a onorare la nuova manifestazione: Edmondo Ballotta appunto. Cosa successe lo lasciamo al racconto di Gian Maria Dossena sulla «Gazzetta dello Sport». “Ai 3,90, dopo la scomparsa di Scaglia, Ballotta si trovò solo in gara. Mise l’asticella a 4,05, e passò al primo salto. Mise a 4,15, e dopo aver fallito il primo tentativo (trascinando l’asticciola, largamente superata, con le mani) effettuò un chiaro passaggio al secondo. Allora suo padre in tribuna e Sandro Calvesi in campo cominciarono a trepidare. Il padre di Ballotta spasimava come lo può un padre che segue il figlio campione nella ricerca di un record; Calvesi come un allenatore che ben conosca le capacità dell’allievo e ne attenda conferma. 4,21: un centimetro sopra il primato italiano dell’asta, che lo stesso Ballotta, unitamente a Chiesa, deteneva. La prima prova fallì. Ebbe successo la seconda, per quanto l’asticella traballasse nel dubbio. Record. Poi i soliti abbracci tra il giubilo e la commozione. Edmondo Ballotta ha dunque valicato, sia pur di un centimetro, i 4,20. Ma è fuor di dubbio che egli vale i 4,30, e mancò di pochissimo i 4,24, ai quali fu vicinissimo al secondo tentativo, fallito unicamente per mancanza di convinzione e trovandosi ormai privo di carica dopo il risultato acquisito. Il piacentino difetta ancora di velocità, anche se ha migliorato notevolmente. Per cui esaurisce la spinta anzitempo, e pur valicando l’asticella si trova ad abbatterla per mancanza di inerzia nel volo. Rispetto allo scorso anno, sotto le cure assidue di Calvesi, ha aumentato di 4 metri la rincorsa, mantenendo lo stesso numero di passi. Dopo la gara di Torino contro Austria e Svizzera, ha allungato di 13 centimetri l’impugnatura (che ancora è bassa, tuttavia), ma potendo svolgere due soli allenamenti. Tenne pertanto, ieri, una via di mezzo tra la vecchia e la nuova. E se ne videro i frutti. Un leggero vento contrario, ai 4,24, lo consigliò a ritornare al precedente metodo”. La seconda parte di questo documentato articolo sembra…scritto da Sandro Calvesi! Ovvio, questi dettagli tecnici solo un allenatore può conoscerli. Quel giorno «Mondo» stabilì due primati personali: quello dell’asta ma anche quello…nel lancio del peso: quinto con 11,73! La Coppa dell’Industria fu vinta dal Gruppo Sportivo Pirelli (che ebbe in campo Consolini e Taddia) su quello della Fiat, il Diana Piacenza finì al sesto posto (sui 5000 terzo fu il non giovanissimo – 38 anni – ma inossidabile cremonese Giuseppe Italia).
E qui noi ci fermiamo, non perché la stagione 1954 sia finita, anzi. Ci furono i Campionati d’Europa a Berna (Ballotta dodicesimo con 4,10, Chiesa non superò la qualificazione alla finale) e l’acuto a fine stagione: 4,26 ai Campionati d’Italia, primato e seconda maglia tricolore. Poi iniziò l’Era Chiesa come potete verificare dalla progressione del primato. Fino a quel maledetto 1956 che tanta amarezza riservò a Edmondo Ballotta e a tutto lo sport piacentino. La prossima volta racconteremo la parte di questa amara vicenda, come noi la conosciamo.
La progressione del primato da Mario Romeo (1942) a Pietro Scaglia (1962)
4,17 |
Mario Romeo |
Zurigo, 23.8.1942 |
4,20 |
Giulio Chiesa |
Roma, 23.9.1951 |
4,20 |
Edmondo Ballotta |
Parigi, 30.5.1954 |
4,20 |
Edmondo Ballotta |
Piacenza, 21.6.1954 (esibizione)* |
4,21 |
Edmondo Ballotta |
Milano, 1.8.1954 |
4,26 |
Edmondo Ballotta |
Firenze, 3.10.1954 |
4,28 |
Giulio Chiesa |
Thonon-les-Bains, 29.5.1955 |
4,30 |
Giulio Chiesa |
Roma, 4.6.1955 |
4,31 |
Giulio Chiesa |
Budapest, 20.8.1956 |
4,35 |
Giulio Chiesa |
Roma, 7.10.1956 |
4,35 |
Edmondo Ballotta |
Piacenza, 21.10.1956 |
4,38 |
Pietro Scaglia |
Cuneo, 29.7.1962 |
(*) Dal quotidiano di Piacenza «Libertà» del 22.6.1954:” …simpatica manifestazione ideata e attuata dai Vigili urbani…gesto benefico in favore dell’infortunato del lavoro sig. Maloberti cui sarà possibile ora acquistare un apparecchio ortopedico di protesi”.
Edmondo Ballotta e Giulio Chiesa a confronto
Numero primati nazionali:
Chiesa 5 / Ballotta 4
Titoli nazionali vinti:
Chiesa 3 (1951-1953-1959)
Ballotta 6 (1952-1954-1955-1956-1957-1958)
Presenze in Nazionale:
Chiesa 19, negli anni compresi fra il 1950 e il 1960, incluse una partecipazione ai Giochi Olimpici (1956) e una ai Campionati d’Europa (1954)
Ballotta 18, negli anni compresi fra il 1949 e il 1958, incluse due partecipazioni ai Campionati d’Europa (1954 e 1958) |
Last Updated on Friday, 30 December 2022 17:10 |
Auguri a tutti quelli che ci stanno vicino, e anche a quelli che stanno molto lontano |
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Saturday, 24 December 2022 10:10 |
Auguri a tutti, davvero a tutti. Ai nostri soci, a quelli che ci seguono sui cosiddetti social, a coloro che ci inviano foto e preziosi ricordi, a quelli che non sanno neppure che l'Archivio Storico dell'Atletica Italiana Bruno Bonomelli esiste da quasi 29 anni, ai nostri amici francesi, spagnoli, americani, tedeschi, polacchi, che ci aiutano spesso nelle nostre modeste ricerche. Auguri, auguri, auguri a questo sport sempre meno sport che si è imbastardito fra affarismo, sete di potere e di vantaggi personali e bistecche ricoperte da lamine d'oro al modico costo di 300 euro l'una. Auguri anche a quel tale - Alessandro Manzoni lo chiamerebbe l'Innominato, noi preferiamo l'Innominabile - che ha avuto la spudoratezza di dire che prima dei diritti umani viene il divertimento dei tifosi. Auguri a chi tiene duro nonostante le bombe che gli cadono vicino a casa a Kiev, il nostro amico Alex Kolenko e la sua famiglia: Srozhdestvom Kristovym!. Auguri anche a quella banda di magliari che trucca i bilanci ma poi munge le casse dello Stato e intanto smania per come spendere altri soldi nella compagna acquisti di gennaio. Auguri davvero a tutti, da parte nostra. E se avete qualche amico a Samoa o in Micronesia o anche magari solo in Portogallo, qui di seguito trovate il modo di dirgli Buon Natale nella sua lingua, e di stupirlo.
  
Afrikaans: Gesëende Kersfees!
Africano/ Eritrean/ Tigrinja: Rehus-Beal-Ledeats!
Albanese: Gezur Krishlinjden!
Arabo: Idah Saidan Wa Sanah Jadidah!
Argentino: Feliz Navidad!
Armeno: Shenoraavor Nor Dari yev Pari Gaghand!
Bahasa Malaysia: Selamat Hari Natal!
Basco: Zorionak eta Urte Berri On!
Bengalese: Shuvo Naba Barsha!
Boemo: Vesele Vanocce!
Bretone: Nedeleg laouen na bloavezh mat!
Bulgaro: Tchestita Koleda; Tchestito Rojdestvo Hristovo!
Catalano: Bon Nadal i un Bon Any Nou!
Cileno: Feliz Navidad!
Cinese: (Mandarino) Kung His Hsin Nien bing Chu Shen Tan!
(Cantonese) Gun Tso Sun Tan’Gung Haw Sun!
Colombiano: Feliz Navidad y Próspero Año Nuevo!
Coreano: Sung Tan Chuk Ha!
Cornovaglia: Nadelik looan na looan blethen noweth!
Croato: Sretan Bozic!
Ceco: Prejeme Vam Vesele Vanoce a stastny Novy Rok!
Danese: Glædelig Jul!
Ebraico: Mo’adim Lesimkha, Chena tova!
Eschimese: Jutdlime pivdluarit ukiortame pivdluaritlo!
Esperanto: Gajan Kristnaskon!
Estone: Ruumsaid juulup|hi!
Filippino: Maligayan Pasko!
Finlandese: Hyvaa joulua!
Fiammingo: Zalig Kerstfeest en Gelukkig nieuw jaar!
Francese: Joyeux Noel!
Gaelico: Nollaig chridheil agus Bliadhna mhath ùr!
Gallese: Nadolig Llawen!
Giapponese: Shinnen omedeto, Kurisumasu Omedeto!
Greco: Kala Christouyenna!
Hawaiano: Mele Kalikimaka!
Hindi: Shub Naya Baras!
Indonesiano: Selamat Hari Natal!
Inglese: Merry Christmas!
Iracheno: Idah Saidan Wa Sanah Jadidah!
Irlandese: Nollaig Shona Dhuit, or Nodlaig mhaith chugnat!
Islandese: Gledileg Jol!
Italiano: Buone Feste Natalizie!
Latino: Natale hilare et Annum Faustum!
Lettone: Prieci’gus Ziemsve’tkus un Laimi’gu Jauno Gadu!
Lituano: Linksmu Kaledu!
Macedone: Sreken Bozhik!
Maltese: Il Milied it Tajjeb
Maori: Meri Kirihimete!
Micronesia: Neekiriisimas annim oo iyer seefe feyiyeech!
Norvegese: God Jul, or Gledelig Jul!
Olandese: Vrolijk Kerstfeest en een Gelukkig Nieuwjaar! or Zalig Kerstfeast!
Papua Nova Guinea: Bikpela hamamas blong dispela Krismas na Nupela yia i go long yu!
Peruviano: Feliz Navidad y un Venturoso Año Nuevo!
Polacco: Wesolych Swiat Bozego Narodzenia or Boze Narodzenie!
Portoghese: Feliz Natal!
Rapa-Nui (Isola di Pasqua): Mata-Ki-Te-Rangi, Te-Pito-O-Te-Henua!
Rumeno: Craciun Fericit
Russo: Pozdrevlyayu s prazdnikom Rozhdestva is Novim Godom!
Samoa: La Maunia Le Kilisimasi Ma Le Tausaga Fou!
Serbo-Croato: Sretam Bozic, Vesela Nova Godina!
Serbo: Hristos se rodi!
Slovacco: Vesele, a stastlivy Novy Rok!
Sloveno: Vesele Bozicne, Screcno Novo Leto!
Spagnolo: Feliz Navidad!
Svedese: God Jul and (Och) Ett Gott Nytt År!
Tailandese: Sawadee Pee Mai!
Tedesco: Froehliche Weihnachten!
Turco: Noeliniz Ve Yeni Yiliniz Kutlu Olsun!
Ucraino: Srozhdestvom Kristovym!
Ungherese: Kellemes Karacsonyi unnepeket!
Vietnamita: Chung Mung Giang Sinh!
Jugoslavo: Cestitamo Bozic! |
Last Updated on Saturday, 24 December 2022 16:39 |
Sapreste dire il nome del vincitore della prima corsa campestre dell'umanità? |
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Friday, 23 December 2022 00:00 |

Le copertine delle due edizioni dell'opera di Bruno Bonomelli «Corsa campestre, scuola di campioni»
Per poter rispondere al quesito del titolo, anzitutto, sarebbe indispensabile conoscere quale fu il primo cross dell’umanità. Ce lo insegnò il maestro Bruno Bonomelli (maestro con emme iniziale rigorosamente minuscola, vista l’orgia di maestri con la consonante pomposamente maiuscola) nel primo capitolo di un libricino stampato a Verona nel marzo del 1966, che aveva intitolato «Corsa campestre scuola di campioni». Il maestro elementare (come sua moglie Rosetta) di Rovato ne era l’autore insieme a Emanuele Carli, un altro dei primi storici dell’atletica italiana (due opere basilari su Dorando Pietri e su Adolfo Consolini), a nostro giudizio troppo trascurato. Il libro ebbe poi una seconda edizione, riveduta e ampliata, nel 1974, con l’aggiunta di un corposo capitolo sulla preparazione alla corsa firmato dal prof. Enrico Arcelli.
Bonomelli fu sempre il divulgatore battagliero delle corse campestri, che la Federatletica nazionale era riuscita perfino, in certi anni (1938-1939), a vietare agli atleti di primo livello, prona com’era alle vetuste teorie del medico Goffredo Sorrentino, propugnatore della inutilità se non della nocività dell’attività atletica invernale. In parole semplici, l’inverno era fatto per riposare non per allenarsi. Non è un caso che la nostra atletica tanto nel cross come nelle gare in pista coperta d’inverno è arrivata buonissima ultima. Tanto per dire: in Inghilterra il primo campionato nazionale di cross si tenne nel 1877, in Francia nel 1889, negli Stati Uniti nel 1890. Noi? Nel 1908. E nel mese di giugno…
Qual fu dunque la prima corsa attraverso i campi dell’umanità e chi ne fu il vincitore? Chi ha curiosità, voglia e tempo, si legga il primo capitolo di quel libro del 1966. La lettura prenderà qualche minuto di più che non l’alzata del pollice del «Mi piace» ma migliorerà la conoscenza storica, e non solo sportiva.
Da Troia ad Ostia…sulla rotta di Enea
La prima corsa a piedi, ricordata e descritta da Omero, cronista eccezionale, con abbondanza di particolari, è la sfida, avvenuta sotto le mura di Troia, fra Antiloco, Ulisse e Aiace d’Oileo, in occasione dei giochi funebri di Patroclo.
Fuori causa fin dalle prime battute è – diremmo oggi – «l’allievo» Antiloco, il più veloce e resistente dei giovinetti Achei. La lotta si restrinse quindi ad un duello fra Ulisse e Aiace. Questi sta per avere la meglio, ma Minerva interviene in aiuto del beniamino Ulisse e fa scivolare Aiace su un mucchio di letame, proprio in vicinanza del palo d’arrivo, mettendolo definitivamente fuori causa.
Ulisse vince così un cratere d’argento, Aiace un toro, mentre Antiloco, invece del prestabilito mezzo talento d’oro, riceve da Achille un premio doppio a consolazione della sconfitta.
La presenza del mucchio di letame dimostra «ad abundantiam» che il terreno non era stato preparato artificiosamente e che quella descritta nel libro XXIII dell’Iliade è una corsa campestre.
Fra tutte le gare atletiche moderne, che la specialistica distingue in corse, salti e lanci, le prime sono le uniche che si svolgono senza l’aiuto di alcuna attrezzatura. Potrebbero, e lo si è già visto nell’antichità, essere disputate da atleti perfettamente nudi.
Esse devono perciò essere ritenute come la simbolizzazione agonistica delle attività motorie dei nostri pelosi antenati; che, spinti da una fame rabbiosa e arretrata, rincorrevano le tenere gazzelle attraverso le praterie e nei sottoboschi, scavalcando, quando ve n’era bisogno, torrentelli e melmose valli, salendo e scendendo con il cuore in gola brevi ed erte scarpate.
Non ci vuole molta fantasia per identificare perciò nella corsa campestre la naturale palestra di ogni attività atletica dell’uomo; precedente ad ogni altro sport o giuoco.
Seguiamo ora passo passo quello che è stato il divenire della corsa campestre in Italia; non certo perché questa prova sportiva abbia avuto i suoi natali nel nostro paese, ma perché ciò ci permetterà di constatare quanto contrastato e difficile sia stato il cammino per l’affermazione di un principio che apparentemente sembrerebbe ovvio.
La notizia del cross arriva in Italia
Siamo nel luglio del 1898: a pagina 89 del supplemento mensile della Gazzetta dello Sport (numero abbinato di giugno-luglio) si può leggere sotto il titolo «Cross Country»:
«La traduzione letterale è corsa attraverso (cross) la campagna (country). Il cross-country fra i ludi sportivi che passarono ultimamente la Manica per attecchire sul continente, è il più geniale ed il più suggestivo, come quello che prepara il giovinetto a diventare marziale precocemente, cioè soldato prima dell’arruolamento, abituandolo a vincere mediante progressivo allenamento pedestre tutte le difficoltà ed accidentalità del terreno; sfidare le intemperie e l’inclemenza del tempo. La stagione agonistica del cross-country s’apre a novembre; in Inghilterra ed in Francia a partire da quell’epoca le associazioni scolastiche ed i club atletici iniziano l’allenamento dei loro corridori in attesa delle grandi gare, aspettate con tanta impazienza; il campionato interscolastico per i primi ed il cross-country nazionale per i secondi.
Tutte le domeniche mattina, con qualsiasi tempo, sotto la pioggia o sulla neve, i ferventi delle corse a piedi, gli aspiranti al campionato, si ritrovano in certi punti adatti, fuori delle città ed in certi luoghi vasti e boschivi, che permettano l’allenamento e che presentino e che presentino qualche ostacolo o accidentalità di terreno, favorevoli a questo genere di sport.
Al comando via dello starter la massa dei corridori si disloca ed i più svelti e nervosi si slanciano in breve alla testa dei compagni, sulle tracce dei ritagli bianchi, rossi, azzurri, gialli, or inabissandosi dentro un burrone, or arrampicandosi sopra un muro come lucertoloni bizzarramente screziati, or sollevando una nuvola di polvere su d’una carrettiera battuta».
Il pezzo, non firmato, prosegue dettando le principali regole per l’organizzazione delle gare e l’allenamento dei corridori; sulla distanza delle competizioni, variabile fra 10 e 16 chilometri.
Infine chiude con l’elencazione dei capi di abbigliamento necessari: maglia fina di lana o di cotone, pantaloni corti al ginocchio fatti di tela, scarpe da corsa, oppure sandali da bagno di mare, calze ad uso scozzese.
Come si vede nulla è sostanzialmente cambiato da settanta anni a questa parte; e se non fosse per quei pantaloni al ginocchio e per quei sandali da bagno di mare, verrebbe la tentazione di includere alla lettera quel pezzo del 1898, evidentemente tradotto da qualche giornale inglese, nel manuale del perfetto crossista o «pratista» come dicono i puristi del 1966.
Comunque il «pezzo» della Gazzetta non scosse l’ambiente peninsulare di fine e principio di secolo.
Non che mancassero in Italia fra il 1898 e il 1904 i cultori delle corse di lunga lena. Basterà infatti ricordare che uomini come il torinese Edoardo Oderio, detto Lampionato, il milanese Giacinto Volpati, grande assertore del professionismo, il romano Pericle Pagliani, si fossero avvicinati notevolmente, nei loro tentativi di primato sulla mezz’ora, ai 9 chilometri.
Ettore Ferri di Bologna, il 22 novembre 1903 sulla pista del velodromo di Genova, nel corso di una eccezionale sfida contro Volpati ed alla presenza di più di diecimila spettatori, aveva addirittura coperto nell’ora km. 17,459. Ciò era avvenuto quindici giorni dopo il trionfale successo del primo Giro di Milano, finito appunto con la vittoria di Ferri su Martinelli e Volpati.
Gli organizzatori di quei tempi preferivano però dedicare la loro attenzione alle gare su strada (classiche la Milano-Monza ed il Gran Premio Lazio), ai giri ed alle traversate di città che attiravano lungo il percorso migliaia di spettatori. Tra l’altro non era ben chiaro che il «cross» fosse una competizione prettamente invernale.
Ma i risultati delle corse campestri che venivano a getto continuo dalla Francia e soprattutto dall’Inghilterra, non potevano non suggestionare anche l’ambiente italiano, aperto allora a tutte le novità sportive.
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Last Updated on Friday, 23 December 2022 21:41 |
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